Il Castello di Malpaga/Introduzione
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Il parlare di lui e tesserne gli episodi della vita, dopo le dotte pagine dello storico Pietro Spino, del Bonomi, del Corio e del Muoni, e recentemente dell’inglese Browing, non può essere lo scopo del presente volumetto, che — mi affretto a dichiararlo fin d’ora — si presenta semplicemente come una memoria illustrata del Castello di Malpaga, ancora poco noto fra noi.
Ben ha ragione di meravigliarsi chi, arrivando a Bergamo od a Treviglio, è costretto talvolta ad indicar la via di Malpaga anche a vetturali provetti, che sarebbero tenuti a conoscere le località storiche e rimarchevoli almeno nel circuito di pochi chilometri.
La gradevole impressione che io provai nel trovarmi dinanzi a questo storico Castello, isolato in mezzo alla pianura lombarda, mi incoraggia — come dilettante fotografo sempre più invaghito di ricordi storici — a farne meglio conoscere i pregi, ripresentandomi con questo volumetto, nella fiducia di ritrovare benevola accoglienza.
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Il visitatore può giungere a Malpaga da Bergamo, o da Treviglio, in poco più di un’ora di carrozza, percorrendo strade bellissime; oppure colla tramvia Bergamo-Soncino, che lo porta a Ghisalba, a soli tre chilometri dal Castello.
Questo, che un tempo ospitava principi e re, e fu teatro di caccie, tornei e feste, che commossero migliaia di persone, ora è fattoria; ed i tranquilli lavori campestri e bacologici hanno quasi cancellato i ricordi di quegli avvenimenti. In quel cortile, ancora rispettato nella sua forma originaria, in quelle vecchie sale, quanti ricordi di guerra, di religione, di arte e di domestici affetti!
Non si conosce quando e da chi sia stato edificato il Castello di Malpaga, nè a chi appartenesse allorchè, nel 1450, cadde in dominio della Repubblica Veneta, forse come confisca a ribelli. Dopo varii tentativi di vendita, unitamente ad un vasto latifondo quasi incolto, venne in mano di Bartolomeo Colleoni, che lo comperò, con istrumento 29 aprile 1456, al prezzo di 100 ducati d’oro. Un documento di Marino Sanudo, veneto ambasciatore, e citato dallo storico Muoni nel suo libro su Romano di Lombardia, così descrive il Castello di Bartolomeo Colleoni, pochi anni dopo la morte di questi.
“Malpaga, castello habitato olim dal Capitaneo generalle bergamasco, nunc di Alessandro de Martinengo, conductor de 100 cavalli ne l’esercito, he quadro, a do man di fosse: la prima con mure di la et di qua, et dentro atorno he tuto stale; poi per un altro ponte levador, con fosse di aqua, he il castello, bello palazo con camere et salle adornato; ivi e il Capitaneo retracto: a una torre dove si fa la guarda: a zardin magnifico. He afitado ducati mille et cinquecento ad alcuni, et a do revellini qual di sopra he pento (dipinto). E mia (miglia) uno lontan de Cavernigo dove he palazo bellissimo: li son retrati tuti li homeni et Capitanei illustri nostris temporibus fue. E de qui a Martinengo he mia tre, et mia do he la villa de Guidalba dove e castelo de muro: he luntan de Bergamo mia 13; se usse per la porta di S. Antonio et intrasse per la porta del Tombin.”
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Il Castello, recinto ancora del suo fossato interno, conserva i suoi merli e la torre castellana, dalla quale l’occhio spazia, da un lato fino a Bergamo e alla catena Orobia, e dall’altro alla distesa del piano lombardo solcato dal Serio. Chi osserva la massa del fabbricato, può facilmente rilevare come il quadrato originario del Castello sia stato completato dal gran Capitano, innalzando fra lo spalto e la merlatura di circuito, delle grandi camere a terreno, e delle bellissime loggie al piano superiore, per ridurlo a residenza di campagna. Questa disposizione prova ancora oggidì come il Colleoni, volendo procurarsi una comoda dimora, non abbia esitato a sagrificare il carattere militare dell’originaria costruzione; così pure all’ingiro, al di là del fossato furono erette le abitazioni pei sudditi e dipendenti, le quali contribuirono, a lor volta, a togliere ogni carattere di difesa. Si aggiunga che il genere di vita tenuto dal Colleoni a Malpaga, non ammetteva più questo concetto di difesa: infatti il Capitano delle venete armate sfoggiò qui una corte delle più brillanti dell’Italia superiore.
Ci conforta il sapere come molti studiosi stranieri si siano interessati a questo storico edificio. La società inglese Arundel promette di dare nel decennio una pubblicazione in merito, avendo inviato a Malpaga un pittore distinto, il signor Enrico Layard, per ritrarne quasi tutte le composizioni, e rettificare così l’asserzione dello storico Rio, che oggi difficilmente si possa scoprire ancora un avanzo qualsiasi del vecchio castello di Malpaga.
Qui dimorò il Colleoni sino al 1475, anno di sua morte, alla qual epoca egli vi teneva seicento cavalieri, occupati personalmente al suo servizio.
Sismondi racconta come offrisse ospitalità generosa ai forastieri e come, oltre il re Cristiano I di Danimarca e Borso d’Este, visitarono il Colleoni a Malpaga, anche Ercole d’Este, divenuto poi Duca di Ferrara, ed Alessandro Sforza signore di Pesaro, Bonifacio marchese del Monferrato, gli Ordelaffi di Forlì, Astorre Manfredi signore di Faenza, Gian Francesco conte della Mirandola coi due figliuoli, Deifobo conte dell’Anguillara, Carlo Fortebraccio, ed altr non meno illustri personaggi. — Bisogna quindi ritenere che attorno al Castello, nei non lontani suoi possessi, il Colleoni tenesse le soldatesche, pronte ai suoi impegni; e cavalli ed armi e strumenti di guerra erano certamente lontani da Malpaga, che decorato e disposto a signorile abitazione, era il luogo di riposo e dei divertimenti preferiti dal generale delle armate Venete.
Almeno un secolo dovette trascorrere dalla data delle costruzioni originarie del Castello, all’epoca delle aggiunte fattevi dal Colleoni. Fra quelle domina pur sempre la vecchia torre, nella quale l’inglese critico d’arte signor Atkinson volle trovare un richiamo colla torre del Palazzo Vecchio di Firenze. Tanto in quella torre, che nelle parti originarie del Castello, si può notare ancora l’antica struttura a filari di mattoni e ciottoli, disposti a spina di pesce (vedi Tav. IV).
Il largo e profondo fossato è ora ripieno di alberi rigogliosi. L’entrata principale è munita ancora di ponte levatoio, mentre alla porta secondaria, aperta nella parte opposta, il ponte levatoio venne sostituito con ponte in muratura, che collega l’atrio esterno col Castello (Tav. III).
Fra le aggiunte fatte dal Colleoni, merita particolare menzione la sala dei banchetti, che nelle qui unite illustrazioni chiamai sala principale a terreno, adorna di pitture a fresco illustranti la vita del gran Capitano, il quale venne rappresentato in ognuno dei sei quadri, che furono però, come diremo poi, dipinti dopo la di lui morte.
Il cortile da tre lati è circondato da portici ad arco, sorretti da robuste colonne, i cui capitelli ripetono gli stemmi Colleoni. (Tav. VII). Due scale di ammattonati scaglioni mettono al piano superiore, dove mostrasi tuttora la camera nella quale il vecchio condottiero esalava l’ultimo respiro (Tavola XIV). Questo locale porta numerose traccie di affreschi, quasi indecifrabili ora: per la fattura che ancora vi si riscontra, ponno però esser giudicati del tempo del Colleoni.
Le camere che guardano verso corte sono illuminate da finestre a forma rettangolare, quali si veggono nell’affresco grandioso riprodotto a Tav. XXI; alcune altre finestre invece dovettero adattarsi agli affreschi, di cui è adorna la corte centrale, e che facilmente si possono giudicare posteriori al Colleoni, poichè vi si nota quella libertà di composizione e di svolgimento, che è così caratteristico nella decorazione pittorica del secolo XVI. E tale libertà si rivela particolarmente al visitatore nella grandiosa composizione comprendente l’intero lato, a levante della corte, privo di portici, che rappresenta il Doge Malipiero nell’atto di consegnare al gran condottiero Colleoni il bastone del supremo comando, circondato da pomposo seguito, davanti la porta principale della Basilica di S. Marco, la cui facciata è trasformata in istile classico, tanto che non si riconoscerebbe, se sul loggiato non vi fossero rappresentati i quattro cavalli di bronzo del Pireo.
Questa interessante pittura è tanto deperita, massime nelle parti figurative, che non mi fu possibile ottenerne una riproduzione la quale offra un debole ricordo di quanto l’attento osservatore può distinguere sul posto.
A dare però una idea complessa del Castello, assai meglio che una descrizione, interrotta da citazioni storiche, od apprezzamenti sui fatti che vi si collegano, varranno le tavole eliotipiche che accompagnano queste pagine. — L’osservatore porterà specialmente l’attenzione sulle tavole che riproducono i porticati terreni dai quali si accede alle scale. Essi sono decorati ancora molto brillantemente con fregi e fiorami originalissimi, e pieni di quel carattere che contraddistingue le manifestazioni artistiche del quattrocento, prima che il rinascimento togliesse le ultime reminiscenze dello stile gotico. (Tav. VII, VIII, IX, X).
Anche nel porticato superiore (Tav. XII) si ripetono quei fregi così originali, a fiori ricorrenti, sotto il soffitto a guisa di cornice, e negli intradossi delle arcate, colla particolarità di cominciare e terminare con bocche di leone, quali si notano in una delle imprese del Colleoni. — Puttini, figure di santi, stemmi, imagini e minutissimi intrecci geometrici s’intersecano e seguono con grande naturalezza ed a tinte armoniche, ancor meglio accordate dalla patina dei secoli. Le tavolette inclinate, interposte fra i travetti del soffitto all’ingiro dei portici, completavano questa decorazione a fresco, col portare dipinti dei profili di donne e guerrieri, di cui rimane qualche traccia, e i cui soggetti vennero forse dallo stesso Colleoni suggeriti agli artisti; poichè questi s’interessava assai all’arte, come gli storici riferiscono, e come lo prova lo zelo da lui spiegato per l’erezione dell’oratorio di Bassella, e della monumentale cappella di famiglia, che si ammira in Bergamo. Il Colleoni voleva innalzar questa nel recinto stesso della chiesa di Santa Maria Maggiore; e di fronte al rifiuto dei prelati, la volle costrutta adiacente alla Cattedrale, atterrando la sacristia con una schiera di operai obbedienti al suo volere, e sorvegliando di persona i lavori, ch’egli spinse alacremente, per modo da portarli quasi a compimento prima di morire.
Sulla parete del portico a terreno, al di sopra della porta che comunica coll’atrio esterno del Castello, è rimarchevole un dipinto dell’Annunciazione, mentre sulla volta è rappresentato il Padre Eterno, col globo terrestre in tre sole parti diviso e segnato Europa - Asia - Africa (Tav. VIII). Le pitture delle sale, come già si disse, non sono dell’epoca del Colleoni, ad eccezione di qualche traccia nel piano superiore. Non parliamo di quelle di minor pregio, dipinte nella seconda metà del seicento, che decorano tre salotti a terreno, a sostituzione forse di altre di maggiore interesse. Volli però illustrare una porta in marmo di Verona, di buona epoca (Tavola XIII), che trovai interessante per le buone proporzioni e l’elegante sobrietà.
Importanti, sia per l’epoca che per l’interesse storico, sono invece le pitture che mi propongo di rammentare colle tavole in eliotipia, cominciando da quelle della sala principale, o dei banchetti, la quale è la più spaziosa. — Pare che fosse un Martinengo quegli che, cancellando i dipinti contemporanei all’avo Colleoni, forse già deperiti, commettesse al pennello del Romanino di illustrare uno dei principali ricevimenti dati dal Colleoni nel suo castello, in occasione della venuta a Malpaga di Cristiano I re di Danimarca.
Questi, ritornando in patria, dopo aver fatto il pellegrinaggio a Roma, volle sostare alcuni giorni al Castello di Malpaga, attrattovi dalle descrizioni della sontuosa vita che il Colleoni vi conduceva. Il gran Condottiero in quella circostanza volle sfoggiare una varietà di divertimenti, compiacendosi nel dar spettacolo delle sontuose abitudini guerresche, quali ancora si avevano in Italia. La visita fu resa ancora più interessante con saggi di lotte e giostre; e quando queste furono finite, il Colleoni donò al Re una delle sue armature, e donò a ciascun scudiero del seguito una completa assisa dai suoi colori rosso e bianco.
Il Romanino trasse da queste feste gli argomenti per le composizioni che si distendono su tutte le pareti della sala principale.
A destra, entrando dal cortile, vedesi l’arrivo del re Cristiano al Castello (Tav. XVI): nella parete di fronte alle due finestre il torneo, interessantissimo pei costumi, le armi e le bardature dei cavalli (Tav. XIX): quindi il banchetto, nel quale figura anche Madonna Tisbe, moglie diletta e fedele del condottiero (Tav. XVIII). Segue la caccia al falcone (Tav. XVII), poi la premiazione del bergamasco lottatore col gigante Candia, al seguito del re di Danimarca (Tav. XX). La serie delle scene si chiude colla partenza del re dal Castello, dipinta di contro all’entrata (Tav. XXI).
Quest’opera importante del Romanino, eseguita nella prima metà del cinquecento, si distingue per una fattura larga, e pei caratteri della scuola veneta.
È noto come questo artista, contemporaneo al Moretto, allorquando questi, per imitare Raffaello, abbandonava la scuola veneta, abbia voluto invece attenersi fedelmente a questa, sostenendo così col Moretto una gloriosa gara che tornò utile ad entrambi, portandoli all’eccellenza nell’arte.
La descrizione storica, non solo del ricevimento a Malpaga, ma di tutto il viaggio del re Cristiano di Danimarca, venne pubblicata a Copenaghen nel 1599, da Hvitfeld d’Holstein, e ristampata recentemente dal signor Oscar Browning nella sua “Vita del Colleoni,” edita a cura dell’Arundel Society.
Lo Spino però, nella “Vita e fatti dell’Eccellentissimo Capitano di guerra Bartolomeo Coleone” (Venezia, 1569), così diffusamente racconta il ricevimento di Cristiano I di Danimarca:
“Cristierno, rè della Dacia, tornandosene dal peregrinaggio di Roma, prima ch’egli uscisse d’Italia volle vedere il Coglione e visitarlo in Malpaga. Ove con grandi e sontuosi apparecchi Bartolomeo il raccolse e trattenne in conviti e torneamenti, in caccie et altri deporti Reali: con meraviglia di quel Re grandissima che in una quasi solitaria Terretta avesse tanto di magnificenza et splendore et copia di tutte le cose elettissime. Ma sopra tutto di novo et giocondo spettacolo, fu a Cristierno l’incontro che Bartolomeo gli fece. Il quale tra per lasciare al re et a suoi che fur molti (et era tempo d’estate) libera la stanza di sotto la Rocca, et dar insieme al re straniero alcun saggio dell’arma, et della disciplina militar d’Italia, s’era, poco fuor di Malpaga lungo la via in un piano per dove il Re veniva, posto sotto a padiglioni et tende; et dentro a fossi et steccati in apparenza et forme d’un vero et ben inteso alloggiamento campale.
Di dove nell’approssimarsi del Re, Bartolomeo uscendo sopra un gran corsiero bardato et ben guernito da guerra: et esso fuori che il capo imperatoriamente ornato a tutt’arme, seguendo due soli scudieri che gli portavano elmi et lancie, et di poco intervallo tutta la sua Banda ch’era da sè 100 cavalli in battaglia coi suoi condottieri et squadrieri, tutta gente fiorita et nobilissimamente armata et montata, a bandiere spiegate et a suono di tromba come se da vero ei conducesse loro a Giornata; in vista veramente meravigliosa et superba venne ad incontrarlo. L’ordine dell’historia richiede che in questo luogo io non passi l’avenimento d’un fatto di memoria piacevole. — Havea trà suoi Cristierno un Daco, huomo di smisurata et mostruosa grandezza, il quale pochi trovando ch’ardissero et nessun che bastasse di contrastargli alla lotta, pigliavasi il Re a piacere di gire in lui ostentando la ferocità et robustezza della natione. Hora havendo egli un di costui, il Re et Bartolomeo presenti giocato et vinto alcuni, i quali con più coraggiosità che giudizio eran venuti con esso a troppo disuguale paragone di forza et tuttavia sfidando orgogliosamente ogniuno al certame, egli avenne che fuor del cerchio tra gli altri ch’attendevano al giuoco trovossi un Montanaro de’ nostri, il quale havea quel dì per la Corte condotto carbone. Giovinastro di un venticinque anni, et di persona ben soda et quadrata. Il quale come lungamente avezzo a lottare col suoi pari, havendo notato assai tosto che quanto di grandezza et di corporale forza vantaggiava quel Daco, altrettanto di maestria et di destrezza gli mancava nel gioco, ne sofferire potendo che con tanto avvilimento et disprezzo dei nostri braveggiasse un Barbaro, et seco dispettosamente dicendo: s’egli avesse affar meco non vincerebbe me forse; fu sentito da tale che a Bartolomeo il rapportò. Il quale fattolsi chiamare in disparte, et da capo a piè esaminatolo et giudicatolo assai atto a quel fare che di sè prometteva, fattolo spogliare et forbire et tutto rivestire nobilmente in habito militare: Hor va animosamente, gli disse, et da valente huomo portandoti cotesti vestimenti sian tuoi. Scese il Carbonaio sul campo e venne alla prova col Daco. La smisurata forza del quale havendo egli per alquanto con mostre e viste false accortamente atteggiando schernita, presa l’occasion tantosto ch’ei se la vide bella, curvando il capo e il dosso d’un repentino lancio sotto esso all’avversario avventossi. Et sopra l’anche abbracciatolo et sollevatol di peso a capo in giù et piedi in alto l’hebbe steso in terra con lietissimo rumore et applausi di tutti gli astanti. Ai quali si moltiplicò riso e festa facendo Bartolomeo portare al novo Campione in sul campo i suoi vili drappi. Dei quali colui fatto un fascio e gettatolsi in collo via se n’andò portandoselo quasi un nobil trofeo della sua vittoria.
Donò Bartolomeo al Re partendo una delle sue armature di fino e prezioso lavoro et tutta la servitù reale honorevolmente di novo ei ne mandò vestita a vermiglia et bianca che fu sua livrea. Di quel tempo anchora ch’ei s’apparecchiava alla guerra et al passar con l’arme sopra la Romagna Borsio d’Este Duca di Ferrara con grande et nobile compagnia a lui venne. Del quale nientemeno alla grande fu incontrato et raccolto e per alquanti dì trattenuto in Malpaga.
Poco sopra quel tempo, Francesco Sforza, Prencipe di tanta estimatione et virtù, sentendosi oggimai vecchio et infermo avicinare alla morte et conoscendo assai bene di quanto momento al mantenere in pace il novo Prencipato à figliuoli fusse per dover esser loro l’amistà et benivolenza di Bartolomeo, due d’essi Sforza et Filippo fanciulli di nobilissima indole et speranza havea a lui mandati che riverenza gli facessero e per padre il salutassero. I quali con ogni specie di carezza et d’honore fur da Bartolomeo ricevuti et trattati per quanto lor piacque dimorarsi in Malpaga et appresso con magnifici doni rimandatine al Padre. Perciocchè in qualunque cosa alla riputation gl’importasse, fu Bartolomeo del denaio sopra ogni credenza liberale et profuso. Ne in mantenere e difendere la propria dignità et decoro egli sopportò giammai ch’altri l’avanzasse. Nella conversatione fu senza pari humano et affabile. — Trai grandi, con l’humile ei non era huomo più di lui dimesso, con l’altiero etiamdio di niuna cosa era più del suo superciglio superba.”
Mi rimane ora ad accennare ad altri dipinti che si vedono sulle pareti della corte, dei quali però nessuno ha potuto finora dire con sicurezza quali fatti rappresentino. Nella composizione che occupa tutta la parete del primo piano, e si distingue per finitezza di esecuzione (Tav. XXII), possiamo ravvisare una battaglia data sotto Bergamo contro i Milanesi. Tanto questa, che le altre sotto il portico (Tav. XXIII, XXIV e XXV), sono d’ignoto autore. Quella del Papa Pio II che manda lo scettro del comando a Bartolomeo Colleoni, è notevole per lo studio delle figure, e vi riconosciamo una fattura larga e spigliata di pennello — senza per questo accettare l’attribuzione fattane al Giorgione (Tav. XXIII).
Il dipinto che occupa tutta la parete di fondo al porticato terreno (Tav. XXV) è il meno importante dal punto di vista artistico, ma potrebbe acquistar interesse se si potesse precisare a quale fatto si riferisca la grandiosa composizione, nella quale ben si possono notare dei soldati colle imprese del Colleoni, ed i vessilli della Repubblica Fiorentina, ma nessun altro indizio storico. In quasi tutte queste composizioni la bizzarra figura di uno scudiere moro, coll’acconciatura del capo foggiata a forma di elmo fregiato coll’impresa della banda bianca o rossa collegante le teste dei leoni, si vede a lato del gran Condottiero (Tav. XXIV), per cui dobbiamo ritenere che questa figura abbia sempre accompagnato il Colleoni nelle sue guerresche imprese.
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Io mi auguro che queste modeste note, e le fotografie del Castello di Malpaga, abbiano trovato buona accoglienza presso il cortese lettore, col richiamare quell’imponente figura del Condottiero, così ardito e benefico ad un tempo, il quale chiudeva nobilmente l’avventurosa sua vita, colla memorabile risposta data agli ambasciatori, spediti dalla Serenissima Repubblica al suo letto di morte per tributargli l’estremo omaggio: “Consigliate la Repubblica che giammai confidi ad un altro generale un potere sì grande ed una autorità tanto forte come quella in me riposta.”
Con testamento 27 e 31 ottobre 1475, Bartolomeo Colleoni lasciò Malpaga, assieme a molti altri suoi possessi, alla figlia Ursina, maritata al conte Gherardo Martinengo.
Rimasto per lungo tempo in mano ai discendenti di questi, il castello di Malpaga passò verso il 1858 in proprietà del conte Francesco Roncalli, senatore del Regno, il quale ai molti titoli di pubblica benemerenza, associò pure quello di migliorare la coltivazione dei terreni circostanti, e di conservare con affetto quanto oramai rimaneva di questa dimora, tanto cara ad una delle più grandi figure della patria sua.
Chi oggi porta degnamente un nome tanto illustre, è il conte Guardino Colleoni. Nel di lui ospitale castello di Thiene, lo studioso può seguire l’albero genealogico e la discendenza del grande Condottiero.
- Milano, 15 Agosto 1893.