Il diavolo nella mia libreria/Effetti di donna su di un povero giovane
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Effetti di donna su di un povero giovane.
Io ho, direi, sotto gli occhi della memoria un caso compassionevole di questo instupidimento provocato dalla femmina, a danno di un giovane, per cui io nutrivo la più grande ammirazione e coltivavo le più pure speranze per la patria. Questo giovane si era dato alla vita politica con un programma di audaci riforme, ma del tutto accettabile, in quanto che non erano di importazione né germanica né russa, ma scaturite dalla necessità della vita italiana. «Ce ne vorrebbero cento di questi giovani!» dicevo fra me.
Era un giovane pieno di fede, di energia, e di vita modesta. Aveva una bella fronte quasi marmorea; due pupille scintillanti; capelli nerissimi, folti, disciplinati. Sventuratamente la sua bocca era deformata da una cicatrice per una ferita, toccata nella guerra. Io ammiravo la sua posizione di combattimento, e ascoltavo quasi come scolaro le sue lucide parole.
Confesso che, se io non fossi arrivato a quella tappa del pensiero in cui tutte le posizioni politiche di combattimento si equivalgono, mi sarei messo al suo seguito. Ma se non lo potevo seguire, lo ammiravo.
Se non che un bel giorno me lo vedo comparire davanti tutto mutato: con gli occhi abbacinati e la fisonomia stravolta.
Che cosa era successo?
Era successo questo: che, non so da chi né come, era stato condotto ad alcuni balletti dati in certi palazzi aristocratici, in certe halls di grandi alberghi. L’infelice non parlava più dei suoi programmi d’azione, della sua prassi politica (parola a lui cara), ma parlava dei balletti, dei quadri plastici, eseguiti da dame e damigelle, delle quali descriveva minuziosamente le vesti — cito quel tanto di copertura che è necessario per mettere in valore le parti scoperte, e viceversa. Un'aberrazione! Parlava poi del décolleté di non so quale dama con così acceso stupore che mi venne a mente quella portentosa descrizione che lo Stanley fa delle foreste del bacino sorgentifero del Congo.
«Non l’ha mai visto?» mi domandò.
«Il fiume Congo? Mai.»
«No! il décolleté della contessa».
E senza essere richiesto me lo descriveva: un velo trasversale, che copre non nasconde le mammelle: tutte le spalle senza velo, ma coperte di cipria azzurra, che alla luce elettrica artificiale è di un effetto sorprendente. Sopra il décolleté due occhi neri artificiali. Sotto gli occhi, una bocca rossa artificiale: tutto il volto una maschera tragica artificiale, come usa adesso.
Il Carso, il Sabotino, il Calvario, dove egli aveva combattuto, scomparivano dalla sua memoria; o non rimanevano se non nella realtà di quella ferita deforme alla bocca, per cui difficilmente avrebbe potuto aspirare all’amore di quella dama.
Parlava dei petti nudi di altre dame e damigelle e dicea che danno l'idea di un oceano di latte, dove è dolce il naufragio.
Parlava delle bocche rosse con sì smisurate parole, che io vidi quelle cosine rosse come ventose che si dovessero riempire di sangue.
Assicurava che quelli che a prima vista sembrano lievissimi adornamenti, più e più riguardandoli, ingigantiscono in forme barbariche, guerresche, sacerdotali. Una signorina gli aveva rivelato quale era il motto su la sua giarrettiera: Fiat voluntas mea.
Io lo richiamai dolcemente alla sua posizione di combattimento, alla prassi politica, alla sua nobile rivoluzione.
«Non eravamo noi d’accordo, amico — gli dissi — di abolire queste dame, damigelle, marchese, contesse...?»
«Sì, le aboliremo, — disse dolorosamente, — cioè le sostituiremo con le più illustri operaie nel culto della bellezza, dive parlanti, dive mute, dive mimo-plastiche ecc. ecc.». Povero mio giovane amico, diventato idiota! Non è il primo caso. Ora mi ritorna in mente un verso di Guido Guinizelli, dove per descrivere l'effetto di stupore prodotto dalla vista della sua donna, dice:
Rimango come statua d’ottone.
E anche Dante ha provato qualche cosa di simile, quando dice:
Venga Medusa, sì 'l farem di sasso.
Sasso o Ottone, cioè insensato come quel mio amico.
Come si è salvato Dante? Con un tratto di spirito, così come i naviganti cambiarono il nome infausto di Capo delle Tempeste nell’altro di Capo di Buona Speranza. Dante chiamò Medusa, Beatrice; e la fece tanto magra che non c’eran che gli occhi, e un manto azzurro.
Sono assalito dal dubbio di aver commesso una mostruosa profanazione.
Ma forse, no! Anzi mi pare che Dante non faccia che ripetere una cosa così antica che risale al principio del mondo.