Il Libro dei Re - Volume I/Introduzione/XI

Introduzione - XI. - Lodi del Sultano Mahmûd

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XI. Lodi del Sultano Mahmûd.

(Ed. Calc. p. 9-10).


     Da che il mondo creò l’onnipossente
Man dell’Eterno, un prence a lui simile

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Mai non apparve. Egli ha corona e seggio
Imperïal, vittoria l’asseconda,
555E vigile fortuna Iddio gli diede.
Come fiammante sol, sedendo in trono,
Risplender fa la sua corona, e splende
L’ampia terra per lui qual levigato
Nitido avorio. Or tu dirai: Quest’almo
560Sol che sì vivo splende e da cui tanta
Luce s’accresce per la terra oscura,
Come s’appella? — Abu ’l-Kasìm, l’invitto
Re che tu chiedi, il trono suo più in alto
Pose di questo sol. La terra tutta
565Da orïente adornava ad occidente
Il possente signor, sì che miniera
D’oro s’aprìa per lui, per sua possanza
In ogni loco. — La fortuna mia
Sonnolenta destossi, e un pensier nuovo,
570Molti pensieri mi affollar la mente.
Conobbi allor che tempo era venuto
Propizio a favellar, che rinnovarsi
Doveano allora e ritornar gli antichi
Tempi de’ prischi re, sì che una notte,
575Col pensier della mente in questo assorto
Magnanimo signor dell’ampia terra,
Col cor pien di sue lodi, al sonno in grembo
Mi abbandonai. Splendea questo mio core
Come facella in quella notte oscura;
580Chiuso era il labbro, ma il mio cor vegliava.
     Stupenda visïon l’alma serena
Vide nel sonno allor. Parve che a un tratto
Dall’acque uscisse del profondo mare
Una face splendente; era la terra
585Un’atra notte, ma al chiaror di quella
Vivida luce risplendea pur essa
Qual fulgido rubin. L’ampia campagna
E de’ monti le falde intorno intorno

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Parver coperte d’un verde broccato,
590Allor che un trono si mostrò, di mille
Turchesi ornato e sfavillante. In esso
Un gran prence sedea, bello qual luna,
E su la fronte non celata avea,
Ma una corona tutta d’or. Dintorno
595Si stendean per due miglia i prodi suoi
E da destra e da manca erano in ampio
Ordin disposti sette volte cento
Elefanti animosi. Eragli innanzi
Nobil ministro, e al gran signor la via
600Di giustizia mostrava e l’alte norme
Di nostra fede. Io mi stupìa per tanta
Maestà di quel re grande e famoso,
Per tante genti sue, per quelli in guerra
Valorosi elefanti. E poi che in volto
605Al possente signor gli occhi io fermava,
Un de’ suoi prenci a dimandar mi fei:
È questa, dimmi tu, del ciel la vòlta,
La luna è questa, o il trono o la corona
Di sovrano signor?... Stelle son queste
610Che songli attorno, o prenci incliti in armi?
     E tal mi rispondea: Questi è il signore
D’India e di Grecia; da Kannogia al mare
Di Sind lontano. Ma in Turania tutti
Gli son servi e in Irania, e vivon tutti
615Sol per sua grazia e suo voler. La terra
Egli tutta adornò di sua giustizia
Con l’opre illustri, e poi che fu compiuta
L’impresa sua, si pose in su la fronte
L’inclito serto. Egli è Mahmùd, possente
620Signor di nostra terra; egli a una stessa
Fonte conduce e lupi ed agni. I prenci,
Da Kashmìr popolosa al mar di Cina,
Prestangli omaggio ossequïosi; e allora
Che nella cuna dal materno latte

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625Distolto è il labbro d’un infante, il nome
Del regnante Mahmùd primo ei balbetta.
Tu pur, che dono hai di favella e cerchi
Eterna gloria per lui sol, le lodi
Cantane riverente. Il suo comando
630Niun trasgredisce in terra, e al cenno suo
Niun mortal si sottrae, tanto egli è grande.
     Dal sonno mi destai. Balzai dal loco
Ov’era, e in piè deh! quante notti oscure
Stetti a far voti per tal re gagliardo!
635Oro da offrirgli io non avea, ma tutta
L’alma gli offersi, e dissi in me: La chiara
E nobil visïon si avrà risposta,
Chè la fama di lui per l’ampia terra
Alto risuona. Oh! lode a lui, chè lode
640Ei fa pure all’Eterno, e benedetta
Sia la sua sorte vigile e serena,
La sua corona ed il suggel! La terra
Bella si fa per maestà ch’è sua,
Quale è un giardino a primavera; il cielo
645Nuvole ha ombrose, e il suol mille parvenze.
Scendon le pioggie su gli aridi campi
Al tempo lor propizio, il mondo intero
D’Irèm sembra il giardin; per tutta Irania
Per sua giustizia opere son leggiadre,
650Gioisce il mondo di sua gioia. E il prence
È quale un ciel di fede intatta a’ suoi
Conviti di gran re, ma in guerra a un fiero
Drago è simil. Nel corpo è un elefante
Ardimentoso, ed è Gibrìl nell’alma,
655Angiol di Dio, ne’ doni suoi qual pioggia
In mese di Behmèn, fiume di grazia
Nel magnanimo core. È la fortuna
De’ suoi nemici, contro all’ira sua,
Vile e spregiata, come l’oro è vile
660Dinanzi agli occhi suoi. Nè per corona

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O per tesoro imperïal superbia
Si assunse mai, nè per battaglie e imprese
Quel suo cor si oscurò. Tutti frattanto
I fidi suoi, che molti ei n’ha, i famosi
665Guerrieri e i servi d’illibato core
Questo prence di prenci han caro e amico
E fedeli gli sono e obbedïenti.
Con tutta fè. Prenci son dessi ancora
Ne’ lor castelli per l’immenso regno,
670E lor nome si grida oggi dall’alto
Seggio sacerdotal nei templi nostri.