Pagina:Albini - Il figlio di Grazia, Milano, Vallardi, 1898.djvu/137


— 123 —

morire. Fu un minuto secondo che le parve un secolo, poi una ragazzina passò correndo davanti all’uscio e gridando con una gaia voce squillante: — oh mamma! vieni a vedere che bel prato! —

Dorina afferrò la penna e si chinò tutta sul registro, non sapeva se per nascondersi o per darsi un contegno. Ma la bambina cacciò dentro la sua testa curiosa anche nello studio, e vedendo un avviso colorato della navigazione del Lago Maggiore, con una signorina vestita alla canottiera, entrò.

«E permesso?» disse con una voce forte, ma tutta inflessioni gentili; «vorrei vedere quell’avviso. Com’è bello! anch’io remo un poco sul lago di Como, ma non ho la maglia a righe e quel berrettino rosso. Ma lei chi è? è quella che tiene i conti dell’Albergo?» e si avvicinò alla scrivania mettendosi di fianco a Dorina per guardare.

«Che belle manine bianche hai! guarda le mie come sono nere» e le accarezzò la manina sottile posata sul registro. «Come sei seria!... non sei buona di ridere? a me piacciono le bambine che ridono tanto.... Ti sei offesa?» E le buttò le braccia al collo per guardarle gli occhi che le si erano inumiditi. «No, vero? mi piaci tanto, sai; tanto anche cosi. Oh che bel colore hanno i tuoi occhi. Ma sei proprio bella, sai! Perchè porti il treccino così? dovresti tenere i capelli giù per le spalle, come me. Aspetta che ti pettino io.»

Presto presto le levò le forcine, le disfece la treccia, e i radi, fini capelli biondi le si sparsero intorno al collo e al viso delicato che si era fatto tutto rosa. Non aveva ancora trovato la voce per dire una parola, si sentiva come travolta da un fascino tutto