Il cappello del prete/Parte prima/XI

XI. - Il rimorso di coscienza

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XI.


Il rimorso di coscienza.


Don Antonio accese per la seconda volta la lampada davanti al Sacramento e mezz’ora dopo la trovò spenta di nuovo, come se uno spirito folletto maligno e invidioso vi soffiasse sopra.

Entrando in chiesa, una volta incespicò nel gradino della sacristia, e un’altra volta rovesciò le ampolline della messa.

Erano brutti segnali.

Sentì il bisogno di parlarne con Martino.

— Credo che siano avvisi del cielo, Martino, perchè mi son caricata la coscienza di roba non mia.

Martino aperse le grosse dita in forma di V, e, ponendo un dito su un dito, gli disse:

— O il cappello era proprietà di Salvatore, e allora voi fate giusto a pagarvi delle spese del funerale: o non era di Salvatore...., ma di chi può essere se non è suo?

— È appunto ciò ch’io vado dimandando. Di chi può essere? [p. 109 modifica]

— Non potrebbe essere che d’un prete?

— D’un soldato, no.... — soggiunse don Antonio, facendo seguire l’osservazione d’una risatina grassa, che scese nella gola e morì nel ventre col tintinnìo d’un campanello.

— Non potrebbe Salvatore averlo acquistato da un prete?

— Con che sugo?

— Per fare una carità.

— Non è possibile. Vedete che è un cappello nuovo degno d’un monsignore.

— To’, mi viene in mente un’idea. Che fosse di monsignor vicario, quel reverendo prelato che una volta fu a visitare la villa?

— Ci avevo quasi pensato vedendo i nastrini di seta.

— Scommetterei che è così.

— Ma vi pare possibile dimenticare il cappello? A me è accaduto di dimenticare qualche volta il libro dell’uffizio, ma un cappello.... vi pare? Ad ogni modo io non farei male a scrivere una bella lettera a monsignor vicario per togliermi d’addosso anche questa pagliuzza.

— Vossignoria farà bene certamente per la pace dell’anima.

Il giorno appresso don Antonio versò tre goccie di vino nel calamaio, dove da un mese era seccata l’ultima sua predica, prese la penna e disse nell’atto che cominciava la sua bella lettera:

— La pace e il riposo dell’anima valgono ogni [p. 110 modifica]altro bene, e meglio è andare in paradiso a capo scoperto, che andare all’inferno col cappello del diavolo.

Dopo aver riletto tre pagine del Segneri per rifare l’orecchio al bel periodo, in men d’un’ora don Antonio potè mettere insieme questa lettera:


«M. R. Monsignor Vicario, Padron mio colendissimo!

«La dolce memoria ch’io conservo della S. V. Illustrissima e Reverendissima, e la paterna bontà onde in una non lontana contingenza fui dalla prefata S. V. Illustrissima compatito e incoraggiato, mi dà l’animo di rivolgermi per un caso in cui la mia coscienza naviga come una navicella fra gli scogli in tempestoso mare. Non ho bisogno di dichiarare la devozione del sottoscritto ai puri principii proclamati dalla cattedra di Pietro, non che dai suoi visibili interpreti; tra’ quali face di sette fiamme è l’Eminentissimo Pastore che governa codesta Partenopea Metropoli, ecc., ecc.».


E su questo stile finiva col raccontare la storia del cappello trovato nella camera di Salvatore, lo scambio avvenuto, i dubbi della coscienza, i segnali del cielo, e chiedeva se nella Curia si sapesse di un qualche prelato, «il quale avesse, per oblivione o per alcun altro accidente, dimenticato, o lasciato, o perduto il cappello. [p. 111 modifica]

Due o tre giorni dopo, monsignor vicario rispondeva con molta arguzia che a lui e ai colleghi suoi era accaduto più d’una fiata di perdere la testa, ma nessuno si ricordava di avere mai perduto il cappello.

E finiva con un sincero elogio della semplicità e della virtù di don Antonio, l’apostolico ministero del quale non era ignoto del tutto agli occhi di sua eminenza.

Don Antonio fu contentissimo di queste parole d’incoraggiamento, che gli venivano da sì alto pergamo, e lesse due volte la lettera a Martino, che disse:

— Io vedo in queste parole un gran segnale, don Antonio mio: e spero che questo cappello sarà per voi il principio di gran fortuna.

— Volete forse dire che io avrò un cappello di cardinale?

Lieto e ridente della sua abbondante bontà, il vecchio curato prese le forbici e cominciò a tondere una piccola siepe di mortella che cingeva un’aiuola d’insalata.

— Non dico cardinale, ma c’è cappello e cappello. I monsignori, per esempio, hanno un fiocco azzurro nel mezzo.

— Tacete, burlone: voi fate arrossire di vergogna questi giacinti. Io dico, invece, che noi siamo nell’imbroglio di prima, e parlando con poca riverenza, secondo me, monsignor vicario avrebbe dovuto risolvere il dubbio se un sacerdote può pagarsi da mugnaio, ritenendo una [p. 112 modifica]roba che il fedele non gli ha esplicitamente donata.

— Ma quando la roba è di nessuno, è roba del buon Dio, — osservò Martino. — Aggiungete che io ho cercato il vostro vecchio cappello alla villa e non c’è più. Un nipote di Salvatore, che fa l’oste alla Falda, è venuto e ha portato via il cappello vecchio insieme alla roba dentro un sacco.

— Per modo che tra due cappelli io sono come l’asino di Buridano tra due fasci di fieno, o viceversa....

— Sicuro, voi non potete andare in montagna o al borgo a capo ignudo.

— Sicuro che non posso andare a capo ignudo.

Dimani ho un funerale a San Fedele e non posso andarci senza cappello con questo bel sole.


*


Ecco in qual modo don Antonio, acchetata anche lui la sua coscienza, si abituò a servirsi del cappello del diavolo. Al funerale, dove convennero molti preti, tutti ammirarono la leggerezza del panno, l’eleganza del taglio che sapeva conciliare il canonico col mondano. «Sacra mixta profanis!»

— Quanto vi costa, don Antonio, questo cappellino da zerbinotto? [p. 113 modifica]

— Eh! eh! si vedono di rado sulle nostre montagne di questi funghi.

— Questi sono i cappelli che portano i monsignori del duomo, quando vanno per strada Toledo.

— Don Antonio ha ereditato da qualche contessa sua penitente.

— Crescono le ulive d’oro sulle piante di Santafusca?

Don Antonio, rubicondo di confusione, si sforzava di ridere, lasciava ridere, ma non ebbe il coraggio di dire che l’aveva pigliato nella camera d’un penitente moribondo.

Un pretucolo più insistente degli altri lo tirò in disparte e gli disse:

— Quanto l’avete pagato?

Don Antonio si schermì un poco e, non volendo entrare in troppi discorsi, segnò tre volte cinque colla mano aperta. Non la disse colla bocca, ma fu una bugia, una bugia schietta da pigliare colle molle.

Tornando a casa coll’animo amareggiato, diceva strada facendo:

— Ecco, prete, chi è ladro è bugiardo. Si comincia a transigere colla pagliuzza e si finisce coll’inghiottire la trave. Non basta predicare la virtù per essere uomo virtuoso. Noi sappiamo sempre trovare un sofisma da mettere in bocca alla coscienza che abbaia.... Tu, vecchio peccatore, tenti troppo la pazienza di Dio. [p. 114 modifica]

Il castigo non si fece aspettare. Non era ancora a casa che una tremenda gragnola ruppe e sparpagliò tutte le sue belle rose.


*


Da quel momento gli parve che tutto andasse a male, come se il cappello del diavolo avesse portato in casa la maledizione. Di notte quell’ombra nera, che si disegnava sulla parete, e sulla quale scendeva nelle ore chiare il raggio della luna, aveva la forza di rompere il sonno e di non lasciarlo più dormire.

Non poteva più durare così. A costo di farlo volare dalla finestra....

E già stava quasi per eseguire il suo pensiero, quando vide sul cielo del cupolino un biglietto rotondo con una scritta, che diceva: «Filippino Mantica, cappellaio, Napoli, Mercato, 34».

— Noi siamo molte volte assai fatui nella nostra presunzione, — disse a Martino in sagrestia. — Abbiamo tanto strologato di chi poteva essere il cappello e c’è scritto su.

— C’è scritto il nome del padrone?

— Non il nome del padrone, ma quello di chi l’ha fatto, col numero della bottega. Siccome il cappello è nuovo, il sor Filippino saprà a chi l’ha venduto e io purificherò la casa dalla roba degli altri. [p. 115 modifica]

— Voi siete un giusto dell’antico testamento, — disse il campanaro tutto compunto: e promise di cercare una bella scatola di legno o di cartone e di portare egli stesso il cappello alla stazione.

Come avviene nei piccoli paesi, la leggenda del «cappello del diavolo» e della santità del piovano, portata fuori dall’ex-cappuccino campanaro, fece il giro delle case e delle stalle, e tutti lodavano Iddio che avesse mandato loro un pastore dell’antico testamento.