Il Marchese di Roccaverdina/Capitolo II

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II.


Due giorni dopo, il marchese di Roccaverdina vedeva ricomparire l’avvocato che questa volta non veniva solo.

L’anticamera era piena di contadini e di operai, tutti in piedi attorno al tavolino dove il marchese, seduto, esaminava liste di conti scarabocchiate con grossa scrittura.

— Scusate, marchese, — disse l’avvocato inoltrandosi tra le persone che si scostavano per lasciarlo passare. — Dobbiamo parlare di cosa urgente. C’è qui compare Santi Dimaura...

Voscenza mi benedica! — soggiunse questi, sporgendo la testa dietro le spalle di don Aquilante.

— Andate di là; mi spiccio sùbito.

Don Aquilante abbozzò un gesto per significare: — Fate pure con comodo! — e accennò al vecchio contadino di seguirlo. [p. 14 modifica]

Dalla stanza dov’erano entrati essi udirono, poco dopo, la robusta voce del marchese che pareva litigasse con parecchi.

Timide risposte interrompevano, a intervalli, le sfuriate, i rabuffi, le parolacce, le bestemmie che gli sgorgavano dalla bocca simili a un torrente. E durò una buona mezz’ora.

Don Aquilante, con una gamba accavalciata all’altra, una mano davanti agli occhi e il mento chinato sul petto, assorto in profonda meditazione, non aveva risposto a due o tre domande del vecchio che, seduto in un canto, vicino a l’uscio, girava tra le mani il berretto di panno scuro, di Padova, e sembrava atterrito dagli urli del marchese che non finivano più.

Finalmente si udì sbatacchiare la porta di entrata e, quasi subito, acceso in viso pel sangue che gli saliva alla testa ogni volta che montava in collera, il marchese irruppe nella stanza, facendo balzare in piedi l’avvocato che in quel momento chi sa dov’era con la fantasia.

— Qualche giorno mi scoppierà una vena del petto! Vogliono far le cose a modo loro! E se uno non sta loro addosso come un aguzzino, gli rubano fin l’aria che respira! Posso essere dappertutto? Non sono Domineddio!

Era l’ultima vampata.

— Che c’è di nuovo? — poi domandò rabbonito [p. 15 modifica]un tratto, aggiustandosi in capo il berretto di martora.

— Dice compare Santi.... — cominciò l’avvocato.

— Per fare un piacere a voscenza — soggiunse il vecchio contadino.

— Un piacere a me? A voi stesso più tosto. Si tratta, suppongo, di quella lingua di terreno, è vero?

— Eccellenza, sì.

— Compare Santi era mal consigliato — disse don Aquilante.

— Sono vecchio, eccellenza. Ho consumato la mia vita su quelle zolle. Che vuole? Ho piantato io quegli alberi; e mi paiono figli miei. E quella casetta l’ho fabbricata io, con queste povere mani. Voscenza vuol bene a Margitello? Vuol bene alla casina, colà? È la stessa cosa per me. Chi poco ha, caro tiene. Le male persone però vogliono farmi passare una cattiva vecchiaia. Come hanno potuto dire che ce l’avevo a morte con la buon’anima di compare Rocco? E voscenza lo ha pure creduto! E il giudice istruttore mi ha tenuto due ore tra le tanaglie, per strapparmi di bocca: — L’ho ammazzato io! — Perchè dovevo ammazzarlo? Perchè compare Rocco faceva gl’interessi del suo padrone? Perchè più volte mi aveva accusato di alterare il limite? Il pretore però non ha potuto mai condannarmi.... Basta! Ho detto: Finiamola! Il signor marchese vuole così? Sia fatta la sua volontà!

[p. 16 modifica]La voce del vecchio tremava; le parole gli uscivano lentamente di bocca, quasi bagnate di lagrime.

— Ve l’ho già spiegato — disse don Aquilante. — Nell’operato del giudice istruttore il signor marchese non c’entra. La giustizia fa il suo dovere; non ha riguardi per nessuno.

— Ora hanno arrestato Neli Casaccio, poveretto!

— Che ve n’importa? Badate ai fatti vostri.

— Sceglieremo due periti — fece il marchese. — Stavo per dire di no, sentendovi piagnucolare. Non ve la rubo quella lingua di terreno; ve la pago.... Vi piacerebbe, se qualcuno venisse in casa vostra a occupare una stanza? Così voi, a Margitello; siete in mezzo alla mia tenuta, come quell’estraneo.

— Ma io mi trovavo là fin da quando i fondi attorno erano di altri proprietari. Se essi li hanno venduti a voscenza, che colpa ne ho io?... Quando dovrò dare il consenso al notaio mi sentirò strappare un brano di cuore!... Pur troppo, in questo mondo, la brocca di terra cotta che vuol cozzare col sasso ha sempre la peggio!

— Ora non sapete quel che vi dite! — lo ammonì don Aquilante.

— Lo so anzi, signor avvocato! E il pianto che faccio io Gesù Cristo deve farlo scontare con lagrime di sangue a colui che ha ammazzato compare Rocco Criscione! Senza di questo, io non sarei costretto, per vivere in pace gli ultimi quattro giorni di vita, [p. 17 modifica]a vendere il fondo che mi ha lasciato mio padre, e che fu di mio nonno e che doveva essere dei figli di mio figlio, orfani da due anni! Rimarranno poveri e nudi in mezzo alla strada, perchè la terra non la porta via nessuno, e i danari si squagliano tra le mani come la neve.

— Potrete comprare un altro pezzo di terreno.

— Ah, signor avvocato! Non sarà mai quello che ho innaffiato tanti anni col sudore della mia fronte. Lagrime di sangue dee piangere colui che ha tolto la vita a compare Rocco Criscione! È vero, eccellenza? Per voscenza è stato come se le avessero troncato la mano destra. Compare Rocco era un altro padrone!

Rabbuiatosi in volto, il marchese andava su e giù per la stanza, stringendosi le mani.

— Vedete? — disse don Aquilante. — Il marchese non vuole neppure aver l’aria di farvi una soperchieria. Chi vi ha detto niente? Siete venuto da me per vostra spontanea volontà. E intanto uscite fuori con certi discorsi!

— Non vi faccia specie, signore mio! Il cuore vuole il suo sfogo.

E il vecchio contadino si asciugava gli occhi col dorso d’una mano mezza anchilosata dal rude lavoro dei campi.

Intravedendo, con la coda dell’occhio, qualche cosa di nero fermatosi silenziosamente in mezzo all’uscio, il marchese rizzò la testa.

[p. 18 modifica]— Che vuoi? Che vieni a fare qui? — gridò con voce turbata.

L’avvocato e compare Santi si voltarono. E, riconosciuta la vedova di Rocco Criscione, si tirarono da parte.

Vestita a lutto, avviluppata nell’ampia mantellina di panno nero che le copriva la fronte, lasciando scorgere, tra le falde tenute strette con le due mani sul mento, appena gli occhi il naso e la bocca, la donna non fece un passo nè un movimento. Rispose quasi sottovoce:

— Sono venuta per qualche notizia, se mai....

Quell’atteggiamento e il tono della voce dovettero irritare maggiormente il marchese.

— Sono forse il giudice istruttore io? — esclamò con stizza. — Ne so quanto te, quanto gli altri!

E, a un tratto, accortosi che le dava del tu, si morse le labbra, tentò di frenarsi:

— Si farà la causa alle Assise, in Caltagirone.... Sarete chiamata. Ci saranno tre avvocati da parte vostra. E questo qui — soggiunse il marchese indicando don Aquilante — vale per dieci! Alle spese penso io. Non c’è bisogno che veniate a stimolarmi, a sollecitarmi.... Che posso fare più di quel che ho fatto e faccio? Era vostro marito; ma era anche il mio fattore, la mia mano destra, come diceva or ora compare Santi; ed io l’ho pianto e lo piango più di voi.... Che bisogno c’è di venire qui?... Ve l’ho detto e ridetto: È inutile venire da me!

[p. 19 modifica]Parlando, il marchese si era nuovamente irritato, alzava la voce, gesticolava agitatissimo.

Anche una persona che non avesse saputo quel che era corso tra quella donna e lui, avrebbe facilmente capito che la irritazione sorpassava il motivo apparente, e che le parole e l’accento con cui venivano pronunziate significavano qualche cosa di più di quel che veramente dicevano.

A Ràbbato nessuno ignorava che Agrippina Solmo era stata fino a tre anni addietro la femina del marchese, come colà si esprimono con vocabolo poco indulgente. Nessuno ignorava che egli aveva posseduto quella contadina sin da quando ella aveva sedici anni; che l’aveva mantenuta meglio di una signora, e che per qualche tempo anche i parenti di lui avevano creduto che finalmente avrebbe commesso la pazzia di renderla marchesa di Roccaverdina.

Intorno ai fatti avvenuti dopo, non si sapeva niente di certo. Ognuno diceva la sua per spiegare la subitanea risoluzione del marchese di dar marito a colei. La cosa era passata tra il marchese e Rocco Criscione, detto anche Rocco del marchese perchè factotum di casa Roccaverdina. Solamente, ragionando con un amico, una volta Rocco si era lasciato scappare di bocca:

— Se il marchese mi avesse ordinato: — Buttati giù dal campanile di Sant’Isidoro — mi sarei buttato a chiusi occhi!

[p. 20 modifica]Vedendo che la donna restava là, con lo sguardo implorante fisso addosso al marchese, chiusa nella mantellina nera e immobile come una statua su la soglia dell’uscio don Aquilante, che si era già dato una spiegazione di quella scena, pensò bene d’intervenire. E avvicinatosele, cominciò a dirle a bassa voce:

— Il marchese ha ragione. Ormai tutto è in mano della giustizia. Per quel che lo riguarda, non dubitate, spenderebbe fino all’ultima stilla del suo sangue, se occorresse. Tornate a casa vostra; e quando vorrete sapere notizie, venite da me, sarà meglio.... Andate dunque!

Agrippina Solmo abbassò gli occhi, stiè un istante indecisa, poi, senza un motto nè un gesto, lentamente volse le spalle e sparì come se avesse avuto le suole delle scarpe foderate di ovatta.

Il marchese, quasi masticando qualcosa di amaro, si era accostato alla vetrata della finestra per evitare di guardare la vedova.

— Vestita di nero, col viso pallido, gli occhi intenti e le labbra scolorite, essa deve sembrargli una fantasima di mal augurio — pensava don Aquilante — anche forse perchè gli fa temere una ripresa che potrebbe produrre quelle conseguenze da lui volute evitare dandola in moglie a Rocco Criscione!

— Bisogna compatirla, poveretta — egli disse tornando indietro. E annunziò: — È andata via!

— Quella stupida di mamma Grazia! Perchè la lascia entrare? — brontolò il marchese.

[p. 21 modifica]E riscotendosi, soggiunse:

— Ah!... Mi ero scordato che voi eravate qui per l’affare di Margitello. Insomma, che dobbiamo concludere? Vogliamo fare alla buona, tra noi, senza periti nè altro?... Cinquant’onze!

— Che dice mai, voscenza? — rispose il vecchio contadino rimasto presso l’uscio.

— Sessanta?

— È il meglio pezzo di terreno, eccellenza; il cuore di Margitello.

— Più sassi che terra. Dovrò pagarlo a peso d’oro?

— Quel che vale, eccellenza.

— Oh! Se intendete di prendermi per la gola...

— No, eccellenza!

— Sentiamo dunque: che pretendete?

Il vecchio stette un po’ a riflettere, portò la mano destra al petto, quasi si accingesse a pronunziare un giuramento, e balbettò:

— Cent’onze, eccellenza!

Il marchese diè uno scatto.

— Per farmi piacere, eh? Cent’onze!... Per farmi piacere?... Vi paiono fichi secchi cent’onze. E venite a dirmelo qui! E scomodate l’avvocato, quasi fosse vostro servitore!... Cent’onze!

— Compare Santi però... — tentò d’interromperlo don Aquilante per calmarlo.

Ma il marchese non gli diè retta, e continuò a gridare come un ossesso:

[p. 22 modifica] — Cent’onze!... Volete scommettere che non vi faccio più andare nel vostro feudo?... Lo stimate certamente un feudo, se ne chiedete cent’onze... Chiudo tutti i sentieri; litigheremo... Intanto dovrete andarvi col pallone nel gran feudo di cent’onze!... Avrei dovuto fare così da un pezzo. Domani! Manderò a disfare con un aratro sentieri e viottole. E chi crede di avere diritti, procuri di farli valere!

— Ma, eccellenza!...

— Zitto, compare Santi! — disse l’avvocato. — Lasciate che parli io....

— Cent’onze! — sbraitava il marchese.

— E se facessi un taglio? — propose l’avvocato. Il vecchio assentì con un gesto e soggiunse:

— Fate come vi pare! Sono venuto qui ad afforcarmi; coi miei propri piedi ci sono venuto! Il signor marchese non dovrebbe approfittarsi delle circostanze.... Dio non vuole!

— Zitto!.... Settant’onze! — buttò là in mezzo don Aquilante.

E fece il gesto, quasi aprisse il pugno pieno di monete e le spargesse per terra.

Il vecchio abbassò il capo, si prese il mento tra l’indice e il pollice d’una mano; poi, rassegnatamente alzò le spalle.

— Andiamo dal notaio, eccellenza! — conchiuse con un fil di voce.