Il Tesoro (Latini)/Libro V/Capitolo LXVII
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Traduzione dalla lingua d'oïl di Bono Giamboni (XIII secolo)
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pei" essere battuta, ma non ch’ella si diletti d’ essere battuta, anzi glie ne pesa molto niqui tosamento. Che quando ella va sotto ad alcun pero melo per mangiare, ed alcuna gliene cade addosso, ella vi monta su con grande niquitade, e fiaccalo tutto ’.
Capitolo LXVII.
Qui fiaisce la prima parte di questi libri.
Qui finisce la prima parto di questi libri, che divisa brevemente la generazione del mondo, e l’incominciamento de re ^ e lo stabilimento dell’ una legge e dell’altra, e la natura delle cose del cielo e della terra, e l’antichità dello vecchie istorie. E brevemente conta di ciascuna cosa lo suo essere. Che se ’l maestro avesse più lungamente scritto, e mostrato di ciascuna cosa lo per ii Uopo battuta fino alla fine del capitolo, manca al t .senza varianti di codici del Cliabaillc che vi rispondano.
2) Il t: des rois de la terre, come spesso nel libro primo. Il ms. Vis. dei re e degli imperatori della terra. Secondo i trecentisti, ed il nostro, g-li imperatori regnavano, o anche imperavano e reggevano, come cantava Dante di
quello ’mperador rhc lassh regge (Inf. I.)271 |
bisoi^norobbero tutte arti e tutta filosofia ’. E però dice il maestro, clic la i)rima ))art.’ del suo Tesoro, si ò come denari contanti ’: e sì ^ corno le genti non potrebbero accivire lo bisogno ^ senza moneta, così non potrebbe l’uomo sapere la certezza delle cose umano, se egli non sapesse ciò elle questa prima parte conta \
Qui tace il maestro delle cose che appartegno110 a teorica, ch’ò la prima scienza del corpo della filosofia, e vuole tornare all’altre due scienze, cioè a pratica ed a loica, per ammassare la seconda
1) Corretto: tutte Jilosiijìe che è puro nel iii.s. Vis. iii tutta filosofia, col r: car à ce hesoigneroient toutes ars, et toute philosophie. Appresso parla dì filosofia, e non dì filosofie in questo medesimo capitolo.
2j II t: en deniers contons, come già disse nel primo capitolo del primo libro, coi medesimi concetti e frase.
3) Aggiunto e col senso, e col t: et si comme les gevs ne porroient pas achever.
4) Il t: lor hesoignes, ne lor marchcandises.
5) Scandalosa lacuna: Così non potrehhe l’uomo sapere ciò che questa prima parte conta. A che giuoco giuochiamo? Supplito col ms. Vis: e col t: tout autressi ne porroient il savoir la cerlainetc des humaines choses, se il ne seussent ce qtie cesie primiere partie devise. Cos’i legge anche il ms.
Bertramasco.272 |
parte (.lei suo Tesoro, che d.jo ossero di ’ pietre preziose. E’I ia questo sesto libro parLì di vi/di e virtiuli ¦.
1) TI ni.s. Vis.: di due pietre preriose. E infMtti composta (li due libri.
2) Fd in questo ses’o libro parla di vizii e virtù, manca al ms. Vis. od al t, che ha invece il rituale: Fxplicit liber primus, che il volg-arizzatore mutò in Prima parie. Sul (lifFcrcutc modo nel (juaK; ò. Mivi.su il l’csoro nel t e uel
Vol^-arizzamento. si i\ favollato in altro luo;^-o.273 |
Capitolo I.
La dottrina di liriiuetto sull’occhio dei serpenti
non espressa con troppa evidenza, è tratta da Solino.
«Auguibus universis he13es visus est. Raro in adversum
contuentur, noe frustra, quuni oculos non in fronte
habeant, sed in t(3Uij(»oribu15, adco ut citius audiant.
ijuam quid aspiciant (Cap. XL). *
Capitolo II.
La dottrina dei serpenti qui esposta da Brunetto,
ci richiama alla memoria i versi dell’Allighieri nel
canto XXIV deW Inferno:
Più non si vanti Libia con sua rena;
Che se chelidri, jaculi, e farèe
Produce, e ceneri con anfesibeua;
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Mostrò giammai cou tutta l’Etiopia, Né con ciò che di sopra il mar Rosso èe.
I paesi indicati in questi versi, come quelli dov’è maggior copia di serpenti, sono quelli come tali nominati altresì dal Latini.
Intorno ai nomi è la medesima incertezza nei testi, perchè tratta vasi di scienza imparata a memoria, tradotta da altre traduzioni, e non riscontrata sui luoghi, almeno in copiosi musei di storia naturale. Di questi rettili, e di altri animali registrati nel libro precedente, Brunetto con qualche varietà recitò i nomi altresì nel Tesoretto, cap. V, il quale brano è nella Illustrazione al libro III del Tesoro, in questo secondo volume, a pag. 74. Tanti egli confessa essere gli animali, «che non sa ben dir quali.» Siamogli adunque indulgenti se sbaglia qualche nome.
Questo è il testo di Solino, qui tradotto dal maestro Brunetto:
Plures diversaeque aspidum species sunt, veruni dispares eflfectus ad nocendum.
Dipsas siti interficit ( Brunetto: Dlfisc fa con suo fiato moiHre l’uomo. Forse lesse flatu, o suo liiatu, ìwìwoo di siti). Hymale (Brunetto, pria/is quod sonino necat, teste etiani Cleopatra, emitur ad mortera. Haemorrois ( Brunetto, emori) morsu sanguinem elicit, et dissolutis venarum commerciis, quidquid animae est, evocat per cruorem. Proester, quem percusserit distenditur enormique corpulentia necatur,
extuberatus. Ictus sepium, statini juitredo sequitur275 |
( HiMUU’tll) (li diK’.s(ii’|)Oiili. /iroes/t’/-. e sepes, lece imo solo, che disse jì/’csfo).
V an fin tenia accennata nel caititolo appresso, h V anfesihena di Dante.
L’aspide deiiii antichi, non meno che quello del volgo anche oj:i, è un seri)ente thnùistico, e quanto alle forme, e quanto alle proprietà attribuitegli. I moralisti facendone mille applicazioni, perpetuarono la favola, ch’egli chiuda le oreccliie alla voce dell’ incantatore. Deve essere molto antica, perchè vi allude anche il Salmo LVII: Sicut aspidis surdae, et obturantis aures suas quae non exaudiet vocem incantantium, et venefici incantantis sapienter.
Non l’aspide, ma qualunque serpente velenoso di Egitto, potò col suo veleno agevolare il decantato vsuicidio di Cleopatra.
Il serpente chiamato da Linneo coincer aspis, è una vipera dell’Italia, e della Francia meridionale.
Capitolo III.
Basilisco, B«T/X/ffKoç significa piccolo re, in latino spesso regulus. Nella Volgata è chiamato coll'un nome, e coll’altro: Super aspidetn et I)asiliscuDi ambidalns ( Ps. XCI). Ecce ego mittam vobis serpentes regìdos (Jereni. VIII).
È i)ur (juesta una creazione fantastica degli antichi,
della quale scrissero seriamente e Aristotile e276 |
mortifere qualità, e del saugue usato dai maghi quale antidoto contro i venetìcii.
Tre specie ne fantasticarono: la prima ardeva tutto quello in cui s’imbatteva, e faceva deserta la terra a sé d’intorno: la seconda, uccideva col suo sguardo tutti i viventi che mirasse: la terza, col suo contatto faceva cadere le carni dal corpo agli animali, cui si accostasse. Parlasi di una quarta, che nasceva da ova di gallo decrepito (ora centonina), covate da serpi o da rospi.
Ne scrissero Dioscoride, Galeno, Solino, Eliano, come pure Avicenna, Grevino, Scaligero, e molti altri, e recentemente Luigi Bossi.
l’Aldrovandi presenta le imagini, Bcmlicus in solitudine Africae vivens, e Baslliscus, sire Regulus Grevini.
Il basiliscus della zoologia presente, è ben altro. È genere di rettili saurii, ap))arteiìente alla famiglia degli iguanii.
Capitolo IV.
Il dragone è creazione fantastica dei popoli antichi,
la quale passò in tutte le poesie e religioni
d’Europa. La Bibbia ne parla, e l’Ajjucxdissc ne fa
una descrizione terribile, in esso personificando il
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scontigge, tli iMaria che ne schiaccia il teschio. I boschi sacri dei pagani, erano guardati da draghi, come pure il giardino delle Esperidi. Cerere viaggiava sopra un carro tirato da draghi. Gli Scandinavi, ed i Britanni, nella loi’o mitologia hanno il dragone quale ministro di vendetta. Anche nelle mitologie della China, e del Giappone, entra il drago pili volte. L’occidente e l’oriente credettero alla sua esistenza. Se una cosa potesse esser vera, per questo solamente, perchè Cu ri()oiuia ()er molti secoli, ed in molti paesi, l’esistenza del terribile dragonì sarebbe uno dei fatti meglio dimostrati nella zoologia e nella storia.
Il dragone della moderna zoologia, è tutt’altro. Una famiglia di saurii è denominata dei dragonidi. Cuvier la descrive. Daudin fu il (irimo elio l’illustrò. Proviene dall’Indie orientali.
Aveva ragione Lorenzo Mascheroni, noW Invito a Lebsia Cidonia, di cantare:
Qui minor di sua fama il voi raccoglie
Il drago.
Ccapitolo V.
Postilla il Carrer: (Questo isifalis, è detto scy/nìa da Solino cai). XXX. E ))oichè il breve capitolo che tratta di questo animale molto intralciato, ri