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Dalla stanza dov’erano entrati essi udirono, poco dopo, la robusta voce del marchese che pareva litigasse con parecchi.

Timide risposte interrompevano, a intervalli, le sfuriate, i rabuffi, le parolacce, le bestemmie che gli sgorgavano dalla bocca simili a un torrente. E durò una buona mezz’ora.

Don Aquilante, con una gamba accavalciata all’altra, una mano davanti agli occhi e il mento chinato sul petto, assorto in profonda meditazione, non aveva risposto a due o tre domande del vecchio che, seduto in un canto, vicino a l’uscio, girava tra le mani il berretto di panno scuro, di Padova, e sembrava atterrito dagli urli del marchese che non finivano più.

Finalmente si udì sbatacchiare la porta di entrata e, quasi subito, acceso in viso pel sangue che gli saliva alla testa ogni volta che montava in collera, il marchese irruppe nella stanza, facendo balzare in piedi l’avvocato che in quel momento chi sa dov’era con la fantasia.

— Qualche giorno mi scoppierà una vena del petto! Vogliono far le cose a modo loro! E se uno non sta loro addosso come un aguzzino, gli rubano fin l’aria che respira! Posso essere dappertutto? Non sono Domineddio!

Era l’ultima vampata.

— Che c’è di nuovo? — poi domandò rabbonito