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Non badare ve’, a quelli che han l’aria di dire che l’ubbidienza è servitù, e fanno spallucce a ogni comando e danno un calcio a tutto quello che ingombra la loro strada. Io ti dico che se non si prende fin da piccini l’abitudine dell’ubbidire, dopo non la si impara più; e allora è un affar serio, sai, perchè ubbidire bisogna sempre: se non è a qualcuno è a qualche cosa: se non è a ciò che ci comandano gli altri, è a ciò che ci comanda la nostra coscienza. Hai capito, Natale?»
Natale fece cenno di sì col capo, perchè, sebbene non avesse compreso tutto perfettamente, capì che entrar nella scuola elementare voleva dire una cosa molto seria. Provò anche un momento di malinconia, come se avesse abbandonati per sempre i suoi giochi e Raffaella; quasi che per essere scolaro dell’elementare dovesse dir addio a tutto ciò che divertiva il bambinone dell’asilo.
«Perchè le bambine non istanno con noi nella scuola dei grandi?» dimandò poi.
«Non so: al di là del monte, in Svizzera, stanno insieme, ma son di natura più quieti e gentili quei ragazzi, e non danno spintoni e pugni alle bambine, come fate voi.»
«Io non ho mai picchiato nessuna bambina!» esclamò Natale.
«Oh, lo credo bene! se ti sapessi capace di una simile viltà...!» E Bernardo alzò la sua lunga mano in atto di minaccia. «Questa è sempre stata la mia idea, figliolo mio, che chi batte una donna è capace di tutto.»
«Nocente picchia sempre Raffaella,» disse Natale.
«Nocente arrischia di finir male. Dio lo castigherà qualche giorno, ne ho paura.»