VIII

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VII IX

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VIII.

Natale fu inscritto alla scuola elementare e il primo giorno ve lo accompagnò suo padre, perchè la mamma era fuori ad assistere una povera vecchia morente rhe non aveva nessuno.

«Vedi,» diceva Bernardo al bambino mentre salivano al paese. «Ora fai davvero il primo passo nella tua vita d’uomo. Questa è la prima coscrizione di noi uomini: per cinque anni devi stare sotto e armi e fare il tuo dovere come un bravo soldato. Tieni a mente, che chi non fa bene in questa prima ferma, non farà bene neppure nella seconda. Non dico che tutti debbono essere bravi: c’è chi ha la testa fatta per studiare, e c’è chi ha la zucca con un buco da qualche parte da cui scappa fuori quel che ci si mette dentro: ma star attenti, essere ubbidienti, far di tutto per ritenere qualche cosa, questo lo posson far tutti. [p. 56 modifica]Non badare ve’, a quelli che han l’aria di dire che l’ubbidienza è servitù, e fanno spallucce a ogni comando e danno un calcio a tutto quello che ingombra la loro strada. Io ti dico che se non si prende fin da piccini l’abitudine dell’ubbidire, dopo non la si impara più; e allora è un affar serio, sai, perchè ubbidire bisogna sempre: se non è a qualcuno è a qualche cosa: se non è a ciò che ci comandano gli altri, è a ciò che ci comanda la nostra coscienza. Hai capito, Natale?»

Natale fece cenno di sì col capo, perchè, sebbene non avesse compreso tutto perfettamente, capì che entrar nella scuola elementare voleva dire una cosa molto seria. Provò anche un momento di malinconia, come se avesse abbandonati per sempre i suoi giochi e Raffaella; quasi che per essere scolaro dell’elementare dovesse dir addio a tutto ciò che divertiva il bambinone dell’asilo.

«Perchè le bambine non istanno con noi nella scuola dei grandi?» dimandò poi.

«Non so: al di là del monte, in Svizzera, stanno insieme, ma son di natura più quieti e gentili quei ragazzi, e non danno spintoni e pugni alle bambine, come fate voi.»

«Io non ho mai picchiato nessuna bambina!» esclamò Natale.

«Oh, lo credo bene! se ti sapessi capace di una simile viltà...!» E Bernardo alzò la sua lunga mano in atto di minaccia. «Questa è sempre stata la mia idea, figliolo mio, che chi batte una donna è capace di tutto.»

«Nocente picchia sempre Raffaella,» disse Natale.

«Nocente arrischia di finir male. Dio lo castigherà qualche giorno, ne ho paura.» [p. 57 modifica]

Camminarono un poco in silenzio, poi Natale dimandò:

«E picchiarci fra noi ragazzi è una brutta cosa?» Bernardo rispose:

«Gioco di mano, gioco di villano, dice il proverbio, ma c’è delle occasioni e della gente che vogliono i pugni anche da chi ha giurato di non darne mai! Un giorno al mercato di Varallo, ho visto un giovinetto forte e robusto avventarsi, non so per che questione, contro suo zio, fratello di suo padre, un uomo già vecchio!... Ah canaglia! vigliacco! l’ho agguantato per il collo, capisci, e l’ho scaraventato sul prato che la sua schiena ne deve aver sentito per un pezzo!» Natale, fermo sul sentiero, ascoltò suo padre con un’attenzione piena di ardore, poi pensò:

«Se Nocente picchia ancora Raffaella, aneli io lo piglio per il collo e lo scaravento sul prato!»

Erano arrivati sulla piazza della fontana dove c era la casa municipale e la scuola. Che formicolio di ragazzi! Era una giornata serena, ma dalle cime già spruzzate dalla prima neve, tirava una brezza che coloriva di pavonazzo le guance dei ragazzi robusti, e sbiancava, accapponando la pelle, quelle dei gracili.

La mattina c’era la scuola per i ragazzi; dopo mezzogiorno quella per le bambine, ma la maestra della scuola femminile, teneva pure la prima classe della maschile. Era una simpatica signorina; in abito d’estate colla testa avviluppata in uno scialletto di lana bianca, ritta sulla porta della scuola con uno scartafaccio in mano, essa accoglieva i ragazzi.

«Avanti, presto: tu chi sei? Marotti? bene, la sezione di qui, a sinistra. Mi raccomando, vero? silenzio lì dentro!» [p. 58 modifica]

Le si affollarono intorno dei ragazzi già grandini a riverirla colle faccie sorridenti.

«Oh, come state? io sto bene, grazie. Non siete più con me quest’anno; entrate lì dal signor Cerini. Siate bravi, mi raccomando: fatemi onore. Oh, Martino, come va? E il tuo povero fratellino.... non c’è più!... povero, povero Peppotto.... ma tu sarai buono quest’anno, non È vero? il più buono della classe perchè hai un angioletto in cielo che prega per te. Oh, benvenuto, sor Bernardo, mi portate il vostro omone.... Oh! com’è cresciuto! ma guardate, guardate: è alto come il Brusa che ha quasi dieci anni! O che ti devo proprio mettere nella prima classe con quella statura, di’? Tu sei obbligato a studiar molto se non vuoi sfigurare. So che sei stato il primo anche all’asilo.»

In quella un gran baccano scoppio all’imboccatura della strada, e sette o otto ragazzi arrivarono urlando, ridendo, e tratto tratto guardandosi indietro.

Ed ecco giungere, rimbalzando con gran fracasso, tirato da due ragazzi, un carrettino su cui era legato con grosse corde questo qualche cosa che poteva essere un fagotto di panni o un maialino, o un cane.... sì, un animale senza dubbio, perchè un acuto guaito si udì al di sopra delle risate e delle grida.

«È Nocente!» disse Natale stupito, e pigliò la rincorsa per vedere.

«Ogni giorno una nuova, eh?» esclamo Bernardo, col suo vocione, e in quattro passi raggiunse anch’egli il carretto. I due fratelli di Nocente, gl’indivisibili, lasciarono il timone coll’aria molto meravigliata che qualcuno non trovasse divertente quello scherzo.

«Non voleva venire a scuola, l’abbiamo legato per portarvelo.» [p. 59 modifica]

«Bel modo! se non gli avete rotta la testa è un miracolo guardate come sanguina dal naso.»

Nocente sentendosi difeso si mise a strillare ancora più forte, tirando calci come un indemoniato.

«Ohe, quieto, se vuoi che ti liberi» disse Bernardo chinandosi per slegarlo, mentre Natale gli asciugava il sangue colla sua pezzuola: ma Nocente, quando rizzò la testa e lo vide, gli disse: «Lasciami stare, stupido!» e gli fece volar la pezzuola lontano.

Prima che Bernardo avesse il tempo di lasciargli andare uno scappellotto per la sua malagrazia, Nocente balzò in piedi come un cavallo imbizzarrito, e si slanciò, cogli occhi che mandavano fiamme e tutto il corpicino fremente, contro i suoi fratelli.

Bernardo con una mano afferrò tutte e due le sue e il ragazzo, trovandosi impotente a vendicarsi, gridò colla voce sorda:

«Qualche giorno li ammazzo tutti!»

«Una bocca così piccola e una bestemmia così grossa!» disse Bernardo ridendo. «È la prima volta che gli altri riescono a fartene una e parli di vendetta! I tuoi fratelli hanno agito male, ma credevano giocare. Andiamo, entra in scuola, e tira dritto se vuoi che gli altri ti trattino bene.»

Nocente alzò il viso sfacciato e pauroso ad un tempo a guardare quell’omone che gli faceva la predica, e finchè la sua mano lo tenne stretto ebbe l’aria di ascoltare, ma quand’egli lo lasciò andare, sgattaiolò, facendo a Natale una smorfia che lo fece somigliare una scimmia.

«Bravi ragazzi,» disse la maestra quando tutti furono in classe «mi piace di vedere che avete tutti le faccie allegre. Nessuno di voi è stato portato qui [p. 60 modifica]legato come un porchetto come se la scuola fosse un macello, vero?»

I bambini risero.

«Così mi piace. La scuola è una benedizione, e gli scolari devono venirci come a una festa. Quando riusciremo a riacchiapparlo quell’uccello di bosco gli mostreremo quanto ha avuto torto di fuggire la scuola a quel modo. Vi troverà tutti attenti, sodisfatti, contenti e penserà: — To’ io credevo che ci si stesse così male!... — »

I bambini la guardarono cogli occhi illuminati di buonumore.

«Ed ora cominciamo a trovar i posti. In schiera tutti! i più piccini qua a destra, i più alti di là. Natale Martinez, cosa fai? dimentichi la tua altezza per non ricordarti che gli anni, eh? Mettiti senz’altro il primo a sinistra: non c’è dubbio che li sopravvanzi tutti.»

Natale era davvero distratto in quel momento: pensava ancora a Nocente e diceva fra sè: «Però è proprio cattivo; io gli asciugava il sangue e lui mi risponde con una villania. Se fosse stato gentile l’avrei preso per mano e condotto in classe con me. Oh, Maso e Rico hanno fatto bene a legarlo, è proprio una bestia cattiva. Non lo guarderò più, non gli dirò più una parola!... Però se picchia ancora Raffaella!... Dopo la scuola anderò io a prenderla all’asilo e l’accompagnerò a casa! vedrò se Nocente ha il coraggio!...»

Ma Natale, finita la scuola non pensò più alla sua piccola amica. S’affrettò a casa ansioso di mostrare a babbo e mamma i quaderni, l’abaco e il sillabario. E doveva fare una pagina di aste! [p. 61 modifica]

All’asilo, organizzato col sistema Fröbel, aveva avuto un insegnamento oggettivo, e col gesso sulla lavagna e colla matita sui fogli quadrettati, aveva imparato a tracciare le verticali e le perpendicolari, ma ora doveva fare delle righe che non erano nè le une nè le altre! e su carta semplicemente rigata di traverso!

Il babbo e la mamma si passarono con compiacenza il quadernetto su cui la maestra aveva scritto: Natale Martinez, alunno della I classe elementare, poi esaminarono gravemente il modello di aste tracciato nella prima pagina: sembravano tanti frustini.

Il babbo andò poi in paese a comperare una boccetta nuova d’inchiostro, poi ci tornò per le pennine che aveva dimenticate: la mamma intanto provò tutte le seggiole della casa accanto alla tavola, e finì col fare presto presto, con un pezzo di tela sdruscita insaccata di paglia, un cuscino per rialzare la sedia sempre troppo bassa; finalmente, là sulla tavola di cucina, tutta occupata da quaderni e carte sorbenti, Natale si mise alla grande impresa!

Teneva i gomiti larghi, aveva la facciona rossa e seria e quasi non respirava. Babbo e mamma, chinati con attenzione e con beatitudine, tenevano gli occhi fissi alle dita grassone del figliolo che impugnava con energia la penna. Ad ogni asta il bambino si fermava a guardare, scrollando la testa con aria malcontenta; ma il babbo esclamava:

«Niente paura! coraggio! è fin troppo bene! si capisce che hai imparato a fare i disegni sulla carta quadrettata, guarda che mano sicura! Bell’e grande come sono, io suderei, te lo dico io, Grazia! suderei, e dovessi tirar giù un’asta come quella!...» [p. 62 modifica]

Grazia badava a tener lontano la gatta e Perin perchè non disturbassero, e diceva: «Non appoggiarti alla tavola, Bernardo: la farai tremare.» E subito vedeva se al pennino c’era attaccato un filo o colava troppo abbondante l’inchiostro, e arrestava a tempo la mano di Natale prima che accadesse un disastro.

Quando la pagina fu finita, mentre s’asciugava, Natale s’appoggiò allo schienale della seggiola con un sospirone di sollievo, e dopo un momento disse. «Prima d’arrivar a scrivere bene ce ne vuole! E c’è anche la lettura.... Pensa, babbo, che per la fine dell’anno noi dobbiamo aver letto tutto, tutto questo libro! Chi sa quante pagine sono! Io dico che sono cento!»

Bernardo lo prese, lo sfogliò, guardò in fondo, «sono.... guarda tu, Grazia, quante pagine sono.»

«Sono trentadue.»

«Figurati! tre volte dieci e poi ancora due! E voi dovete leggerlo tutto in quest’anno! È proprio un miracolo. Mah! ci vuole una gran testa per fare i maestri! Ecco che questi bambini oggi hanno imparato l’o e fra pochi mesi leggeranno e storielle.... Ringrazia la Provvidenza, caro Natale, che t’ha fatto nascere in un tempo che s’è obbligati a imparare da piccini, quando la mente è tenera come la terra appena vangata e tutto vi si pianta senza fatica. Vedi, tuo nonno, non sapeva scrivere neppure il suo nome, e doveva far una crocetta quando doveva firmare qualche cosa. Io tuo padre, sono venuto fino ai vent’anni ignorarne come un bue, e se arrivavo a un paese dovevo dimandar intorno per saper dove mi trovavo perchè non sapevo leggere l’indicatore. Mi vergogna soltanto a dirlo, sai? Per fortuna andai soldato e mi hanno insegnato: ma che fatica, figliolo, è [p. 63 modifica]come voler che un povero uomo ch’è rimasto tutta la vita in letto si metta a far la salita del Monte Rosa. Eh, caro mio, le gambe non vogliono portare, s’è tutti ingranchiti e si fa una di quelle fatiche a portarsi innanzi, da far dolere le ossa per un pezzo.»

«Tu parli sempre come s’egli fosse già un uomo» disse Grazia.

«Ma perchè lui capisce tutto, vero ometto?»

Natale fece segno di sì, con un’espressione seria e pensierosa nello sguardo che non era da bambino.