Il figlio di Grazia/XIX
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XIX.
Le stagioni passavano. Per gli albergatori di montagna, non v’è che una stagione nell’anno: essi seminano e raccolgono il frutto del loro lavoro dal luglio ai primi di settembre; il resto dell’anno le camere e le sale sono chiuse, i camerieri e i cuochi licenziati, gli abiti cittadini riposti negli armadi e gli albergatori ritornano montanari. I proprietari dell’Albergo del Panorama passavano tutto il lungo inverno e la primavera nella vasta cucina scaldata da una grande stufa e dal camino, e la sera era il ritrovo di tutti i pezzi grossi del paese.
Qualche volta la maestra e Grazia venivano su anch’esse portandosi la loro calza, e lavoravano vicino alla stufa coll’albergatrice che ricamava iniziali sulle lenzuola o sulle federe. Gli uomini se ne stavano intorno al gran camino, e Dorina, i cui occhi di sera non le permettevano neppure di far la sua trina per le coperte da letto, si metteva nell’angolo, sotto la larga cappa, ascoltando con piacere i discorsi degli uomini.
La sua faccina lunga aveva perduto l’espressione infantile e preso le arie di vecchietta; ma era una vecchietta serena. Nei giorni in cui aveva i suoi dolori alle gambe se ne stava tutta avvolta negli scialli cogli occhi chiusi, e diceva: «fate come non ci sia. non badate a me: tanto non si può farmi nulla.»
Spesso anche Natale con suo padre veniva a passar la sera all’albergo: Dorina si dava le arie di mammina con quel giovinone che era diventato più alto di suo padre e che la trasportava dalla stufa al camino, sulla seggiola, come se portasse una bambola. Ella era orgogliosa del suo amico. Le pareva che nessuno lo conoscesse come lo conosceva lei: quando lo sentiva lodare, ed accadeva spesso, ella diceva: — sì sì, ma non è tutto: se sapeste! se sapeste! — Forse pensava alla sua propria vita salvata da lui: all’essere malaticcio, cruccioso, inutile a tutti, anzi di peso a tutti, ch’ella sarebbe stata se non si fosse incontrata in Natale. Forse pensava a tutte le soddisfazioni che provava ora, pur essendo inferma, perchè lui lo aveva voluto. Dalla sua poltrona davanti alla scrivania ora Dorina regnava davvero su ogni cosa: era lei che teneva i conti, che aveva in custodia la biancheria da tavola, la posateria, la cristalleria: le avevano fatto un finestrino nella parete a fianco della sua poltrona, e di là sorvegliava la sala da pranzo e le persone di servizio.
— E che testina! che testina! — diceva suo padre: — ella vede e prevede tutto. E poi che grazietta coi forestieri, — aggiungeva la mamma. — Ella non scontenta nessuno. Io fui sempre tagliata più alla buona ma lei par sia nata nella casa di un duca. —
Una buia e fredda sera di dicembre, Natale entrò con suo padre. «Oh, bravo Natalone!» disse Vincenzo, «leggi un po’ le notizie sulla gazzetta.» Secondo lui non v’erano maestri nè professori che sapessero legger bene come Natale, in modo «da far capire anche le cose difficili.»
Natale prese di sulla tavola il giornale del capoluogo e si mise a leggere l’articolo di fondo, in cui si difendeva calorosamente l’elezione a deputato di un industriale della vallata e si combatteva quella di un gran signore che aveva viaggiato molto, che aveva studiato molto, ma non aveva mai lavorato in tutta la sua vita.
L’albergatore approvò: — ben detto! ben detto! un industriale che conosca i bisogni della nostra valle e faccia votare finalmente questa benedetta ferrovia!... — E il segretario comunale gli fece eco: — Cose ne sanno i signori dei bisogni del paese. Sono abituati a badar soltanto alle cose grandi, loro! alle apparenze! i deputati signori non pensano che a far le spese per l’esercito e la marina, ma di tutto quel eh è utile al popolo non ce n’importa un cavolo! — Tutti dissero la sua e tutti erano d’accordo. Bernardo, richiesto del suo parere, si levò di bocca la pipa e, dopo avervi pensato un poco, disse: «Io darei il voto all’industriale; però non capisco perchè si dica che quel signore non ha fatto niente nella sua vita; viaggiare e studiare non vuol dire far niente. Che ne dici, Natale?»
Natale non aveva ancora levato gli occhi del giornale, pareva leggesse avanti: in realtà, ascoltava e pensava.
«Ma sì, andiamo, Natale, di’ il tuo parere!» esclamò Vincenzo.
«Quel che dite voi dev’essere giusto. Che volete ne sappia io....»
«Va là, va là, che co’ tuoi diciott’anni ne sai più di tanta gente a cinquanta!» disse ancora Vincenzo.
«Sì: adesso burlatemi, anche! Ebbene, volete burlarmi del tutto? ecco qua. Io dico che è cento volte meglio un signore istruito, che conosca bene il mondo e sappia parlar bene, di un industriale che non s’è occupato che della sua tessitura, e non vede null’altro che l’interesse della sua industria e della nostra valle.... Ma che diamine! la nostra valle non è tutta l’Italia! e gli interessi nostri non vogliono dire gli interessi del paese. Datemi un uomo che è al corrente di tutto, che non ha crucci per sè, che non ha bisogno di lavorare per vivere, e che sappia dire le cose buone in maniera di farle piacere a tutti, e io vi dico che averne il Parlamento pieno sarebbe la salvezza d’Italia!»
«Uh uh!» fecero tre o quattro.
«La gente che sa parlare non sa fare,» sentenziò il segretario.
Natale si riscaldò. «Come! il saper parlare! ma il saper parlare è tutto in certi casi! Cristo si trascinava dietro la folla e trasportava i cuori perchè parlava bene.»
«Oh Natale! Cristo fece qualche cosa di più che parlare!» ammonì l’albergatrice.
«Chi non lo sa? ma noi, ora, che non vediamo i suoi miracoli, che cosa ci incanta in Lui? che cosa ci fa credere in Lui? Sono le cose che disse e la maniera con cui le disse.»
Un silenzio seguì: l’idea espressa da Natale era così impreveduta che tutti ebbero bisogno di star raccolti a pensarci su. A un tratto la voce di Dorina dall’angolo del camino disse: «Natale ha ragione» e quelli che pensavano che aveva torto non osarono più dir nulla.
«Guarda un po’ i telegrammi» disse Vincenzo.
Natale li lesse l’un dopo l’altro a voce alta, interrotto da commenti quando si trattava di cose interessanti. Infine legge: «Andermatt: Questa mattina alle ore nove una grossa frana....»
«Oh oh!» esclamarono più voci insieme in tono di doloroso stupore: «Ci sono i nostri!» E tutti si alzarono per chinarsi sopra Natale a leggere con lui.
Natale continuò: «una grossa frana seppellì undici operai!!»
Un brivido d’orrore corse fra tutta quella gente.
«Ma ci sono dei nostri per Dio! leggi, ci sono i nomi? i nomi? c’è Peppino a Andermatt! E il povero Andrea? e il Gigio!»
«Zitto, lasciate sentire!»
«Fra questi vi sono parecchi piemontesi....»
«Oh son loro! son loro! Oh che disgrazia!» gemè Vincenzo lasciandosi cadere sulla seggiola.
«Oh Madonna! fate che non sia vero!» esclamarono le donne facendosi il segno di croce.
Natale, bianco come il giornale che teneva spiegato davanti, taceva.
«C’è Peppino? leggi se c’è Peppino!» supplicò ancora Vincenzo. «Oh la mia povera sorella! era il suo unico figliolo! ho fatto da padrino l’altro giorno al suo maschio! Oh povero bambino che non conoscerà mai suo padre!»
«Ma non sappiamo ancora nulla di certo!» disse l’albergatrice. «Aspettate a disperarvi, Vincenzo....» La voce di Natale disse: «C’è a Andermatt Gigio de’ Caprezzi, quel che ha moglie, con suo fratello Martino. Vedrete! quella è la famiglia delle disgrazie.»
«Oh non dirlo, Natale! Sai bene che tu indovini sempre!» esclamò Dorina.
In quella si sentì un picchio all’uscio. «Avanti!» dissero in parecchi, col presentimento che giungesse una cattiva nuova.
Erano due uomini con una lanterna; sul cappello incerato di uno di essi era la scritta: ufficio telegrafico di Varallo.
«Ci siamo!» disse l’albergatore con un tremito nelle mani.
«Ah sì! signor Sindaco! è una cattiva notizia....»
Il telegramma diceva: «Luigi e Martino fratelli Caprezzi, rimasti sotto una frana, morti sul colpo.»
Natale, dritto davanti al camino, si lasciò cadere sulla panca accanto a Dorina, e passandosi una mano sulla fronte pallida, mormorò:
«Non vorrei averlo detto! perchè l’ho detto?»
«Perchè Dio ti manda la verità a te.»
«Oh non dir queste cose, Dorina! Sono eresie, sai!» Dorina gli passò la mano scarna sul braccio e non disse più nulla.
Era mezzanotte quando l’albergatore colla lanterna in mano salutò in fondo alla piazza i suoi ospiti che si disperdevano per il paese.
Il villaggio era sprofondato nel buio e nel silenzio: solo una finestrina era illuminata, quella di Marianna de’ Caprezzi, malata da un mese con dolori atroci alle gambe.
«Povera donna!» disse Bernardo Marlines a suo figlio mentre scendevano verso casa loro: «chi sa domani!»
«Oh ma senti.... la mamma non si è ancora coricata.... Ecco che vien fuori a far lume a qualcuno....»
Era la Raffaella venuta a chiedere un certo calmante per sua madre che quella notte non poteva quietare.
«Così sola? a quest’ora!» disse Natale. «E non hai neppur una lanterna.... Ora ti accompagnamo noi.»
E tornarono indietro infatti: Bernardo davanti, colla lanterna, loro due dietro, accanto, come quando erano piccini ed egli l’accompagnava un tratto per quello stesso sentiero.
«Non ti si vede mai, Raffaella....» disse Natale dopo un momento di silenzio.
La fanciulla, col viso chiuso nel fazzoletto di lana, seguitò a guardare dritto davanti a sè, e sembrò cercare una risposta.
«Noi siamo sempre i vostri amici di una volta....» aggiunse Natale, pensando al gran dolore che l’aspettava l’indomani e desiderando prepararle un conforto.
«Oh sì, Grazia viene quasi ogni giorno a trovar la mamma, e ci usa tante cortesie....» rispose la fanciulla arrossendo nel buio; e pensò: — lui però s’è dimenticato della nostra amicizia da bambini: ha preso le arie da signore: non va che all’albergo. —
«Ora ti toccherò lavorare ancora di più;» disse Natale.
«Si sa:» rispose la ragazza. «Gigio e Martino sono andati sui lavori in Svizzera; però c’è mia cognata che m’aiuta. La mano di Bernardo che teneva la lanterna davanti a loro traballò, e Natale, oh come si ricordò di quando erano piccini e si portava la piccola Raffaella in braccio per scappare dei rospi che le tacevano paura. Avrebbe voluto anche ora poter pigliarla e portarla lontano, lontano dal dolore che l’aspettava fra poche ore.
— Perchè ci sono queste ingiustizie al mondo?... — pensò — una famiglia ha tutte le fortune e un’altra è bersagliata dalle sventure. Noi crediamo che sia per provare la virtù dei disgraziati, ma forse è invece per provar quella dei fortunati.... Chi lo sa: forse agli occhi di Dio è più grande disgrazia il veder un uomo felice che non si cura del dolore degli altri.... Basta; quando saremo lassù, vedremo. Dicono che le lagrime sono contate e verranno compensate con altrettante gioie di là. Perchè non si dice che le allegrezze di qui costeranno delle lagrime all’altro mondo? —
Le disgrazie non vengono mai sole, dice un triste proverbio, e quella notte doveva essere fatale per quella povera famiglia de’ Caprezzi.
Bernardo e Natale se ne tornavano silenziosi a casa quando una luce rossastra illuminò a un tratto la stradetta buia. Si voltarono sbigottiti e subito degli urli echeggiarono nel paese: — fuoco! fuoco! fuoco! —
Le finestre s’aprirono, altre grida risposero, urlarono, e dieci minuti dopo tutto il paese era in piedi. Le campane sonavano a stormo, le donne gridavano, ma sopra ogni rumore dominava il muggito disperato, straziante di tre mucche e un vitellino che bruciavano, rinchiusi nella stalla.
Il fuoco aveva preso chi sa come, proprio in un mucchio di stoppie davanti alla porta e non fu possibile avvicinarsi ad aprire. La stalla apparteneva ai Caprezzi, e appena lo si seppe corse fra tutti l’avvertimento pietoso: — non ditelo a Marianna! non diteglielo! — Raffaella infatti rimase accanto al suo letto a farle le frizioni alle gambe; colle mani che tremavano, gelate, e ogni tanto, alle domande di sua madre che udiva la campana a martello e il brusio di tutta quella gente dietro la casa, rispondeva: brucia la casina dei Mora, là giù al torrente; corrono tutti a vedere. E chiuse le imposte perchè non s’accorgesse del chiarore così vicino delle fiamme.
Il sindaco aveva subito fatto mettere il tubo di gomma allo zampillo della fontana in piazza e fu srotolato giù per il sentiero, colla sicurezza che arrivasse fino alla stalla, ma il gran soffio d’acqua proruppe e ricadde pochi metri lontano, non spruzzando sulle fiamme che le ultime gocce.
Una voce giovane gridò: le secchie! molte secchie! e la mano robusta di Natale afferrò la bocca del grosso tubo arrestando quel getto inutile.
In pochi minuti una quarantina di secchie furono intorno ed egli allentò la mano riempendo in un colpo otto o dieci secchie che furono sollevate traboccanti, passarono da una mano all’altra sino alla stalla, ove giovani e donne le lanciavano nelle fiamme.
Su un rialzo di terra, sola, tutta rannicchiata, colle mani sulle orecchie per non udire il lungo muggito, cogli occhi neri pieni di lagrime, ora Raffaella era venuta a guardar ansiosa quella folla che tentava salvare le povere bestie: guardava Natale là ritto, più alto di tutti, illuminato dalla fiamma rossa, istancabile ad aprire e chiudere il tubo secondo che le secchie erano pronte, e le pareva che fosse lui il padrone dell’acqua, padrone di lasciar bruciare o di spegnere quel fuoco, e col cuore gli diceva: Natale, buon Natale, per amor della tua mamma, per memoria di quegli anni in cui eravamo piccini e ci volevamo bene, salva la nostra stalla! salva le nostre bestie! Si levò un momento le mani dalle orecchie: le mucche muggivano sempre più lamentosamente ed ella distinse la voce della sua prediletta mucca color della castagna, che pareva chieder soccorso per il suo vitellino che non s’udiva, forse giù morto.... bruciato!
Si rizzò, slanciandosi innanzi per tentar di aprire, di salvarle. L’afferrarono gridando: Raffaella! che fai? sta indietro!
«Voglio aprire! non le sentite gridare? strazian le viscere! E poi son tutta la nostra ricchezza; lasciatemi andare!»
«Sei matta? se fosse possibile l’avremmo giù fatto noi.»
«Allora che fate? perchè lavorate se non è per salvarle?»
«Ma non capisci che il vento minaccia di portar le fiamme sulla vostra casa?»
La giovinetta spalancò gli occhi atterrita, pensando a sua madre malata, e si guardò in giro, smarrita, allargando le braccia e tentando di dire: — O Dio: salvate la mamma! —
Natale cedette il suo posto a due compagni e in un salto le fu vicino. «Raffaella, sta quieta» disse colla sua voce sicura e forte: «ti prometto che riusciremo a isolare il fuoco.»
«Ma le mucche! le nostre bestie! la mia mucca castagna!...» supplicò la fanciulla giungendo le mani. E v’era un tale dolore nella sua voce, che Natale ne fu scosso.
«Le salveremo» rispose in tono risoluto, e levatosi la giacca e inzuppatala in una secchia se ne avviluppò le braccia, poi, buttando via coi piedi tutte le stoppie bruciate, schivando coi movimenti rapidi della testa la paglia infiammata che pioveva dal tetto, si precipitò contro la porta. Quel giovane di diciott’anni pareva un gigante. «Acqua! acqua addosso a me!» gridò; e cinque o sei secchie gli furono rovesciate addosso mentre riusciva a scassinare la porta, che si spezzò e cadde in frantumi sotto i suoi pugni formidabili. Intanto i suoi capelli bruciavano e il petto nudo si scottava contro il catenaccio arroventato; poi scomparve.
Di fuori si fece silenzio nell’attesa penosa, e Raffaella si mise il grembiale alla bocca soffocando un grido di orrore.
Il tetto scricchiolava; gli uomini si misero a gridare: Natale! Natale!... s’udì un gran scroscio e, proprio in quel punto, nel vano della porta che pareva la bocca d’una fornace, apparve Natale trascinando con tutte e due le mani una mucca, la mucca color castagna....
Tutti si precipitarono in suo aiuto; soltanto Raffaella non si mosse: si rannicchiò in terra, col viso nascosto fra le mani come se volesse nascondersi.
Quando la voce di Natale che respirava forte, chiese, sopra di lei: «sei contenta, Raffaella?» ella sollevò il viso inondato di lagrime senza dir nulla: ma ne’ suoi occhi c’era una felicità che la fece rassomigliare alla bambina di molti anni prima, quella che Natale chiamava: la mia Laffaella.
Ma il viso di Natale prese un’espressione di dolore intenso; e, quando, spento completamente il fuoco, egli s’avviò per ritornare verso casa sua, arrivato nel sentiero deserto si buttò colle braccia contro un albero e proruppe in un pianto disperato:
«Oh poverina! domani, domani, che dolore l’aspetta! Si dispera oggi per delle bestie! se sapesse, oh se sapesse!...»