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d’ora di più intento a pulire le lenti de’ suoi occhiali mentre mia zia Betzy gli raccontava le malizie e le mariuolerie del piccolo furfantaccio.

Col tempo il nostro eroe toccò il quarto anno di sua vita, e giunse alla dignità di scolaro. Riportò glorioso trionfo del suo libro di lettura, diede attacco al catechismo, e in capo a quindici giorni restò padrone del campo, dal Chi ci ha creati e messi al mondo? fino ai Comandamenti del decalogo; e, ritornandosene alla casa, in un’accesso di gioja straordinaria, disse a suo padre che era alla fine arrivato all’Amen. Feeesi poi un’abitudine di rileggerlo tutte le domeniche a sera ad alta voce, in piedi, le mani dietro le reni dopo aver svestita la bluse e lanciando di tratto in tratto qua e là lo sguardo per vedere se la gatta gli prestava la debita attenzione: e siccome era d’indole disposto per essenza alla pratica beneficienza, fece molti lodevoli sforzi per insegnare a Rosa il catechismo, tentativo che ebbe un esito quale si poteva sperarlo. Alle corte il piccolo Edoardo minacciava di diventare un prodigio letterario.

Ma ohimè povero Edoardo! la sua felicità fu di corta durata. Un dì cadde ammalato, e già Betzy fece uso per guarirlo di tutte le foglie del suo erborajo: ma tutto fu vano, ed il suo stato peggiorò rapidamente. Suo padre, toccò nel cuore, se ne stava taciturno, e vegliava dì e notte al suo capezzale, studiando con una commovente perseveranza tutti i mezzi di salvarlo.

“Non v’è dunque più speranza? diss’egli al medico, quando tutte le cure furono invano tentate.

— Nessuno„ rispose il medico.