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XXV.


Così tutto pensoso
     Un giorno di nascoso
Intrai ’n Monpusolieri.
     E con questi pensieri
Me n’andai a li Frati:
     E tutti i miei peccati
Contai di motto in motto.
     Ahi lasso, che corrotto
Feci, quand’ebbi ’nteso,
     Com’io era compreso
Di smisurati mali,
     Oltre, che criminali!
Ch’io pensava tal cosa,
     Che non fosse gravosa,
Ch’era peccato forte,
     Più quasi de la morte.
Ond’io tutto a scoverto
     Al Frate mi converto,
Che m’ha penitenziato.
     E poi ch’i’ son mutato:
Ragion è, che tu muti,
     Che sai, che son tenuti
TJn poco mondanetti;
     Però vo’, che t’affretti
Di gire a Frati santi.
     E pensati d’avanti,
Se per modo d’orgoglio
     Enfiasti unque lo scoglio;
Sì, che ’l tuo Creatore
     Non amassi a buon core
E non fussi ubbidienti
     A suoi commandamenti.

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E se ti se’ vantato
     Di ciò, ch’hai operato
In bene, od in follia,
     O per ippocrisia
Mostrave di ben fare,
     Quando voléi fallare.
E se tra le persone
     Vai movendo tenzone
Di fatto, od in minacce,
     Tanto, ch’oltraggio facce.
E se t’insuperbisti,
     O in greco salisti,
Per caldo di ricchezza,
     O per tua gentilezza;
O per grandi parenti,
     O perchè da le genti
Ti pare esser lodato.
     E se tu se’ sforzato
Di parer per le vie
     Miglior, che tu non sie.
O s’hai tenuto a schifo
     La gente a torto grifo
Per tua gran mattéria;
     O se per leggïadria
Ti se’ solo seduto,
     Quando non hai veduto
Compagno, che ti piaccia.
     O s’hai mostrato faccia
Crucciata per superba,
     E la parola acerba
Vedendo altrui fallare,
     A te stesso peccare.
O se ti se’ vantato,
     O detto ’n alcun lato

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D’aver ciò, che non hai,
     O saver, che non sai.
Amico, ben ti membra,
     Se tu per belle membra,
O per bel vestimento
     Hai preso orgogliamento.
Queste cose contate
     Son di superbia nate:
Di cui ’l savio dice,
     Ched è capo, e radice
Del male, e del peccato.
     Il Frate m’ha contato,
(S’i’ bene mi rammento)
     Che per orgogliamento
Fallìo l’Angiolo matto,
     Et Eva ruppe ’l patto;
E la morte d’Abel;
     La Torre di Babel;
E la guerra di Troja.
     Così convien, che muoja
Soperchio per soperchio,
     Che spezza ogne coperchio.
Amico, or ti provedi,
     Che tu conosci, e vedi,
Che d’orgogliose prove
     Invidia nasce, e muove,
Ch’è fuoco de la mente.
     Vedi se se’ dolente
De l’altrui beninanza;
     E s’avesti allegranza
De l’altrui turbamento.
     O per tuo trattamento
Hai ordinato cosa
     Che sia altrui gravosa.

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E se sotto mantello
     Hai orlato ’l cappello
Ad alcun tuo vicino,
     Per metterlo al dichino.
O se lo ’ncolpi a torto,
     E se tu dai conforto
Di male a suoi guerreri.
     E quando se * dir jeri
Nè parle laido male;
     Ben mostri, che ti cale
Di metterio ’n mal nome.
     Ma tu non pensi come
Lo pregio, ch’hai levato
     Si possa esser levato;
Nè pur se mal s’ammorta
     Lo biasmo. Chi comporta,
Che tal lo mal dir t’ode,
     Che poi non lo disode?
Invidia è gran peccato,
     Et ho scritto trovato,
Che prima cuoce, e duole
     A colui, che la vuole:
E certo, chi ben mira,
     D’invidia nasce l’ira.
Che quando tu non pui
     Disservire a colui,
Nè metterlo al di sutto,
     Lo cor s’ambrascia tutto
D’ira, e di mal talento:
     E tutto ’l pensamento
Si gira di mal fare,
     E di villan parlare:
Sì, che batte, e percuote,
     E fa ’l peggio, che puote.

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Perciò, amico, pensa,
     Se a tanta malvolenza
Ver Cristo ti crucciasti;
     O se lo biastemmasti;
O se battesti padre,
     Od offendesti madre,
O chierico sagrato,
     O segnore, e prelato.
Cui l’ira dà di piglio,
     Perde senno, e consiglio.
In ira nasce, e posa
     Accidia neghittosa.
Chi non può in   *   tetta
     Fornir la sua vendetta,
Nè difender chi vuole;
     L’odio fa come suole;
Che sempre monta, e cresce,
     Nè di mente non li esce:
Et è ’n tanto tormento,
     Che non ha pensamento
Di neun ben, che sia:
     O tanto si disvia,
Che non sa megliorare,
     Nè già ben cominciare;
Ma crojo, e neghiottoso
     È ver Dio glorïoso.
Questi non va a messa,
     Nè sa quel, che sia essa:
Nè dice pater nostro
     In Chiesa, ned in Chiostro
Che sì per mal’ usanza
     Si gitta ’n disperanza
Del peccato, ch’ ha fatto;
     Et è sì stolto, e matto,

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Che di suo mal non crede
     Trovar in Dio mercede;
O per falsa cagione
     S’appiglia a presunzione,
Che ’l mette ’n mala via
     Di non creder, che sia
Per ben, nè per peccato,
     Uom salvo, nè dannato,
Et un altro presciolto.
     Questi si scosta molto
Da la verace fede.
     Forse, che non s’avvede,
Che ’l misericordioso,
     Tutto, che sia piatoso,
Sentenzia per giustizia
     Intra ’l bene, e le vizia;
E dà merito, e pene
     Secondo, che s’avviene?