Il Governo Pontificio o la Quistione Romana/Capitolo 1

Capitolo 1

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Prefazione Capitolo 2
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CAPITOLO I


Sovranità del Papa.


La Chiesa cattolica romana, cui sinceramente rispetto, componsi di centrentanove milioni d’individui, non compreso il garzonetto Mortara.

Essa governano settanta cardinali, o prenci della Chiesa, che fan riscontro ai dodici Apostoli.

Il vescovo di Roma, appellato umilmente Vicario di G. C., Santo Padre o Papa, gode sconfinato potere su centrentanove milioni di cattolici.

Ei nomina i cardinali; questi, lui. Dallo istante di sua elezione il Papa diviene infallibile, a peggio andare, nella sentenza del De Maistre e de’ più cimati ortodossi. E se il Bossuet non fu di cotesto avviso, bene lo furono i Papi, e bazza a cui tocca. Or, se il sovrano Pontefice dogmatizza che Maria Vergine nacque scema di macchia originale, i centrentanove milioni cattolici hanno a crederlo a man baciata, siccome avvenne testeso.

Colesta pieghevolezza delle intelligenze onora per bene il secolo nonodecimo; e i [p. 2 modifica]posteri, se ameranno giustizia, ce ne sapran grado: perchè, al far de’conti, invece di accapigliarci per piati teologici, noi abbiamo appianato e ferrato le vie, collocato aerei fili telegrafici, foggiato macchine a vapore, gittato in mare vascelli a vite, dichiuso gl’istmi, creato scienze, svecchiato leggi, rammansato parti, nutricato poverelli, inurbato barbari, rinsanato paduli e acquitrini, dissodato brojere, senza prender lite, neppure una volta, intorno all’inerranza di un uomo.

Ma cotesto secolo sì faccendiero e sì usuraio del tempo, può esser forzato a negligere per un pochissimo le sue bisogne, e sostare. Se, a mo’ d’esempio, scorge agitazion violenta nei dintorni di Roma e del suo vescovo, agitazione cui nè arti sparvierate di diplomatici, nè sforzi di armati valgono a calmare; se scopre in un cantuccio di una penisola fuoco senza fiamma, e pur non estinto, che ha possanza_d’incenerire in sole ventiquattr’ore tutta Europa; cotesto secolo, cui prudenza è dovere, grave essendo il cómpito che gli spetta, all’agitazion romana si agita, e vuol conoscere che cosa sia.

Che sia? Egli è che que’ buoni messeri del medio evo, Pipino il breve, Carlomagno e la contessa Matilde, sono andati liberali e scialacquati col Papa. Gli han donato terre ed uomini, come portava usanza; che l’uomo riputato essendo mobile vivente della terra, entrava come giunta nel contratto, quasi giunco della carne. E furono sì generosi, non [p. 3 modifica]ch’ei credessono, col signor Thiers, che Papa indipendente vuol esser Papa re, avendolo scorto in sua povertà più indipendente e più donno di qualvuoi monarca terreno: ma eglino il vollero dovizioso per ragion di amistà, di calcolo, di riconoscenza, ed anche per diseredare le proprie famiglie, come accade tuttodì, con le quali erano in iscrezio. Dall’epoca di Madonna Matilde inuzzolito della proprietà, il Papa cominciò aver di catti, e le voglie sue rinverdirono impronte. Acquistò città per capitolazioni, tale che Bologna; n’ebbe a colpi di cannone, tale che Rimini; alcuna pure per tradigion secreta, tale che Ancona. E cosi il vescovo di Roma è il monarca temporale di quattro milioni di ettari di terreno, e domina sopra tre milioni cenventiquattromila seicensessantotto uomini, che dolorano rosi fino all’osso dalle marmeggie pretesche.

Or perché son dessi nel duol si vinti? Ascoltateli, chè n’avete d’onde.

Eglino dicono: «Che l’autorità cui sono sommessi, senzachè abbianla nè dimandata nè accettata, è la più sostanzialmente assoluta fra quante n’abbia ideate Aristotile: che i poteri legislativi, esecutivi e giudiciarii sono unificati, confusi, amalgamati nella mano istessa a marcio dispetto degli Stati civili e delle teoriche del Montesquieu; ch’eglino fanno ciecamente a fidanza con la pontificale infallibilità, ove di religion si favelli; ma nelle civili bisogne nè sanno nè possono piegarvi il collo; che non rifuggono dal prestare [p. 4 modifica]obbedienza, avvegnadiochè l’uom non viva quaggiù per aver libito rotto ad ogni appetito, e vorrebbono ubbidire a leggi, ove leggi fossero; che la buona voglia altrui, per buona che sia, val manco che il Codice Napoleone, che il Papa regnante non è uom tristo; ma che reggimento arbitrario di prete, fosse ei anche infallibile, sarà sempre reggimento fra i mediocri cattivo.

«Che seguendo la vecchia costumanza (barbacane dell’edifizio papale), il Papa associa al governo temporale degli Stati suoi capi, sotto-capi, ed impiegati spirituali di sua Chiesa; che cardinali, vescovi, canonici e preti scorrazzano commisti lo Stato; che una sola e medesima casta ha diritto di ministrare sacramenti e provincie, confermare garzoncelli col crisma, e giudicii in prima istanza nei tribunali, ordinare suddiaconi ed arresti, spacciare agonizzanti e patenti di capitani. Che in cotesto amalgama di spirituale e di terrestre cercansi uomini per ogni maniera di rilevanti magistrature, i quali bene visi all’occhio di Dio onniveggente, riescon paurosi, come la peste, alla debil veduta del popolo; estranii sovente al paese, talvolta agli affari, mai sempre alla vita della famiglia, che è perno d’ogni socievolezza; senz’altre conoscenze che le sopraterrestri; senza figliuolanza, di che la loro incuria per lo avvenire della Nazione; senza mogli, onde è lubrico lo sdrucciolare di presente; ultimamente senz’attitudine al discorso, chè, con cervelli scemi [p. 5 modifica]di uno spicchio e mezzo, è facile invanire della partecipanza alla pontificale infallibilità.

«Che cotesti servi di un Dio, nel quale dolcezza e severità sono medesimamente al superlativo, abusano dell’una e dell’altra; e indulgentissimi per gli uomini di poca levatura, per gli amici loro e soprattutto per sè stessi, sono come la campana del bargello che non suona se non a vitupero contro chi sorge contro al potere; e smenticano anzi il fellone il quale uccide a ghiado il prossimo, che il poco accorto che leva la voce contro gli abusi.

«Che il Papa e i preti che gli fan corona, nulla conoscendosi di conti, male governano la finanza; che l’amministrazione balorda o predatoria delle comuni ricchezze poteva portarsi in pace dugento anni addietro, allorquando centrentanove milioni di ortodossi sopperivano le spese del culto e della corte; ma che ora è mestieri, fatti scorti dall’esperienza, prenderne pensiero, sendochè tre milioni ceoventiquattromila seicensessantotto uomini denno quello che già tutto il mondo cattolico provvedeva.

«Che eglino non lamentano la gravezza delle imposizioni, sendo quest’uso passato in costume universale; ma che ben si terrebbero paghi se la terrestre loro pecunia in cose di questa terra vedessero impiegata. Le basiliche, le chiese, i conventi edificati o mantenuti a spese loro ne giocondano la vista come cattolici, ma ne attoscano il cuore come [p. 6 modifica]cittadini; imperò questi edifizii a pezza non suppliscono le strade ferrate, le comunali, l’inalveamento dei fiumi, le dighe contro le innondazioni; che la fede, la speranza e la carità sono meglio invalorite od incoraggiate di quello sia la agricoltura, il commercio, l’industria; che la universal dabbenaggine ringagliardisce, e gli animi abbiosciano a danno della pubblica istruzione.

«Che la giustizia e la polizia hanno occhi di Argo per vegliare alla salute delle anime; ma si danno a veder talpe per riguardo alla salute dei corpi; che si impedisce alle genti oneste di andar perdute mercè cattive letture, frequenti bestemmie, o accostarsi e tenere il sacco ai liberali; ma non alla canaglia di pugnalare un inerme. Le proprietà non sono in miglior condizione delle persone; e assai dura cosa è null’altra speranza poter accogliere in cuore che quella di una scranna in paradiso.

« Che versano i dolorosi meglio che dieci milioni ogni anno per sagginare un esercito digiuno dell’arte militare e indisciplinato, che in quanto a coraggio e onore ciurla nel manico; cui il destino non chiama alle armi, se non sia per insozzarle di cittadino sangue; perchè triste e pestilente è, quando di necessità si ha ad esser battuti, pagare a contanti l’aguzzino e la sferza. Che per arrota denno dare ricetto a malincuore a stranieri soldati, massime agli Austriaci dal braccio pesante, nella loro qualità di Tedeschi- lurchi. [p. 7 modifica] «Ultimamente ci dicono: or son coteste le promesse date dal Papa nel suo motu-proprio del 12 settembre? Ahi! che gl’infallibili falliscano ai loro più sacri impegni

Tanto é amaro, che poco è più morte».

Punto dubito che le riferite doglianze non abbiano alcun che di troppo, sendomi impossibile pensare che una nazione abbia cosi fondato motivo di piato contro i reggitori suoi. Veggiamo i fatti ad uno ad uno; appresso giudicheremo; chè va sano chi va piano.

Voi avete udito il linguaggio di tre milioni centoventiquattro mila seicento sessantotto individui, certo dei più intelligenti, dei più svegliati, dei più eminenti della nazione. Ponete da banda la parte dei conservatori, ciò val dire, gl’interessati nell’amministrazione della cosa pubblica, e gl'invigliacchiti da essi; non rimangono che malcontenti.

Nè questi sono battuti tutti egualmente ad un conio. Ve ne ha che supplicano a mani giunte, ma inutilmente, il Padre-santo di risecare gli abusi: ed è il partito moderato. Altri si avvisa di riformare tutta per intiero la amministrazione dello Stato: e costoro si addimandano radicali, rivoluzionarii o mazziniani, lo che equivale, anzichè ad una cilecca, ad un’ingiuria. Cotesta categoria non si pèrita gran fatto sulla scelta dei mezzi, seguendo in questo i casuisti gesuiti, che asseriscono, la santità del fine santificare parimente il mezzo. Essa vi dirà, senz’ambagi, [p. 8 modifica]che se Europa lasciassela a qualtro occhi col Papa, ella gli reciderebbe d’un colpo netto la testa. I moderati parlan chiaro; i mazziniani la impongono alta: ei saria mestieri che Europa in un medesimo fosse stolta per non comprendere quelli, sorda per non intender questi.

Che segue da ciò? Che gli Stati pei quali pace, ordin pubblico, civiltà non sono vani nomi, priegano il Papa di por mano a cessare gli abusi. «Pietà prendavi, vannogli dicendo, se non dei soggetti a voi, almeno dei vicini che paventano le fiamme dell’incendio che divampa in casa vostra.»

Ed ogni volta che tale preghiera si rinnovella, il Papa chiama il secretario di Stato, che è un cardinale che domina il Padre-santo nelle terrestri bisogne, a quel modo che questi i cento trentanove milioni di ortodossi nelle spirituali, ed apertogli il cuore, chiede che cosa abbia a fare, sgomento ch’egli è.

Il secretario di Stato, ministro di tutti i ministeri papali, senza por tempo in mezzo, cosi risponde al vegliardo sovrano: «Innanzi tutto, non vi ha abusi; e quando ve ne avesse, dovremmo ben bene guardarci dal toccarli. Riformare alcuna cosa, gli è calare agli accordi tanto quanto co’malconienti; la qual cosa addimostra altrui paura, e confessare che si ha paura, egli è come a dire addoppiar la potenza dell’inimico, dischiudere i cancelli alla rivoluzione, e porsi fra le gambe la via per a Gaeta, ove si alloggia anzi male [p. 9 modifica] che no. Non muoviam passo; conosco la casa; non è nuova, ma starà in piè più lungamente di vostra Santità, senza che le si aggiunga una cazzuolata di calcina. Dopo noi il diluvio; quanto rileva? Non abbiam figliuoli.»

— « Ben di’ tu, risponde il Papa; ma il prence che a far mi sprona è un primo nato della Chiesa. Ne ha reso segnalati servigi, ne protegge tuttodi, e se ei ne abbandonasse, ove andremmo noi a parare?»

— «Cessate l’affanno, soggiunge l’uomo in porpora, appianerò diplomaticamente la bisogna.» — E ratto, impugnata la penna, in istil contorto ei verga una Nota che può cosi compendiarsi:

«Abbiamo uopo dei soldati, non dei consigli vostri, avvegnadiochè siamo inerranti, nė mai al falso ci apponiamo. Che se farete bocchi come un miscredente farebbe, e se vaghezza vi prenderà di ordinarci alcun che, fosse pure la salvezza nostra, noi delle no stre ali cherubiche veleremo la faccia, scuoteremo le palme del martirio, e divenuti obbietto di commiserazione a tutti i credenti dell’universo, indureremo le orecchie a mo’ di mercatanti. Contiam di vantaggio quarantamila de’ nostri appo voi, in casa vostra, che hanno diritto di sfringuellare come loro talenta, a questo da voi di ogni loro bisogna provveduti, affinchè levino la voce in nostro pró. Dessi ai creduli vostri soggetti diranno in tuon di lamento adoperar voi tirannide verso il Padre-santo, e cosi alla chetichella [p. 10 modifica]getteremo la face della discordia nella regioni vostre senza punto parere.