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le coperte da letto, si metteva nell’angolo, sotto la larga cappa, ascoltando con piacere i discorsi degli uomini.

La sua faccina lunga aveva perduto l’espressione infantile e preso le arie di vecchietta; ma era una vecchietta serena. Nei giorni in cui aveva i suoi dolori alle gambe se ne stava tutta avvolta negli scialli cogli occhi chiusi, e diceva: «fate come non ci sia. non badate a me: tanto non si può farmi nulla.»

Spesso anche Natale con suo padre veniva a passar la sera all’albergo: Dorina si dava le arie di mammina con quel giovinone che era diventato più alto di suo padre e che la trasportava dalla stufa al camino, sulla seggiola, come se portasse una bambola. Ella era orgogliosa del suo amico. Le pareva che nessuno lo conoscesse come lo conosceva lei: quando lo sentiva lodare, ed accadeva spesso, ella diceva: — sì sì, ma non è tutto: se sapeste! se sapeste! — Forse pensava alla sua propria vita salvata da lui: all’essere malaticcio, cruccioso, inutile a tutti, anzi di peso a tutti, ch’ella sarebbe stata se non si fosse incontrata in Natale. Forse pensava a tutte le soddisfazioni che provava ora, pur essendo inferma, perchè lui lo aveva voluto. Dalla sua poltrona davanti alla scrivania ora Dorina regnava davvero su ogni cosa: era lei che teneva i conti, che aveva in custodia la biancheria da tavola, la posateria, la cristalleria: le avevano fatto un finestrino nella parete a fianco della sua poltrona, e di là sorvegliava la sala da pranzo e le persone di servizio.

— E che testina! che testina! — diceva suo padre: — ella vede e prevede tutto. E poi che grazietta coi forestieri, — aggiungeva la mamma. — Ella non scon-