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nare e che sembrava a tutti di una bellezza sovrumana, perchè così diversa dalle altre bambine; colla faccina lunga e pallida, gli occhi di donna che ha patito, i capelli biondi che parevano senza forza e le si appiccicavano alle tempie venate d’azzurro; le manine lunghe, magrissime, che si movevano lentamente. Alcuni dicevano: dev’essere alta alta, altri invece: no, è certo piccina di statura come una bimba di sei anni; ma il fatto è che nessuno se la poteva figurare se non come certe figure di angeli, drappeggiati dalla vita in giù di un ampio, lungo peplo che trascinano nell’aria, salendo.
Dorina non era mai malinconica, ora; quel mutamento così improvviso di vita la teneva in un’eccitazione gioiosa che le coloriva le gote e le faceva brillar gli occhi. Nessuno mai l’aveva vista portar giù, nessuno la vedeva la sera portar di sopra, e v’erano dei ragazzi che sospettavano ella dormisse su quella poltrona. Ella aveva sempre nel cassetto della scrivania i zuccherini per i piccoli, e aiutava i grandini in tutto quello che poteva.
«Lei che è paziente» le diceva un ragazzo, «mi impasti questi francobolli sull’albo; e le bambine le portavano le vesti delle bambole da cucire, gli edelweis da incollare sui cartoncini neri, i fiori da mettere fra i fogli di carta sorbente. Oh non aveva più tempo ora, di pensare alle sue malinconie, non s’accorgeva più d’essere diversa dalle altre bambine, sentiva invece di saper fare cose che loro non sapevano e che anch’ella non avrebbe fatto se avesse avuto la voglia di correre e saltare.
Tutti i suoi piccoli amici dovevano però pigliar la porta e uscire a prender aria quando capitava quel folletto di Pinella.