Il fanciullo nascosto/Il primo viaggio
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Il primo viaggio.
Vecchia com’era e dopo aver girato mezzo mondo — a Lourdes per devozione, a Barcellona per affari, a Roma come testimone in un famoso processo — donna Itria ricordava sempre il suo primo viaggio: ricordo che si perdeva nella notte dei tempi.
«Nella notte dei tempi» era questa l’espressione che usava ogni volta che veniva da noi a Nuoro, ospite in casa nostra, e raccontava il suo primo viaggio. E veniva spesso perchè aveva parecchie liti da sbrigare: parlava bene, e in Tribunale difendeva le sue cause come un avvocato. Era virile: veniva a cavallo, seduta a cavalcioni come un’amazzone, seguìta da un servo a cui non rivolgeva la parola se non per rimproverarlo di qualche cosa. L’uomo era paziente e non replicava; ma appena vedeva donna Itria volgere le spalle si batteva l’indice nero sulla fronte per dirci che la padrona era matta. Una volta però ella lo maltrattò tanto che egli parlò male di lei apertamente. Poche parole sole:
— Basti dire che ha fatto morire il marito al manicomio.
Ma donna Itria disprezzava gli uomini; quando seppe ch’io dovevo sposarmi venne apposta per portarmi un dono e per ripetermi la famosa storia del suo primo viaggio onde io ne traessi insegnamento.
«Nella notte dei tempi, sai, ma quando gli uomini avevano già acquistato la malizia. Le donne forse non ancora, almeno io. Ma chi avrebbe dovuto insegnarmela? Mio padre e mia madre morti: mia sorella Bonaria zoppa tanto che non usciva mai di casa; mio nonno, col quale vivevamo, semplice all’antica, tanto semplice e tanto all’antica che aveva fatto testamento lasciando a Bonaria quattro quinti dei suoi beni, cioè il salto di Sant’Antoni ’e Mare, che solo di pascolo d’asfodelo dava la rendita da poterci vivere una famiglia. E sai perchè aveva fatto questo? Perchè io, diceva lui, i salti e le tancas li avevo negli occhi, e Bonaria non avrebbe mai trovato marito. Io non mi lamentavo: avevo le gambe svelte e mi pareva di poter andare in capo al mondo in cerca di fortuna e di felicità. Ed ecco, infatti, quell’anno s’andò, io con un mio zio e una mia zia sposi attempati che con quello facevano il loro viaggio di nozze, a San Giovanni di Mores: quindici ore di viaggio in diligenza.
«Nella notte dei tempi, sì; era notte ancora quando si partì: io ero allegra ma anche piena di rimorso perchè la povera Bonaria restava a casa; ma pensavo di portarle un bel dono, un agorajo d’argento o le calze turchine che allora cominciavano a usarsi: e glielo portai davvero il bel dono, vedrai! Il cuore mi batteva (sai quanti anni avevo? quindici in sedici!) perchè uscendo di casa in punta di piedi per non svegliar Bonaria e attraversando il paese addormentato mi pareva di sentir mille rumori, vale a dire, che tutta la gente del mondo andasse alla festa cantando e suonando. Ed ecco la diligenza grande come una casetta si muove sotto un arco di stelle: eravamo dentro noi soli, gli zii sotto lo stesso gabbano per tenersi ben stretti, io col mio scialle ricamato a garofani. Lo zio diceva:
«Ma chiudi quelle lanterne, Itria!» Figurati se avevo voglia di dormire. Tutta la terra tremava e rombava intorno a me, e mi pareva di correre giù per un monte con tante stelle che s’affacciavano fra gli elci neri a guardarmi, e il mare in fondo alla strada. Si sentiva infatti odor di mare e mio zio disse:
«Sai dove siamo adesso, Itria? Nel salto di Sant’Antonio: verrà l’alba e l’aurora prima che l’abbiamo attraversato. Però lo godranno i tuoi discendenti: Itriè, tu però hai queste ginocchia di cerbiatta.»
E me le stringeva fra le sue mani come una cosa preziosa: ed io ridevo e lo zio diceva:
«Ne avrà, di terre, questa qui!».
Così si arrivò alla cantoniera e nel silenzio del primo mattino una voce forte eppure fresca come quella di un usignuolo gridò:
«Non dubitare, Pancraziu: starò bene: un uomo smilzo come me sta bene da per tutto!».
Infatti, appena dentro, il nuovo viaggiatore ingombrò la diligenza coi suoi cestini e le sue bisacce, e sedette come in casa sua, a gambe lunghe; rammento, aveva un grande cappotto d’orbace tutto trapunto, e ogni tanto ne scuoteva le falde gettandosele fra le gambe senza levar le mani di tasca. Ma era bello: non ho mai più veduto un giovane così bello: alto, curvava un po’ la testa per non toccare le assicelle della diligenza. Agli uomini belli anche in quel tempo si perdonava tutto. Egli non si accorse neppure di me e cominciò a parlar con gli zii: parlava forte, beffardo.
«Vanno alla festa? Eh, dicono sarà una gran festa, quest’anno: un’abbondanza del diavolo: i cani saranno legati con le salsicce.»
Lo zio lo guardava serio, e la zia guardava me sorridendo. Il viaggiatore ci aveva preso per della povera gente che forse andava alla festa per voto. Egli sporgeva il viso verso il finestrino: sorgeva il sole e monti neri e monti d’oro apparivano in fondo alla valle tutta verde: si saliva e di tanto in tanto si vedevano lungo la strada file di peri carichi di frutta. Era di settembre. Il giovane guardava i peri e diceva:
«Noi quest’anno ne abbiamo innestato quasi duemila, nelle nostre tancas di Ottana, le tancas del Rettore, mio zio, lo avrete sentito nominare».
La zia mi guardava sorridendo.
«E questo terreno è nostro, e quest’altro è nostro. Sì, quest’anno non c’è stato male: abbiamo avuto mille quarti di mandorle. Mio cugino Ascanio Piras, il nipote dell’Intendente, li avrete sentiti nominare....
Sì, mio zio li aveva sentiti nominare: gente potente, gente dalle reni forti; ma la vanagloria del viaggiatore dovette urtarlo perchè disse:
— Sì, conosco Ascanio Piras: ha preso in affitto un pezzo del salto di Sant’Antoni ’e Mare che è del nonno di questa ragazza.
Il giovane diede un balzo e si volse tutto a me come per guardare una meraviglia: non ho mai dimenticato il suo sguardo.
E cominciò a parlarmi e cominciò a scherzare con me: mi domandò quanti anni avevo e se ero sposa.
«Sì, col latte! Non vedi che ha quindici anni?» — disse lo zio.
«Ne dimostra di più: è sviluppata», disse il giovane guardandomi da capo a piedi: ed io provai caldo come accanto al fuoco, sotto il suo sguardo. Era infine il primo uomo così alto e bello che mi sedeva accanto e mi rivolgeva parole gentili: inoltre saliva gente ad ogni fermata della diligenza, ed egli mi si stringeva sempre più addosso.
Si mangiò assieme, si bevette assieme: egli mi domandò se ballavo, poi disse che sarebbe venuto alla festa del nostro paese e che mi avrebbe regalato un cavallo. Se egli parlava di una cosa di sua proprietà e io dicevo «deve esser bella» egli rispondeva pronto «gliela regalo».
La zia mi guardava e sorrideva. Così calò la sera, e si mangiò di nuovo assieme; ma la zia si sentì male e lo zio la portò fuori, nei posti accanto al vetturale, per respirare meglio l’aria fresca. Io li vedevo attraverso il vetro, avvolti nello stesso gabbano, e provavo una grande soggezione ma anche un grande piacere a stare così sola a fianco del giovine. Egli non aveva cambiato posto, e un vecchio rimasto nella diligenza, dopo che gli altri eran tutti scesi all’ultima stazione, s’era sdraiato e dormiva. Era una sera fresca di settembre, e di nuovo tante stelle guardavano dai rialzi neri e l’odore del lentischio arrivava fino a noi. Io tacevo e anche il giovane taceva: solo mi domandò:
«Ha freddo?» e prese il suo grande cappotto e lo stese sulle mie ginocchia, tirandone una falda sulle sue: così sotto mi prese la mano. Io volevo gridare; ma tremavo tutta e non potevo aprire le labbra. E così si arrivò: per tutta la notte io non chiusi occhio, in casa del nostro ospite; desideravo morire tanto ero felice, e il viaggio, l’incontro, l’amore del giovane tutto mi pareva un sogno. E appena alzata ecco vidi lui in fondo alla strada come il sole. E così si andò assieme alla festa, e si ballò, e si tornò assieme: e nel lasciarci egli promise di venire alla nostra festa, in ottobre.
Lo aspettai un anno e un mese: finalmente arrivò suo zio il Rettore; rammento, era un prete così grasso che il cavallo sudava per portarlo: un prete che pareva un vescovo, con le calze di seta e le fibbie d’argento. Ebbene, egli domandò per suo nipote la mano di sposa di Bonaria! Perchè devi sapere che in quel frattempo nostro nonno era morto e lei rimasta erede del salto di Sant’Antonio. Io ero quasi povera: a che mi giovavano le mie gambe svelte?