Il Canzoniere (Bandello)/Alcuni Fragmenti delle Rime/XCIV - Dolce cantar d'Amore
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XCIV.
Udì, al ritorno del suo viaggio, cantar d’amore la sua Donna al terzo dì d’aprile: ne descrive a lungo gli effetti e intorno ad essa, e nel suo cuore.
È Canzone ben costrutta, con agili trapassi di pensiero e di stile, tra le migliori sue, pur non difettando delle consuete reminiscenze petrarchesche.
Dolce cantar d’Amore1
Il terzo dì d’aprile
Udii la bella e altiera Donna mia.
Ma qual2 potrà di fore
5Mostrar ingegno o stile
L’angelico concento, e l’armonia?
Che tra mortali, o sia
Là su nel paradiso,
Un cantar più soave
10O simil già non s’have3,
Ch’ogni aspro pianto può cangiar in riso,
E tirar l’alma dove
Tanta il ciel grazia piove.
Al suon delle parole
15Che sì soave usciva
Dalle rosate labbra dolcemente,
Scoprir si vide il sole
Con l’alta luce viva,
Lume del mondo e vita d’ogni gente.4
20Ch’allor allor repente
Cessò la pioggia e ’l vento5,
E senza nubi o velo
Sereno apparse il cielo
Alla dolce armonia fermato, e intento.
25Ahi! che soave voce
Che m’arde e non mi noce.
E gli augelletti gai
Che ’n questi giorni lieti
Van disfogando6 il duol acerbo e amaro,
30I lor pietosi lai
Su per li rami queti
Dal bel concento vinti intralasciaro.
Che lor ben parve raro
Quel canto, anzi divino,
35Veggendo l’erbe, e i fiori
Novi vestir colori
E farsi allor più vago il bel giardino.
Dove cantava quella
Dolce d’amor rubella7.
40Ella cantava allora
Con tanta maestate.
Che mortal lingua nol potrìa scoprire.
E ben che mostri ognora
Nova divinitate,
45Che tutto ’l mondo fa di sè gioire,
Faceva8 allor uscire
Tante dolcezze e tali,
E non so che9 da quelli
Coralli schietti e belli,
50Vago uscio10 a vere perle orientali,
Ch’ogni uom di lei dicea:
Donna non è, ma Dea.
Indi la bianca mano
Del canto guida e norma
55Movea sovente con sì bella grazia,
Che for del mondo umano,
Sol a mirarne l’orma11,
È nostra voglia ognor contenta e sazia.
Che quel che mai non sazia,
60Nei suoi begli occhi stassi,
Amor vero e celeste
Con tai maniere oneste12,
Che quanto m’arde più, più saldo fassi.
E tal mi porge gioia.
65Che più non temo noia.
E se talor attorno
I suoi begli occhi ardenti
Lieta girava con onesto modo,
Amor a lei d’intorno
70Scherzando, le cocenti
Facelle ardea, ond’io m’abbrucio e godo.
E ’l mio destino lodo,
E l’ora e ’l dì ringrazio,
Ch’udir mi fece il canto
75Tanto soave e tanto,
Che di sentirlo non sarei mai sazio.
Ma di lodarlo a pieno
Verrebbe ogni uomo meno.
Dunque il rozzo dir mio
80Frenando, a Voi mi volgo,
Donna, che sete il cor della mia vita.
E come ogni desio
Da’ bei vostr’occhi colgo,
N’altronde vuo’13 soccorso, ovver aìta;
85Quando vedrò gradita
Quanto conviensi, ahi lasso!
Mia servitù sincera14,
E quella fede vera15,
Che senza lei non lascia girmi un passo?
90Quando sarò mai certo
Aver, Madonna, il merto?
Canzon, come Madonna vedi, dille
D’esser prezzata: sono16
94Perchè di Voi ragiono.
Note
- ↑ V. 1. Dolce cantar, esordio felice.
- ↑ V. 4. Qual, va riferito ad ingegno o stile potrebbe manifestare con parole; di fore, ecc., esprimere ciò che detta dentro all’udir quella dolcissima armonia.
- ↑ V. 10. S’have, si ha.
- ↑ V. 19. Bel verso perifrastico.
- ↑ V. 21. Cessò la pioggia, ecc. Effetti che il canto della Mencia — simbolo del potere suggestivo dell’armonia — produce sulla circostante natura. Un concetto simile ha già, genericamente espresso in son. XLIX, v. 13, e ripetuto altrove.
- ↑ V. 29. Disfogando, cercando uno sfogo al dolore sofferto, che non è più capace di contenere. Cfr. Dante: «Sì ch’io sfoghi il dolor che il cor m’impregna», Inf., XXIII, v. 113.
- ↑ V. 39. Rubella d’amore, è la Mencia che sempre disdegna il poeta.
- ↑ Vv. 45-46. Fa... faceva, forma sciatta.
- ↑ V. 48. Non so che, non so quale fascino.
- ↑ V. 50. Vago uscio, porta bella fatta dai coralli schietti, dalle labbra coralline per cui si accede alle vere perle orientali, ai denti perlacei.
- ↑ V. 57. L’orma, l’impronta. Imagine poco adatta con quella confusione che nasce tra l’idea concreta dell’orma e quella astratta della grazia.
- ↑ V. 62. Maniere oneste, corrette, cfr. son. LXIV, v. 10. Più sotto. v. 69, onesto modo. È il dantesco: «Che l’onestade ad ogni atto dismaga», Purg., III, 11. Di cotesta onestà particolare così ragiona Bartolomeo da S. Concordio: «Nel movimento e nell’andare e negli atti si debbe tenere onestà. Il superbo si diletta dello svariato andare; l’uomo disonesto nell’andare si mostra». Ammaestramenti, VII, I, 5, 16, 18.
- ↑ V. 84. N’altronde vuo’, non voglio da altra parte aita, aiuto.
- ↑ V. 87. Servitù sincera, devozione schietta.
- ↑ V. 88. Fede vera, cfr. Canz. CXX, dove la fede è detta retta, chiara, pura, ferma, sincera.
- ↑ V. 93. Sono, e cioè, io sono pregiata perchè ragiono di voi. Nota il trapasso dal discorso indiretto al diretto.