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mucchio di stoppie davanti alla porta e non fu possibile avvicinarsi ad aprire. La stalla apparteneva ai Caprezzi, e appena lo si seppe corse fra tutti l’avvertimento pietoso: — non ditelo a Marianna! non diteglielo! — Raffaella infatti rimase accanto al suo letto a farle le frizioni alle gambe; colle mani che tremavano, gelate, e ogni tanto, alle domande di sua madre che udiva la campana a martello e il brusio di tutta quella gente dietro la casa, rispondeva: brucia la casina dei Mora, là giù al torrente; corrono tutti a vedere. E chiuse le imposte perchè non s’accorgesse del chiarore così vicino delle fiamme.

Il sindaco aveva subito fatto mettere il tubo di gomma allo zampillo della fontana in piazza e fu srotolato giù per il sentiero, colla sicurezza che arrivasse fino alla stalla, ma il gran soffio d’acqua proruppe e ricadde pochi metri lontano, non spruzzando sulle fiamme che le ultime gocce.

Una voce giovane gridò: le secchie! molte secchie! e la mano robusta di Natale afferrò la bocca del grosso tubo arrestando quel getto inutile.

In pochi minuti una quarantina di secchie furono intorno ed egli allentò la mano riempendo in un colpo otto o dieci secchie che furono sollevate traboccanti, passarono da una mano all’altra sino alla stalla, ove giovani e donne le lanciavano nelle fiamme.

Su un rialzo di terra, sola, tutta rannicchiata, colle mani sulle orecchie per non udire il lungo muggito, cogli occhi neri pieni di lagrime, ora Raffaella era venuta a guardar ansiosa quella folla che tentava salvare le povere bestie: guardava Natale là ritto, più alto di tutti, illuminato dalla fiamma rossa, istanca-