Il Re prega/XI
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XI.
La metempsicosi di Bambina.
Due parole di politica — Due parole soltanto!
Dopo ciò che ho visto in tutto il resto di Europa, avrei torto di esser severo coi miei compatrioti. Mi limito a non trovarli stimabili.
Un despotismo stupido, assiso sopra due istituzioni: la Chiesa e la Polizia, schiacciava Napoli. Napoli cospirava. Quella cospirazione mise capo alla proclamazione d’una costituzione, nel 1820 e nel 1848. Ed occorse che il principe di Metternich mandasse degli eserciti per ristaurare i Borboni in qualità di re assoluti; che il glorioso Piemonte fosse vinto a Custoza ed a Novara; che la Repubblica Francese mandasse un esercito a Roma, — perchè l’assolutismo, da quelle cospirazioni minato, regger potesse.
La cospirazione, comunicatasi a tutta Italia, perseguitata, insanguinata, restò malgrado tutto in permanenza. Ecco ciò che ho scritto altrove1:
«Dopo la larga ecatombe del 1821, la forca restò in permanenza. Ho sotto gli occhi i registri della polizia napoletana. Ne riassumo qualche pagina.
«Nel 1823 si scovrì la società segreta repubblicana, detta Nuova riforma di Francia. Dugento diciassette affiliati furono arrestati, vent’uno condannati, di cui quattro appesi e tre mandati ai lavori forzati per non aver denunciata la setta. La società repubblicana degli Edenisti dette quindici vittime, — non novero più gli arrestati, — due impiccati. La setta degli Scamiciati, repubblicana anch’essa, somministrò tre corpi al patibolo, quindici al bagno. Un’altra società, scoverta ad Ischia, mandò un uomo a morire di Capestro. Gli Amici, di Nola, ventisei condanne, tre a morte. I Liberali decisi, nel 1824, produssero sei impiccati, nove al bagno. I Pellegrini bianchi, nel 1823, repubblicani come gli altri, due appesi, quindici all’ergastolo, un tal Catenacci condannato a tre mesi di esercizii spirituali nel convento dei Giovani. La società di San Nicola Arcella, militari: due fucilati, tre esiliati, trentasette relegati in un’isola, altri condannati a pene minori; ai denunciatori, un anno di soldo. I settari della provincia di Bari, che agivano sull’esercito, dettero cinque vittime alle forche, molte al bagno; a Inghingolo, che non aveva denunziato, diciannove anni di lavori forzati; alla spia, 660 ducati. La società degli Egizi dormenti e dei Filantropici: molte vittime al bagno, nel 1826. Nel 1827, molte condanne d’altri affiliati: per quelli dei Beati Paoli, cinquantasei condannati, di cui tre alla ghigliottina; quelli degli Oppressi ma non vinti, tre a morte, una trentina all’ergastolo e parecchi alla prigione ed all’ammenda.
«Nel 1828, gli Eremiti fedeli, due fucilati, una trentina ai lavori forzati ed alla relegazione. I Filadelfi, che fecero la rivoluzione del Cilento, ottocento arrestati di cui, dopo diversi giudizii, cinquantatrè fucilati o impiccati, circa duecento al bagno, gli altri condannati a pene inferiori. Poi, tre villaggi rasi, un gran numero di insorti uccisi sul luogo, all’istante, onde non ingombrare le Corti marziali.
«Nel 1830, la cospirazione dei fratelli Peluso riesce a tre condanne capitali, tre all’ergastolo a vita, ed un gran numero ai lavori forzati. Nel 1833, si scopre un’altra cospirazione, che dà un condannato a morte, un relegato all’isola di Ponza, nove esiliati. Nell’istesso anno, la cospirazione militare di Rossarol: questi e Romano cercano di uccidersi fra loro: Romano resta morto, Rossarol ferito gravemente: tre altri condannati a morte e commutati di pena. Sommossa a Cosenza nel 1837. Di centosettantacinque accusati, sei furono condannati ad essere fucilati, altri — non conto più — all’ergastolo a vita ed ai lavori forzati. A Penne, lo stesso anno, al Vallo, a Napoli, cospirazione militare, — settecentosettantadue accusati: undici fucilati, un grandissimo numero al bagno. Nel 1838, la Giovane Italia dà il suo primo contingente di diciannove vittime alle galere nel distretto di Taranto.
«Nel 1841, saggio di rivoluzione ad Aquila: otto condanne capitali. Nel 1843, una quindicina di ottimati di Napoli, sono cacciati in castel Sant’Elmo; ne uscirono poi, furono più tardi ministri, deputati, sono oggidì martiri, vale a dire alti funzionarii. Nel 1844, altro saggio di rivolta a Cosenza: vent’uno condannati a morte di cui sette fucilati ed un gran numero al bagno. Molti erano periti nella mischia, come ad Aquila. Nell’anno stesso la Giovane Italia dava sei altre vittime, i Bandiera; poi le vittime di Reggio, nel 1846, poi quelle di Siderno e Bianco nel 1847. Dopo il 1848, non si conta più: il sangue soffoca la stessa polizia ed innonda l’esercito.»
Cosa singolare! tre ministri della polizia, a Napoli, sono stati esiliati come troppo liberali: Canosa, Intonti e Delcarretto! I Borboni, l’ho già detto, non hanno avuto del genio che per la polizia!
Dunque si cospirava. Il capo del partito rivoluzionario era il colonnello barone Colini. Il marchese di Tregle, il barone di Sanza, facevano parte del comitato. La controrivoluzione aveva per capo il conte di Altamura, evaso di prigione e residente ora alla Corte sotto il nome di cavaliere Spada. La regina Teresa inspirava questo partito di cui facevano parte monsignor Cocle, monsignor Laudisio, mons. Scotti, Campobasso.... ed il padre Piombini, che si era insinuato nella combriccola per ordine del suo generale, e che si limitava a conoscere ciò che gli altri intraprendevano, sottraendo meticolosamente alla loro conoscenza come a quella dei suoi superiori, ciò che apprendeva al confessionale. Così, tutti spingevano al movimento: gli uni per rovesciare il trono; gli altri per avere un pretesto di sgozzare i liberali.
La sede della controrivoluzione era a Palazzo. Il quartier generale della rivoluzione era alla villa Belvedere, al Vomero, presso di lady Keith.
Lady Elisabeth Keith era irlandese, e perciò più cattolica che il papa e i monarchi di Spagna. Ella era vedova. Suo marito, scozzese, ufficiale superiore nell’esercito della Compagnia, era morto alle Indie. Dopo questo avvenimento, lady Elisabeth aveva stabilito il suo domicilio a Napoli, il cui clima le sorrideva. Ella aveva adesso sessant’anni. Nella sua giovinezza era stata una meraviglia di beltà, in quella stessa Inghilterra ove la bellezza della donna è una meraviglia. Lord Palmerston, si diceva, aveva fatto delle follìe per lei; — ciò che non stupirebbe punto, perchè quel lord, bellissimo egli stesso, ebbe una giovinezza altrettanto tempestosa che quella di lord Castelreagh. Il fatto è che lord Palmerston covrì della sua protezione lady Keith con la più grande energia, in una circostanza che fece strepito nella stampa e nei gabinetti europei.
Re Ferdinando, curiosissimo dei fatti e del pensiero dei suoi sudditi, volle un giorno annasare ciò che si faceva in casa lady Keith. Un ispettore di polizia, trasvestito, guizzò nella casa sotto pretesto di carità. Fu riconosciuto. Lady Keith lo fece randellare formidabilmente dai suoi lacchè e gettare per disopra le mura del giardino alte due metri. Il re ordinò l’espulsione della dama. Sir William Temple, fratello di lord Palmerston, ministro d’Inghilterra a Napoli, chiamò la flotta inglese da Malta e la fece sfilare sotto il palazzo reale, poi dichiarò al ministro degli esteri napoletano, che al primo insulto che si sarebbe fatto a lady Keith, egli avrebbe abbassato gli stemmi e fatto bombardare il palazzo.
Ch’ella avesse o no avuto una fantasia per lord Palmerston, egli è incontestabile che lady Keith amò suo marito. Giudicatene. Lord Keith aveva un gusto particolare per i cani e credeva nella bella dottrina della metempsicosi. Sua moglie, lady Keith, detestava i cani, ma professava i medesimi principii filosofici di lui. Dal momento che lord Keith morì, lady Elisabeth si disse:
— Mio marito amava i cani. Dunque egli era stato cane prima d’esser uomo o doveva divenir cane dopo essere stato uomo. Che la sua anima fosse stata in un cane o che vi abbia poscia emigrato, il cane è un membro della nostra famiglia.
Ciò bastò. Lady Keith riunì nel più bello appartamento del suo palazzo due o trecento cani, i più belli di ogni razza, già s’intende, perchè suo marito era stato un bell’uomo: e li trattava come altrettanti principi delle Asturie. Nè ciò era tutto. Come lord Keith poteva, per un capriccio della sorte, trovarsi alloggiato in un cane rognoso, arrabbiato, vagabondo, tutti i cani che passavano innanzi al cancello della sua villa, erano invitati da un lacchè postato quivi appositamente, ed erano lavati, pettinati, nutriti, accuditi, godendo quell’ospitalità amica fino al momento in cui il padrone non fosse trovato. Il suo veterinario particolare andava in città a portare i soccorsi del suo sapere a tutti i cani per i quali si reclamava l’assistenza della ricchissima e nobile lady. Ogni mattina, ella faceva una toiletta come avesse dovuto recarsi a corte, ed andava a visitare i cani.
Voi potete immaginarvi quale festa rumorosa ella ricevesse. Ogni cane, entrando da lady Keith, prendeva il nome del santo del giorno iscritto al calendario, ed ella ne celebrava la festa, portandogli dei doni: a questo, un collare d’argento, a quello, una pellegrina di velluto, ad un altro, una nicchia in tappezzeria, ai più ghiotti, delle leccornie, agli amorosi un tête-à-tête, in un gabinetto particolare con i più belli o le più belle di una razza collaterale. I più attempati, o i più gravi, erano riuniti in una sala a parte ch’ella chiamava il suo senato. Ella aveva altresì la sua camera dei deputati: i gridatori, i collerici, gli accattabrighe, gli intriganti. Il terribile sovrano di questo piccolo Stato di Monaco era un bull-dog, grosso come un bisonte, cui ella chiamava Ferdinando II dopo che si ebbe brighe con questo principucolo.
Avanti, da perfida albionese, lo chiamava Napoleone. Numerosi domestici sorvegliavano la corte di questa Semiramide. I cani avventurieri avevano alloggiamento a parte. E lady Keith degnava visitarli del pari come l’imperatrice Eugenia andava a visitare i colerosi. Gli è così che colse la rogna di cui il marchese di Tregle la guarì.
Ella chiamò di Tregle, perchè l’ex dottor Bruto era il solo che fosse marchese fra i medici napoletani.
I cani di Terra Nuova, maestosi come un concistoro di cardinali, i cani del nord, meditativi come dei consiglieri di Stato, occupavano delle camere speciali. L’impertinente Lady chiamava i botoli i suoi paggi ed i suoi poeti, e, nella collera, i suoi gazzettieri.
Lady Keith era una donna alta, magra, pallida, — un erpice formidabile di denti capricciosi fra due cascate di ricci di capelli rossi, provenienti da Edinburgo. Poi degli occhi neri e dolci, velati da lunghe ciglia nere come nelle Malesi. Altera e fiera in certe circostanze e con le classi elevate, era la bontà e la carità in persona nelle relazioni comuni della vita. La sua immensa fortuna apparteneva ai poveri. Le sue elemosine passavano per le mani del P. Piombini, suo confessore,.... e non vi restavano.
Ella aveva scelto questo confessore perchè era conte ed era stato ministro plenipotenziario. Naturalmente, il suo banchiere era il barone Rothschild. Se ella avesse vissuto ai giorni nostri avrebbe potuto darsi dei domestici, tutti più o meno commendatori dei SS. Maurizio e Lazzaro... ed anche degli ex-ministri. In tutti i casi, il suo pedicure cumulava gli ordini di san Gregorio Magno e d’Isabella la Cattolica. La voce di lady Elisabetta era infantile e carezzevole come le sue maniere, quando nulla non la turbava. Il fondo della sua natura era affettuoso. La vita non l’aveva inacerbita. Lo spirito ed il cuore non erano vuoti, e per conseguenza turbolenti.
Bambina era stata condotta presso di lei.
Le donne che sono state sempre brutte, detestano la bellezza delle altre. Quelle al contrario che furono belle e cui il tempo solo svaligiò, vi si riguardano come in uno specchio, e si sovvengono con rammarico senza dubbio, ma senza rancore, dei gaudi della loro giovinezza e delle feste inebriate dell’amore. La vista di Bambina, quel viso infantile, quell’occhio profondo velato di tristezza, quelle labbra che imboccavano la rugiada dell’amore, quella tinta lattiginosa, somigliante ad una vernice formata dal trasudamento dell’anima, ricordavano a lady Elisabetta la via lattea della sua giovinezza. Ella si sentì madre.
Senza dubbio, dimandandole la sua protezione per Bambina, il marchese di Tregle le aveva toccato qualche parola dell’istoria della giovinetta. La pietà rinforzava dunque l’attrazione. Lady Keith ebbe la delicatezza di non fare alcuna allusione a questa storia; Bambina, la discrezione di non spiegarsi. Ella passava tutto il giorno con la dama irlandese, asciolveva e desinava con lei, quando lady Elisabetta era sola. Ma la sera Bambina restava nella sua camera: la sua posizione l’esigeva.
Una mezza dozzina di amici venivano ogni sera a pigliare il the con lady Keith ed a giuocare al wisth. Gl’immancabili erano, il colonnello Colini, il marchese di Tregle ed il barone di Sanza. Si parlava liberamente, — intendo dire, senza paura di esser spiati. Del resto, le porte del boudoir erano chiuse e si parlava inglese o francese. Innanzi ai domestici si chiacchierava di teatri. Lady Keith riceveva i giornali inglesi, e la polizia napoletana soffriva questa enormità onde risparmiarsi l’umiliazione che la dama non se li facesse venire all’indirizzo di sir William Temple. Si discuteva dunque molta politica e si preparavano i piani della rivolta che qualche mese più tardi scoppiò nel Cilento e nelle Calabrie.
Per esser veritiero, è mestieri soggiungere che si discuteva molto e si agiva poco, che si correvano enormi rischi per risultati minimi. Ma infine si mostrava al re ed all’Europa che il paese non subiva bestialmente l’abbominevole despotismo della chiesa e della polizia che l’insozzava, e che desso non vi si rassegnava.
Il cristallo sfidava l’urto dell’obice di acciaio!
Un mese passò così. Bambina trovò una tregua ai soprassalti della vita, se non acquistò la pace del cuore e dello spirito. Nulla di malsano giungeva fino a lei; ma si compieva in lei un lavoro psicologico analogo alla fermentazione, la quale passa per la putrefazione prima di divenir creazione. L’aria pura infrattanto, la luce, un nutrimento sano e scelto, la tranquillità, la rivelazione del culto della bellezza, mediante le pratiche igieniche sì meticolose appo le inglesi e sì poco adoperate dalle donne italiane, quell’aureola tutta femminina che la circondava, — lei che aveva fin lì vissuto in un’atmosfera virile, — quelle mille delicatezze della donna, così particolari al bel sesso delle classi elevate, quella rarefazione dell’etere femminino in cui ella repirava, le gentilezze che lady Keith le prodigava, per un tal qual traripamento di tenerezza concentrata in questa donna che aveva avuto un marito troppo grave e non figliuoli: — tutto ciò operò una tale epurazione, una diafanità, un tal cangiamento insomma che Bambina, la quale era di già una bellezza maravigliosa, divenne una bellezza miracolosa. Ella non era quasi più una donna, ma una creazione eterea, — una materia luminosa saturata di spirito.
Lady Elisabetta le aveva fatto spogliare la beghina di monaca di casa e le aveva regalato degli addobbi da donna, da giovinetta modesta ed elegante, dagli scuri colori, come gli esigeva la sua posizione. Di guisa che tutte le perfezioni sculturali del suo corpo di Dea, cui la sua trista sajaccia di pinzocchera imbacuccava, si rivelavano allo sguardo stupito come una apparizione ideale, ed inoculavano il delirio. Una camelia bianca che squarcia il suo inviluppo!
La bianchezza della sua pelle si era rischiarata ed aveva i riflessi della piuma dell’eider. La sua vita si era assottigliata, ed ogni piccolo movimento ne denunciava la flessibilità serpentina che prometteva un eden di voluttà. Il suo collo sembrava forse un po’ lungo, ma le linee pure che costituiscono l’ellissi deliziosa dalla base della testa all’inizio delle spalle, senza corde tese, senza penombre, la bianchezza trasparente della pelle, la cui grana fina si saturava di raggi, fermavano lo sguardo incantato e gli sottraevano il difetto. Si vedevano infine i suoi piedi, forse un po’ lunghi altresì, ma di una forma squisita e di cui l’istantaneo inarcarsi dava il barbaglio di un piè dei più delicati. La trasformazione, in una parola, era completa.
Questa metempsicosi divina fa interrotta da due avvenimenti che vennero a rannodare il dramma, cui la povera figliuola aveva tentato di scongiurare con la sua fuga.
Una bella mattina del mese di giugno lady Keith era discesa a Napoli per delle compere. Mezzodì avvicinava. Pensando che milady non tarderebbe a venire, Bambina traversava il salone onde andarle incontro nel giardino. Ella aveva però dato appena qualche passo, con aria distratta e guardando ai balconi, che si sentì allacciare alla vita da due braccia vigorose e coprire il sembiante di baci frenetici. Bambina gettò un grido: si trovò in braccio del P. Piombini, che attendeva lady Elisabetta nel salone e che l’aveva riconosciuta.
Nulla può esprimere il terrore della fanciulla sorpresa da quella folata d’uragano. Ella si svincolò dalla stretta. Ma prima di fuggire nella sua camera ella potè udire il P. Piombini che le diceva:
— Prendi la mia vita, prendi la mia anima; io sono pronto a tutto. Io farò l’impossibile. Io non posso più vivere così....
Bambina andò a tuffare il suo viso nell’acqua fredda: credeva essere stata marchiata da un ferro rosso. La freschezza rivenne. Ma il contraccolpo che aveva ricevuto nel cuore vi dimorò. Quelle labbra di uomo trascinate così sul suo sembiante, quell’alito represso che l’aveva avviluppata, come il vapore che scappa via da una caldaia di locomotiva, sibilante e bruciante, quelle braccia che l’avevano stretta alla vita dove il cuore alberga, quel petto di monaco che aveva sfiorato il suo casto seno.... tutto ciò prese le forme vaghe di un incubo che ottenebrò le sue veglie e perseguitò i suoi sogni, mischiando terrori vaghi a sussulti indefinibili. Ella nascose l’avventura a lady Keith, credendosi vituperata dal selvaggio assalto di cui era stata vittima. Il gesuita se lo sapeva bene.
Lo scuotimento di quell’attentato non si era ancora rassettato, allorchè, una settimana dopo, ebbe luogo l’altro avvenimento.
Una mattina, a colazione, lady Keith leggeva il Times, quando, percorrendo la lettera del bravo corrispondente di Napoli, un movimento di sorpresa le scappò. Bambina era presente.
— Ma, il fratel vostro non si chiama egli dunque il signor Diego Spani?
— Per lo appunto, signora, rispose Bambina. Perchè?
Lady Keith si tacque. Poi sclamò, quasi malgrado lei:
— Lo sospettavano dunque al torto!
— In nome del Dio della misericordia, signora; gridò Bambina, di che si tratta? Io muoio di terrore.
— Ebbene, io ne sono felice, riprese lady Keith abbracciando Bambina. La polizia ha fatto una razzìa di dodici liberali accusati di cospirazione e li ha sprofondati nelle segrete di S. Maria Apparente. Vostro fratello è fra coloro.
Bambina gettò un grido e svenne. La misura traboccava.
Note
- ↑ Histoire Diplomatique des Conclaves, Vol. IV, pag. 430.