Il cappello del prete/Parte prima/X

X. - Primi spaventi

../IX ../XI IncludiIntestazione 22 maggio 2015 100% Da definire

Parte prima - IX Parte prima - XI
[p. 101 modifica]

X.


Primi spaventi.


Che cosa provasse dentro di sè l’assassino a leggere stampato in lettere di scatola un nome ch’egli credeva d’aver cancellato dalla faccia della terra, è difficile dirlo. Se non fosse stato nelle braccia della poltrona sarebbe caduto miseramente in terra. Provò un gran peso in tutto il corpo: il sangue si fece prima caldo come piombo liquefatto, poi rigido come mercurio, e non ci volle che la sua straordinaria energia morale, corazzata di metafisica, perchè egli non si tradisse con un moto inconsulto o con un grido.

Per fortuna Granella fu distratto da alcune persone che entrarono in quel mentre nella bottega, e non stette a osservare il pallore livido che era sceso sul volto del barone. Questi, chiusi un istante gli occhi, ebbe tempo di irrigidirsi nella sua sensazione e di preparare una faccia di smalto. Ma quando si guardò nello specchio, credette di vedere un morto.

Ecco che cosa raccontava il «Piccolo»: [p. 102 modifica]

«Il grande avvenimento di Napoli è la vincita al lotto di quasi mezzo milione fatta dal cappellaio Filippino Mantica, vincita che ha messo in rivoluzione le Sezioni di Pendino e di Mercato, dove il cappellaio è conosciuto e più conosciuto ancora prete Cirillo detto u prevete.

«Chi è prete Cirillo? è un negromante, un mago, un cabalista, un Nostradamus che ha il secreto dei numeri e vince quando vuole e fa vincere chi vuole.

«La fama di prete Cirillo cominciò l’anno passato, quando salvò la pelle dalle unghie di alcuni camorristi, dando un terno che uscì tutto intero. Quei buoni camorristi furono tanto riconoscenti del servizio, che minacciavano di sequestrarlo un’altra volta. Vi par poco avere un uomo che fabbrica i milioni coi numeri del lotto?

«Il prete li teneva a bada col pretesto che soltanto una volta all’anno vedeva chiaro nella congiunzione dei pianeti, in cui pare sia posto il segreto dei numeri.

«— U prevete fa l’ovo d’oro soltanto una volta l’anno — ci diceva una vecchia stracciamola, alla quale ci siamo rivolti per aver spiegazione del fatto. Questa donna abita nella casa stessa dove abitava prete Cirillo; diciamo abitava, perchè il prete ha fiutato il subbuglio e ha preso a tempo il volo per ignoti lidi. Fuge rumores....» [p. 103 modifica]

— Non è una storia allegra, eccellenza? — chiese Granella.

«U barone» non rispose e seguitò a scorrere la pagina del giornale che descriveva la casa del cappellaio, la famiglia di costui, il numero dei suoi figliuoli, l’uso che intendeva fare dei suoi denari, ecc. Del prete non si diceva altro se non che aveva preso il volo.

— Voi dovreste sapere qualche cosa del prete, don Ciccio, — disse Granella, volgendosi ad un vecchietto, che stava aspettando in bottega la volta sua.

Era costui quel medesimo don Ciccio Scuotto, il padrone della casa, al quale il prete aveva mandata la lettera. Lo conoscevano tutti per il grande «paglietta» o avvocato dei preti e dei poveri, uomo fino, tenace, nemico dei giornali liberali e dei tempi scellerati.

— So di certo che è partito; ma voi non credete ai giornali che hanno il gusto di ingannare la gente. Leggete il «Popolo Cattolico», l’unico foglio autorizzato dall’arcivescovo. Là troverete la verità. Il prete era mio amico e mi pagava puntualmente la pigione.

— Vi pagava con tre numeri buoni? — esclamò ridendo un altro galantuomo, che Granella aveva salutato per don Nunziante.

«U barone» che stava colle orecchie tese, guardando nello specchio, riconobbe nell’uomo dal grasso ventre e dal naso spugnoso il notaio che [p. 104 modifica]egli avrebbe dovuto condurre seco a Santafusca per stringare il contratto col prete. Qualche altra volta aveva avuto bisogno di lui, che serviva volentieri i tribolati della fortuna e prestava con ragionevole interesse.

Don Ciccio e don Nunziante erano antichi amici e rivali, ma nel comune vantaggio si aiutavano volentieri. Entrambi conoscevano prete Cirillo.

La gente, quando vedeva insieme il «paglietta», il notaio e il prete, diceva:

Ecco «don consiglio, don appiglio, don artiglio».

Un buon cliente passava nelle loro mani come attraverso a una filiera. Questi due galantuomini, che sedevano nella bottega del Granella, vestivano alla foggia dei loro tempi: abiti grandi con larghe tasche sempre piene di carte.

Don Nunziante però era grosso, largo di spalle, con una gran voce; mentre il «paglietta» era piccolo, con una pancia asciutta come un’assicella, stizzoso, uncino, nervoso come un campanello elettrico, e portava sempre un cilindro bianco col pelo arruffato.

— Dicono che sia andato a Roma a portare l’obolo al papa, — esclamò don Nunziante. — Prete Cirillo ha studiato la negromanzia per rubare il denaro al Governo, e darlo al papa. Non è vero, don Ciccio?

— Voi parlate come un giornale liberale, — rispose stizzosamente il «paglietta». — La [p. 105 modifica]negromanzia è un’arte diabolica e la Chiesa non ha bisogno di questi sostegni. «Et portae inferi non pravalebunt....», capite ancora il latino?

— Vi ha scritto dove si trova?

— Mi ha scritto e non mi ha scritto, — disse con aria altezzosa l’arruffato don Ciccio, — ciò che mi irrita è di vedere il disprezzo gettato sulle cose sacre e degne di rispetto.

— Credete almeno che tornerà?... la gente fa mille supposizioni una più brutta dell’altra.

— La gente, la gente, la gente.... la gente!

Don Ciccio fece una mezza volta per la bottega, accompagnando ogni sua esclamazione con un sorriso pieno di amaro dispetto. Sentì il bisogno di dare una strappata forte al suo panciotto a fiori e di passare la manica sul pelo del suo cilindro bianco, nell’atto che lo appiccava al chiodo. Il cilindro rimase appiccato col pelo più arruffato di prima e pareva che si associasse al suo padrone nell’acre disprezzo per la gente o pei liberalastri.

— Eccellenza è servita.

«U barone», che durante questo tempo aveva perduto il senso di sè stesso, si scosse, si tolse con fatica dalla poltrona, si concentrò in un sussiego aristocratico, e si mosse gravemente. Don Nunziante, che lo riconobbe, s’inchinò rispettosamente e corse a sollevare la tenda. «U barone» uscì duro, tutto d’un pezzo, e prese a camminare verso un’ignota destinazione, senz’altro scopo che di snodare gli arti e di smuovere il sangue. [p. 106 modifica]Egli aveva provato un gran spavento, quando credette sulle prime che fosse stato scoperto il delitto. Se ne sentiva veramente scassinato per tutta la vita.

Ci sono scosse improvvise di terremoto, che abbattono qualunque edificio e storcono qualunque chiave di ferro. Alzando gli occhi verso il cielo, provò a ricollocarsi mentalmente nello spazio infinito. Era cosa stupida di soffrir tanto per quattro parole stampate su un giornale; e ancora si convinse che il vecchio uomo non era morto in lui.

A poco a poco, e man mano che l’aria viva della strada gli batteva sul viso, cominciò a vedere non solo la sua posizione sicura, ma quasi migliorata.

Questa faccenda del terno e del mezzo milione arrivava a tempo per richiamare l’attenzione della gente e dei giornali su prete Cirillo e ne spiegava nello stesso tempo la improvvisa scomparsa.

Prete Cirillo aveva preso il volo per isfuggire alle persecuzioni degli ignoranti e dei tristi e aveva tutto l’interesse di rimanere nascosto.

Passato un po’ di tempo, nessuno avrebbe pensato a lui. Se anche fosse stato trovato il suo cadavere, la gente non credeva già ch’egli era caduto nelle mani dei camorristi?

Tratto e sospinto da questi suoi pensieri, il barone si trovò senza saperlo in Mercato. Gli parve una buona idea di andare egli stesso a [p. 107 modifica]chiedere di prete Cirillo a una donna che allattava un bambino sulla soglia della casa dove abitava il prete.

— Abita qui prete Cirillo? — dimandò, lanciando un’occhiata lunga e frettolosa su per la scaletta umida e nera.

— È partito, eccellenza, — disse la donna.

— Dove si trova?

— Chi lo sa? Gesù....

La donna fece uno di quei gesti contratti con cui il popolo di Napoli riassume tutto ciò che pensa e che non pensa.

Non gli parve che in Mercato vi fosse tutta la rivoluzione di cui parlava il «Piccolo». A Napoli le impressioni sono altrettanto forti quanto passeggiere, raggi di sole sull’acqua che abbagliano, ma non scaldano. Questo suo morto, insomma, tornato a galla un momento, doveva come gli annegati precipitare subito in fondo e non risvegliarsi che il giorno del giudizio, vale a dire mai.

In questa convinzione se ne tornò con passo lesto e con un fare superbo quasi di provocazione verso la gente che gli veniva incontro e che pensava a prete Cirillo molto meno di quello che il barone immaginasse.

Comprò tutti i giornali del giorno prima, compreso il «Popolo Cattolico», e corse a casa colla voglia smaniosa di leggere quel che dicevano del suo prete. Non era paura, ma solamente una curiosità come un’altra.