Il diavolo/Capitolo 13
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Capitolo XIII.
SEGUITANO LE DISFATTE DEL DIAVOLO.
Dalle vittorie che riportavano sul diavolo gli uomini vivi, passiamo a veder le vittorie che su di lui riportavano gli uomini morti fatti cittadini del cielo, e gli altri spiriti celesti, voglio dire i santi, gli angeli d’ogni grado, la Vergine Maria. I santi, gli angeli, la Vergine, erano sempre pronti ad accorrere in ajuto di chi, con salda fede e mente pura, li invocava nella perpetua battaglia contro il nemico. Qualche volta, se aveva il diritto dalla sua, il diavolo la vinceva contro gli avversarii celesti; ma il più delle volte, anche avendo dalla sua il diritto, la perdeva. Se ci entrava di mezzo la Vergine perdeva sempre, e rimaneva col danno e con le beffe.
I santi, guadagnatosi il cielo, non dimenticavano la terra, anzi volentieri assai seguitavano a ingerirsi nelle cose di quaggiù, dove erano chiese innalzate in loro onore, ordini monastici istituiti da loro, intere città e regni che si gloriavano d’averli patroni e protettori. A tutti i fedeli in genere, ma in più particolar modo ai loro devoti, essi erano larghi di ajuto, specie se si trattava di combattere il diavolo, e quando il bisogno lo richiedeva, non esitavan punto a scendere di cielo in terra, e a vestir novamente, in apparenza almeno, il peso della carne. Molti esempii se ne potrebbero recare; quello che segue è uno dei più illustri.
C’era una volta un vescovo, il quale aveva una speciale venerazione per sant’Andrea apostolo, e sempre lo invocava, e qualunque cosa si accingesse a fare, sempre cominciava con queste parole: “A onor di Dio e di sant’Andrea.„ Invidioso e fastidito di tanta santità, il diavolo mette mano alle insidie. Prende l’aspetto di una fanciulla bellissima, va a trovare il vescovo, e gli racconta una sua favola molto artificiosa: com’ella sia figliuola di un re; come il padre la volesse dare in moglie ad un principe possente; come, volendo serbare la sua verginità allo sposo celeste, ella sia fuggita dal suo paese ove non potrebbe tornare senza gravissimo pericolo. Udite queste cose, il buon vescovo, pieno d’ammirazione, la loda, la incoraggia, le offre protezione ed asilo, la invita a desinare. A tavola non sono soli; ma il vescovo, come più guarda la fanciulla, più la trova bella; come più l’ode parlare, più la giudica sensata ed eloquente, tanto che se ne innamora, e già aspetta con impazienza tempo e luogo opportuno da poterle scoprire la sua passione. A un tratto, s’ode giù gran rumore, alla porta. È un pellegrino, a tutti sconosciuto, il quale picchia a colpi replicati, e a gran voce chiede d’entrare. Il vescovo interroga la fanciulla: vuol ella che il pellegrino sia introdotto? E quella: “S’introduca; ma a patto che, dando giusta risposta a tre domande difficili, si mostri degno di sedere con voi a mensa.„ Per desiderio del vescovo e dei convitati le domande sono da lei proposte, e il nunzio le reca successivamente al pellegrino, e torna con le risposte. La prima domanda è: Delle piccole cose fatte da Dio qual è la più mirabile? Il pellegrino risponde: “La faccia dell’uomo,„ adducendo ragioni, che pajono a tutti giustissime. Alla seconda domanda, in qual luogo la terra sia più alta del cielo, il pellegrino risponde: “Nell’empireo, ove è il corpo di Cristo, fatto di terra, come quello degli uomini.„ Alla terza domanda, che distanza sia dal cielo alla terra, il pellegrino risponde: “Chi m’interroga ha a saperlo meglio di me, perchè egli è il diavolo che tutta la percorse, quando fu precipitato giù dal paradiso.„ A tale risposta inaspettata il diavolo sfuma. Il pellegrino è sparito ancor esso; ma al vescovo, che piange e confessa il suo peccato, si dà a conoscere in sogno: egli è sant’Andrea.
Gli angeli fedeli, che in antico avevano vinto e cacciato i ribelli, seguitavano a combattere contro di loro; alla fine dei tempi l’arcangelo Michele, di cui si custodivano gelosamente, nella città di Tours, la spada e lo scudo adoperati nel primo combattimento, vincerà Satana di bel nuovo e per sempre. La credenza che ciascun uomo abbia un suo proprio angelo custode è assai antica, giacchè si trova già nel secondo secolo dopo Cristo; anzi da molti si crede che ciascun uomo vada accompagnato nella vita da un angelo a destra, da un demonio a sinistra. La natural nimistà ch’è tra i celesti e gl’infernali è qui fatta più acre dalla comunità dell’oggetto su cui le contrarie potenze si esercitano, l’anima dell’uomo. L’angelo si sforza di tirar l’anima in cielo, il demonio si sforza di tirarla in inferno. Strano a pensare e doloroso a dire, l’anima razionale, e provveduta di libero arbitrio, ajuta nella maggior parte dei casi chi la vuol perdere contro chi la vuol salvare: in questa battaglia, se non nelle altre, vince assai più volte il demonio che l’angelo.
Ma nulla vince il demonio, anzi perde ogni suo guadagno ed ogni suo potere, e rimane miseramente sconfitto e scornato, quando, bella ed insuperabile avversaria, gli si leva contro la purissima donna che ha intorno al capo una corona di stelle, e schiaccia sotto ai piedi il serpe velenoso, l’avvocata di tutti i peccatori, la consolatrice di tutti gli afflitti, la madre di Gesù redentore, la dolcissima Vergine Maria. Ella è la regina del cielo e la dominatrice dell’inferno. Satana trema dinanzi a lei, trema e si nasconde solo che oda pronunziare il suo nome soavissimo. Ella è la salute, non pur degl’infermi, ma dell’intero genere umano, perchè, da una parte, non lascia fare a Satana la centesima parte del male ch’ei vorrebbe e potrebbe fare; da un’altra placa l’ira di Dio, e ottiene che non si rovesci, come giustizia vorrebbe, sui peccatori. San Damiano, rapito in estasi, la vide che con le sue preghiere tratteneva Cristo da distruggere il mondo pieno d’ogni scelleraggine e d’ogni bruttura. I fedeli costantemente la invocano, a lei confessano colpe e bisogni, in lei pongono ogni speranza: la salutazione angelica sale perpetuamente da questa valle di miserie al suo trono; le lunghe litanie formano come tanti invisibili lacci d’amore per cui le anime si sospendono a lei. Il suo potere è illimitato, e pari al potere è in lei la misericordia. Ella nulla sdegna e nulla tralascia di quanto può giovare a chi le si raccomanda, sia pure il più malvagio e indurito peccatore di questo mondo. Ella scende in terra, parla nelle immagini, si mostra in persona, ammonisce i vacillanti nella fede, dà da mangiare agli affamati, guarisce gl’infermi, salva i pericolanti, conforta i moribondi, affronta il demonio ogni qual volta è bisogno. Qui viene opportuno un esempio che Giacomo da Voragine narra presso a poco nel seguente modo.
Un cavaliere di nobile lignaggio e ricchissimo aveva, con indiscreta liberalità, dilapidato ogni suo avere, ed era venuto in tanta povertà, che dove prima soleva largheggiare nelle cose massime, ora persin le minime gli facevan difetto. Avvicinandosi una solennità, nella quale era uso di fare doni e largizioni grandissime, egli, non avendo più che dare, si recò, pieno di confusione e di tristezza, in un luogo deserto, col proposito di starci finchè la festa fosse passata. Ei v’era giunto appena, quando gli si fece incontro, seduto sopra un terribil cavallo, un più terribile cavaliere, che gli chiese la ragione della sua tristezza. Uditala, disse: “Quando tu voglia concedermi cosa di picciol momento, avrai da me più ricchezze e più gloria che mai non avesti in passato.„ Promette il cavaliere e tosto a lui il principe delle tenebre: “Torna a casa, e nel tale luogo troverai tanta quantità d’oro e d’argento, e tanta di pietre preziose: tu in compenso, nel tale giorno, mi condurrai qui tua moglie.„ È da sapere che costei era donna pudicissima e in sommo grado devota della Vergine Maria. Tornato a casa, il cavaliere trova ogni cosa come gli era stato detto, e subito compra palazzi, riscatta fondi, procaccia servi, e dona altrui largamente, com’era suo costume. Giunto il dì fissato, dice alla moglie: “Sali a cavallo, perchè bisogna che tu venga con me alquanto lontano.„ La donna tremando obbedisce, e raccomandatasi devotamente alla Vergine, cavalca dietro al marito. Cammin facendo passano davanti a una chiesa. La donna scende da cavallo, entra in chiesa, e mentre il marito aspetta di fuori, si raccomanda di nuovo alla sua protettrice e si addormenta. La Vergine allora prende l’aspetto di lei, in modo da sembrar lei medesima, esce di chiesa, monta a cavallo, e col cavaliere prosegue il viaggio. Giunti al luogo stabilito, ecco venir oltre, con grande impeto, il principe dell’abisso, poi fermarsi a un tratto, e fremendo e tremando esclamare: “O il più infedele degli uomini, perchè mi hai tu ingannato a questo modo, e perchè tal premio mi rendi de’ mie’ beneficii? io ti dissi di condurmi tua moglie e tu mi conduci la madre del Signore; io voleva tua moglie e tu mi conduci Maria.„ Allora la Vergine: “O spirito maledetto, quale temerità fu la tua, che presumesti di poter nuocere a una mia devota? Torna in inferno, e non sia mai più in te tanta tracotanza.„ Il demonio fugge ululando, e il cavaliere si getta pentito ai piedi della donna del paradiso, che gli ordina di ritorsi la sua fedele compagna, e di sperdere le ricchezze avute dal maledetto. Così egli fece, e non perciò fu povero, perchè nuove e maggiori ricchezze ebbe poi dalla Vergine misericordiosa.
Come la Vergine togliesse al demonio le scritture dei malconsigliati che stringevano patti con lui, abbiam già veduto; ma ella aveva anche altri modi di riscattar le anime cadute, per una o per un’altra ragione, in balìa del nemico. In più racconti popolari, di origine certo assai antica, si dice come il diavolo e la Vergine si facessero, l’uno compare, l’altra comare di un fanciullo, quello per condurlo in perdizione, questa per salvarlo. Di solito c’è di mezzo una promessa che il padre fece al demonio, e che favorisce molto la causa di questo; ma da ultimo, superato ogni ostacolo, trionfa la Vergine.
Molte volte le potenze celesti vincono Satana con solo mostrarsi, o con ordinargli imperiosamente di cedere il campo e lasciar la preda; molte altre volte non lo vincono se non dopo un contrasto più o meno lungo, il quale varia di qualità e di procedimento, e va dalla semplice discussione, o dal diverbio un po’ vivo, sino all’accapigliatura e al pugilato, o anche alla battaglia ordinata, quando sieno molte le forze impegnate dall’una parte e dall’altra. Non di rado pure il contrasto prende le forme e l’andamento di un vero e proprio piato giudiziale. La vittoria non sempre rimane ai celesti.
Le cause di tali contrasti erano parecchie; ma i più si facevano per decidere della sorte delle anime novellamente sciolte dai corpi: gl’infernali avrebbero voluto trascinarle tutte in inferno, i celesti condurle tutte in paradiso. Cominciava il contrasto intorno al letto dei moribondi. Venivano i diavoli, recando il libro in cui erano scritti tutti i peccati commessi da chi stava per uscir di vita; venivano gli angeli, recando il libro in cui erano scritte tutte le sue buone opere. Quello era, di solito, un libraccione ponderoso e negro, tutto vergato di spaventosi caratteri; questo un libriccino nitido e minuto, scritto di lettere d’oro. Cotai libri, insieme con la giusta bilancia in cui angeli e diavoli pesavano azioni buone e cattive, compajono assai spesso nei giudizii ove si decide la sorte delle anime.
È abbastanza conosciuta (ed io l’ho già ricordata) una terribile istoria narrata dal venerabile Beda, e ripetuta con qualche leggiera diversità da Jacopo Passavanti nel suo Specchio della vera penitenza. Un cavaliere del re Coenredo, uomo prode e di grande animo, ma vissuto assai malamente, infermò, ed esortato a confessarsi, non volle farlo, tanto che giunse presso a morte. Allora, aspettando la fine sua, egli vide comparire al suo letto due angeli, i quali si posero a leggere un libriccino in cui erano segnate alcune buone opere fatte da lui grandissimo tempo innanzi, mentre era giovine ancora. Di ciò egli si rallegrava e prendeva speranza, quando vide entrare due orribili demonii, che squadernatogli sul viso il volume de’ suoi peccati, dissero agli angeli: “Che fate voi qui? voi non avete nessuna ragione in costui, che è nostro.„ E gli angeli, guardatisi l’un l’altro, senza poter nulla rispondere se ne andarono, e i demonii, presi due coltelli affilati, cominciarono a tagliare il reo cavaliere da capo e da piede, tanto che in brev’ora morì e fu dannato.
Ma non sempre il grosso libro dei diavoli la vinceva sul libro piccino degli angeli; e si diè caso che quello non servì a nulla, sebbene gli angeli non avessero da opporgli nemmeno una pagina. Nella Visione di Frate Alberico si narra di un potente malvagio, che prima di morire si pentì, e chiese perdono a Dio. Al suo letto di morte si presentano un angelo e un demonio, questi con un gran volume di peccati, quegli colle mani vuote. Il demonio si crede sicuro del fatto suo; ma l’angelo sparge sul libro le lacrime versate dal pentito e tutto il cancella. Il peccatore ravveduto è salvo.
Spesso i santi vennero in soccorso di anime che i diavoli si forzavano di trarre in inferno; e bisogna dire che, così facendo, obbedivano molto più a un sentimento di speciale benevolenza pei loro devoti, che non ai dettami della stretta giustizia. Gli esempii abbondano. I diavoli se ne portavano entro una barca l’anima del re Dagoberto, quando scesero improvvisamente di cielo, fra tuoni e fulmini, san Dionigi, san Maurizio e san Martino, che senza stare a disputare della ragione e del torto, la tolsero loro di mano e la menarono in paradiso. Morto Carlo Magno, l’anima sua fu condotta al giudizio. Viene un nugolo di demonii che caricano de’ suoi peccati l’un dei piatti della bilancia. Questa trabocca; ma san Giacomo di Compostella e san Dionigi mettono nell’altro piatto tutte le chiese e tutti i monasteri fondati da lui, e subito la bilancia trabocca dall’altra parte, in suo favore. Un monaco, stando in orazione la notte (così racconta Leone Marsicano, morto nel 1115) vede passare con grande rombo e ruina una turba di diavoli. Chiamatone uno, gli chiede ove vadano con tanta furia, e avutone in risposta che vanno a torsi l’anima dell’imperatore Enrico III, protesta di non credere che Dio possa darla loro nelle mani, e gl’impone di venirne al ritorno e narrargli tutto l’evento. Passati due giorni, ecco riapparire il malvagio spirito, con volto dimesso, con portamento lugubre, e narrare al monaco la disfatta propria e de’ suoi. Già era durata un pezzo la contesa fra gli angeli ed essi, quando di comune accordo fu deliberato di pesare con una bilancia le buone e le cattive azioni del morto, e decidere così chi dovesse prenderne l’anima. Dato mano all’esperimento, già traboccava la bilancia in favor dei demonii, quand’ecco accorrere tutto anelante quell’abbrustolito di san Lorenzo, e gettar con grand’impeto nel piatto contrario un calice d’oro, che tempo innanzi l’imperatore aveva donato a una basilica di lui. Incontanente la bilancia trabocca da quella parte, e i diavoli debbono, confusi e scornati, rinunziare alla preda e prendere il volo.
Ma non sempre i santi potevano ricorrere a così ponderosi argomenti, e allora, qualche volta, finiva che dovevano cedere a chi aveva più ragione di loro. Quando morì Guido da Montefeltro, resosi frate dopo aver menato una vita scelleratissima, venne san Francesco in persona per raccorne l’anima e recarla in cielo; ma uno de’ neri cherubini (così dice Dante) gli si levò a fronte garrendo:
Nol portar; non mi far torto: |
Forse |
Vedremo qualche altro caso in cui il demonio si addimostra loico, e de’ buoni.
Bastava invece una lacrima di pentimento sincero per far perdere al demonio ogni sua ragione, o almeno per indurre i celesti a non tenere le sue ragioni in conto alcuno. Dice lo stesso Dante che quando il figliuolo di Guido da Montefeltro, testè ricordato, Buonconte, ferito alla battaglia di Campaldino, rese l’anima col nome di Maria sulle labbra, tosto venne l’angelo di Dio, e prese l’anima del pentito; ma il demonio, accorso ancor egli, gridò:
O tu dal ciel, perchè mi privi? |
L’angelo non gli bada e non gli risponde nemmeno. Allora il demonio chiama in suo ajuto i venti, congrega le nubi, suscita una furiosa procella, e fa che le acque dilagate travolgano l’altro, cioè il corpo di Buonconte, per modo che più non se n’ebbe novella.
Noi abbiamo qui, e nell’esempio precedente, il contrasto nella forma sua più semplice e temperata, perchè non si può dire che vi sia propriamente neanche diverbio. In fatti, san Francesco nulla risponde alle buone ragioni del diavolo loico, e nulla risponde l’angelo ai rimproveri del vinto avversario. Ma una tale forma, appunto perchè troppo semplice e temperata, difficilmente avrebbe potuto appagare la fantasia dei mistici e del popolo. Talvolta le parole son molte fra gli avversarii. In una delle Visioni di san Furseo, i demonii disputano assai dottamente con gli angeli di peccati e di penitenza, citano le Scritture, e fanno grande sfoggio di dialettica. Sovente alle parole tengono dietro i fatti. San Gregorio Magno narra di un’anima contrastata, che i diavoli tirano per lo gambe verso l’inferno, e gli angeli per le braccia verso il cielo. Per l’anima di Baronto contrastano due demonii e l’arcangelo Raffaele. Disputano un giorno intero, senza venire a nessuna conclusione: finalmente l’arcangelo, perduta la pazienza, taglia corto ai ragionamenti, e tenta di tirar l’anima in cielo; ma invano, perchè l’uno dei demonii l’afferra e la tira dal lato destro, mentre il suo compagno, da tergo, la tambussa di calci. La battaglia dura un pezzo e si fa più aspra, con molta consolazione di quell’anima tapina. Sopraggiungono altri quattro demonii in ajuto dei due, altri due angeli in ajuto dell’arcangelo. Dàgli e picchia, finalmente quelli han la peggio e questi trionfano. Alcuna volta furono veduti angeli e diavoli, sotto forma di colombi e di corvi, combattere insieme pel possesso di un’anima.
Ho accennato anche a combattimenti più generali, in cui erano impegnate molte milizie dell’una e dell’altra parte, e che avevano ragioni pure più generali. Una volta, nel deserto, l’abate Isidoro mostrò all’abate Mosè, dalla parte di occidente l’esercito dei diavoli, dalla parte di oriente l’esercito degli angeli, quello in procinto di assaltare i santi uomini, questo pronto a difenderli. Un tale, di cui narra la visione san Bonifacio, apostolo della Germania, assistette a una specie di contrasto generale di angeli e di demonii, questi intesi ad accusar le anime e gravare i peccati, quelli intesi ad alleviare e scusare. Non sarà finalmente fuor di luogo avvertire che il più antico esempio conosciuto di contrasto fra angelo e demonio, è nella così detta Epistola cattolica di Giuda, che i critici hanno comunemente ora in conto di apocrifa, ma che si trova già ricordata nel secondo secolo dell’era volgare.
Talvolta, se angeli e santi non riuscivano a tenere a segno i diavoli, e a far lasciar loro la preda, veniva in mezzo la Vergine e subito la contesa finiva. In un esempio recato da san Pier Damiano, i diavoli, dopo avere disputato a lungo con gli angeli, lasciate le parole, ricorrono alla violenza, e si sforzano di trascinare l’anima in inferno. Già è men risoluta la difesa degli angeli sopraffatti, quando appare improvvisa fra i combattenti, in un nembo di luce sfolgorante, la Vergine cinta di milizie celesti. Si rinnova la disputa, e la Vergine, riconosciuto non avere i diavoli tutto il torto, ordina all’anima di rientrare nel corpo e di confessare un gravissimo peccato, sempre per vergogna taciuto. Così i diavoli rimangono frodati del loro diritto. Non senza qualche ragione dunque dice Satana a Maria nel Giobbe del Rapisardi:
Gelosa |
I contrasti fra Satana e la Vergine sono assai numerosi, e parecchi tra essi provocati, non dal disputato possesso di un’anima, ma dallo stesso antagonismo incessante che è tra il bene e il male, tra il cielo e l’inferno. Tale, e per più rispetti singolare, è quello che nel XIII secolo compose, in rozzi versi, un frate del terzo ordine degli Umiliati, Bonvesin o Buonvicino da Riva. Satana in esso si mostra assai più loico del diavolo di Dante, e oppone alle invettive della Vergine certi argomenti che danno assai da pensare. Perchè ella, che a tutti i peccatori è tanto pietosa, non ha per lui pietà alcuna? perchè, tra gl’infiniti peccati che si commettono tuttodì nel mondo, solamente il suo, quello per cui egli fu cacciato dal cielo, non può essere espiato? perchè si compiace ella di defraudarlo continuamente d’ogni suo giusto guadagno e di torgli quanto per legittimo diritto gli appartiene? Se ella è madre di Dio, non è a lui che ne va debitrice? perchè senza di lui non vi sarebbe stato peccato, e senza peccato non vi sarebbe stato bisogno di redenzione, e se di redenzione non ci fosse stato bisogno, ella non avrebbe partorito il Redentore. E perchè Dio non creò lui così buono che non potesse peccare? E se di tanta grazia non voleva essergli largo, perchè, antivedendo il suo peccato, lo creò? Se Dio non l’avesse creato, egli non sarebbe demonio, e non brucerebbe per l’eternità, senza speranza, nel fuoco d’inferno. Sembra che Dio gioisca di sua irreparabile miseria. Cristo morì pel peccatore umano, e non già per lui, demonio: a lui nulla toccò del beneficio della redenzione, e lo stesso beneficio del peccato gli è tolto continuamente contro ogni ragione e giustizia. In qualche altro contrasto tiene il luogo della Vergine Cristo in persona.
Notisi che Satana ha un concetto assai chiaro e saldo del proprio diritto; di quel diritto che, mercè il peccato dei primi parenti, egli acquistò sulla umanità tutta intera, e sulla natura; di quel diritto che Padri e Dottori della Chiesa ripetute volte riconobbero in lui, e del quale l’opera della redenzione lo spogliò solamente in parte, non in tutto. Ora, l’affermazione di un tale diritto da parte sua, le continue lesioni recate ad esso dagli avversarii celesti, i dubbii circa la sua vera natura e i suoi limiti, danno luogo a una vera controversia giuridica e a una formal procedura. Ne nasce il così detto Processo di Satana, che diede materia a giureconsulti di professione, e di cui sono varie forme.
L’idea di esso sembra essere molto antica e risalire sino a Marcione, l’eresiarca del secondo secolo. In una delle già citate Visioni di san Furseo, il demonio e l’angelo non potendosi accordare sopra il possesso di un’anima, deliberano di appellarsi a Dio. A forma piena tuttavia il processo non perviene se non per opera del famoso Bartolo da Sassoferrato (1313-1357), di cui si ha in latino, un Trattato della questione ventilata innanzi al Signor Gesù Cristo, fra la Vergine Maria dall’una parte e il diavolo dall’altra. Il demonio accusa il genere umano, Maria lo difende, Cristo è giudice, Giovanni Evangelista notajo e scrivano della curia celeste. Il processo comincia con una regolare citazione, e la prima udienza è fissata, a dispetto di Satana, pel venerdì santo. Satana tenta di ricusare l’avvocata della parte avversaria per due ragioni, la prima perchè madre del giudice, la seconda perchè donna; ma non gli riesce. Invoca allora, in appoggio del suo diritto, la prescrizione, e dall’una parte e dall’altra si cita a gara con grandissimo impegno il Corpus juris. La sentenza, favorevole al genere umano e contraria al suo avversario, reca la data del 6 aprile 1311. Più altri processi consimili si hanno in latino, in italiano, in francese, in tedesco. In essi il querelante è sempre il demonio, l’accusato il genere umano, o la Vergine Maria, la quale talvolta si presenta invece come avvocata, il giudice, di solito, Cristo. Qualche altra volta l’accusato è Cristo medesimo, a cui il demonio rimprovera di avere, contro il diritto, salvato il genere umano e spogliato l’inferno. Nel Processus Luciferi di Jacopo degli Ancarani da Teramo (m. 1410) la causa va di appello in appello, giudicata prima da Salomone, poi da Giuseppe, finalmente da Geremia, Isaia, Aristotile, Augusto imperatore. Lucifero è condannato ai danni ed alle spese. Il processo si fa sempre più complicato e più lungo. Quello composto sul finire del secolo XVI dal poeta drammatico tedesco e dottore in ambe le leggi Jacopo Ayrer, conta, nella edizione del 1680, senza l’indice, 860 pagine in quarto. In tutti il demonio si mostra valentissimo legulejo, ma senza frutto. In un poemetto francese del secolo XIV, l’Advocacie Nostre Dame, egli, dopo avere addotto inutilmente in sua difesa molte e ottime ragioni, vedendo che nulla gli giovano, se ne va esclamando:
Ma per lui non v’è giustizia, come non v’è misericordia. Nemmeno nel proprio suo regno, nemmeno in inferno, egli può tenersi sicuro dalle offese degli avversarii. Cristo vi discese una volta, e ne trasse tutto un popolo di anime: la Vergine, gli angeli, i santi, vi scendono ancora, come abbiam veduto, di tanto in tanto, e vi turbano gli ordini stabiliti sotto la sua signoria, concedono, senza chiedergliene licenza, alleviamento di pena e riposo ai dannati. Anzi fanno assai più: strappano i dannati all’inferno e, dopo ragionevole espiazione, o anche senza di essa, li portano in cielo a godere della beatitudine eterna. Questi casi non sono, se vogliamo, tanto frequenti, ma non sono nemmen poi tanto rari. A furia di preghiere san Gregorio Magno liberò dall’inferno l’anima di Trajano imperatore. Sant’Agostino racconta come Dinocrate fu liberato per le preghiere di sua sorella Perpetua. Santa Viborada liberò nello stesso modo un fanciullo, e sant’Odilone, abate di Cluny, rese tale servigio all’anima di Benedetto IX papa, che veramente non lo meritava. Di un certo Evervach, dannato, a cui Dio permette di tornare al mondo per farvi penitenza, narra Cesario di Heisterbach, e sono numerose le leggende in cui tale miracolo si compie per intercessione della Vergine. In un dramma, o Mistero tedesco della fine del secolo XV, si vede la stessa papessa Giovanna, di leggendaria memoria, liberata dall’inferno, e condotta in cielo, per le preghiere di Maria Vergine e di san Niccolò, e per le mani dell’arcangelo Michele, che respinge con la spada i diavoli contrastanti. Ma c’è di più. Nella Visione di un monaco Ansello (sec. X) si dice che tutti gli anni, nel giorno della Risurrezione, Cristo scende all’inferno, e libera le anime dei peccatori meno malvagi. In un favolello francese, un giullare, lasciato dai diavoli a custodia dell’inferno, giuoca le anime a dadi con san Pietro, il quale vince, e tutte le conduce in paradiso. Tra esse ci doveva essere anche l’anima di Aristotile, la quale non aveva potuto prima ottener tanta grazia. Nella Vita di san Bonifacio vescovo di Losanna (m. 1258 o 1259) si legge che questo santo aveva gran dispiacere della dannazione di Aristotile, e spesso pregava Dio perchè volesse salvarlo, finchè un giorno venne una voce dal cielo, e gli disse che ogni sua preghiera era inutile, giacchè Aristotile non aveva fondato la chiesa di Cristo, come poi fecero san Pietro e san Paolo.
Come si vede, se grande era la potenza di Satana e degli spiriti suoi, più grande era la potenza di Dio, e della Vergine, e dei santi, e degli angeli. La croce trionfava dell’inferno, era a un tempo stesso arme e simbolo di vittoria. Cristo era maggior signore di Satana, e la storia di quel buon gigante che fu san Cristoforo mette questa verità in azione. Cristoforo era un uomo di terribile aspetto, e alto dodici cubiti, cui venne in fantasia di voler servire il maggior signore che fosse nel mondo. Andò a trovare un gran re, di cui diceva la fama che fosse il più possente di tutti e il più magnifico, e si pose ai suoi servigi. Avvenne un giorno che uno di quei giullari di corte si mise a cantare una sua canzone in cui ricorreva frequente il nome del diavolo, e il re, ch’era cristiano, ogniqualvolta l’udiva pronunziare si faceva il segno della croce. Stupì Cristoforo, e ne chiese la ragione, e saputo che il re si segnava a quel modo per difendersi dal demonio, comprese questo essere maggior signore di quello, e, osservando il suo proposito, subito si partì e andò in traccia del nuovo padrone. Camminando per certa solitudine, trova uno sterminato esercito, il cui capitano, fiero e terribile in vista, gli chiede ove vada e la cagion dell’andare. Io vado cercando, risponde Cristoforo, messer lo demonio, perchè voglia tormi al suo servigio. “Colui che tu cerchi sono io medesimo.„ dice il capitano, e Cristoforo, lieto dell’incontro, gli si obbliga servitore in perpetuo. Se ne vanno in compagnia, e in certa strada trovano una croce. Vedutala appena, il demonio, pien di terrore, scappa, e trascinandosi dietro il nuovo servo, passa per luoghi aspri e deserti, e solo in capo di certo tempo ritorna sulla strada di prima. Si meraviglia Cristoforo, e vuol sapere la ragione del fatto. Il diavolo, sebbene mal volentieri, gliela dice: “Sappi che un uomo, chiamato Cristo, fu appeso in croce, ed io temo assai questa croce, e fuggo quando la veggo.„ E Cristoforo: “Quel Cristo è dunque maggiore e più possente di te? Orbene, rimanti in buon’ora, perchè io voglio servire, non te, ma lui.„ Ciò detto si parte, e dopo avere a lungo chiesto e cercato di Cristo, trova un eremita che lo istruisce nella fede cristiana, e gli fa conoscere quel padrone da cui più non si partirà.