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legato come un porchetto come se la scuola fosse un macello, vero?»
I bambini risero.
«Così mi piace. La scuola è una benedizione, e gli scolari devono venirci come a una festa. Quando riusciremo a riacchiapparlo quell’uccello di bosco gli mostreremo quanto ha avuto torto di fuggire la scuola a quel modo. Vi troverà tutti attenti, sodisfatti, contenti e penserà: — To’ io credevo che ci si stesse così male!... — »
I bambini la guardarono cogli occhi illuminati di buonumore.
«Ed ora cominciamo a trovar i posti. In schiera tutti! i più piccini qua a destra, i più alti di là. Natale Martinez, cosa fai? dimentichi la tua altezza per non ricordarti che gli anni, eh? Mettiti senz’altro il primo a sinistra: non c’è dubbio che li sopravvanzi tutti.»
Natale era davvero distratto in quel momento: pensava ancora a Nocente e diceva fra sè: «Però è proprio cattivo; io gli asciugava il sangue e lui mi risponde con una villania. Se fosse stato gentile l’avrei preso per mano e condotto in classe con me. Oh, Maso e Rico hanno fatto bene a legarlo, è proprio una bestia cattiva. Non lo guarderò più, non gli dirò più una parola!... Però se picchia ancora Raffaella!... Dopo la scuola anderò io a prenderla all’asilo e l’accompagnerò a casa! vedrò se Nocente ha il coraggio!...»
Ma Natale, finita la scuola non pensò più alla sua piccola amica. S’affrettò a casa ansioso di mostrare a babbo e mamma i quaderni, l’abaco e il sillabario. E doveva fare una pagina di aste!