I rossi e i neri/Primo volume/XXVII
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XXVII.
Come la bella Ginevra non avesse ad essere molto contenta dei fatti di Aloise di Montalto
Aloise avrebbe voluto ringraziare il marchese Antoniotto della sue cortese profferta, e rispondergli destramente come non gli andasse punto a’ versi essere presentato alla marchesa Torralba. Ma non era più tempo. Il marchese Antoniotto, senza aspettare la sua risposta, lo aveva già condotto così dirittamente verso quella signora, che non c’era più modo di dare indietro.
I lettori conoscono già per un breve cenno la marchesa Torralba, quella gentildonna dalle carni del color del latte e dai lineamenti soavi, tutta impastata di bontà, tutta dolci pensieri significati con dolci parole da una voce melodiosa, sebbene un po’ gutturale. Per rammentar loro quel tipo, non facciamo altro che copiare a un di presso le nostre parole.
La marchesa Maddalena accolse benissimo il nostro Aloise, che si presentava a lei sotto gli auspicii del grave marito della Ginevra, e il vecchio cavaliere, Cupido scadente, dai capegli brizzolati e dalla faccia grinzosa, che le faceva compagnia, approfittò della loro venuta per svignarsela e correre attorno.
Un giovine, a dir vero, non si sarebbe diportato in quel modo. Ma i giovani non sono vecchi, e questo nessuno vorrà mettere in dubbio. Ora è noto che i vecchi Ganimedi, pigliando per buona moneta quelle cortesie profumate che ad essi usano le signore, perchè sono utilissimi e fanno le veci di mariti custodi, senza essere mariti e senza usare una vigilanza del pari sospettosa, montano in gran superbia, e farfalleggiano quinci e quindi, come se avessero venti o trent’anni di meno; si affrettano a cogliere il fiore di questa pianta e di quella, come api le quali non abbiano tempo da perdere: danno guizzi sfavillanti, come la lucerna che è presso a spegnersi per mancanza d’alimento.
Aloise, non sapendo come meglio incominciare, pregò la marchesa Maddalena d’un giro di valzer. Ma ella ricusò, dicendogli schiettamente come fosse quello l’unico ballo che non le piaceva, perchè le dava il capogiro, e come già avesse dovuto rispondere con un rifiuto ad altri parecchi.
Era naturale che Aloise la richiedesse di un altro ballo, e appunto egli fece. Ma anche qui c’erano parecchie difficoltà; che la mazurka era promessa al Riario, la polka al Pietrasanta (briccone d’un Pietrasanta! egli non era stato con le mani alla cintola!) la scotish poi ad un altro, di cui essa gli fe’ leggere il nome sul suo libriccino di avorio.
- Sono pur disgraziato! - disse Aloise, poichè ebbe veduta quella filza di nomi. - E la quadriglia?
- Per questa, - rispose la marchesa Maddalena, - mi sembra che non ci sia proprio nessuno.
- Orbene, signora, vogliate concedermi questa.
La Torralba acconsentì di buon grado, e Aloise scrisse il suo nome nel libriccino; quindi fece atto di accomiatarsi. Ma aveva fatto i suoi conti senza il marchese Antoniotto, il quale era già andato più oltre, lasciandoli soli.
- Signor Montalto, - disse la Torralba, ridendo dello stupore di Aloise, - vi hanno lasciato solo.
- Accanto a voi, signora; il che vuol dire molto bene accompagnato. Voi in cambio non potrete pensare lo stesso.
- Volete un complimento?
- No, in fede mia, signora marchesa. Ho detto quello che pensavo, e nulla più. -
Di questo modo incominciò tra la bianca signora Maddalena e il nostro Aloise una conversazione, rotta dapprima, poi facile e tranquilla, qua e là condita di motti graziosi, ma in ogni parte affabile e misuratamente sdolcinata, come sempre occorre tra un uomo e una donna, anco se la donna e l’uomo siano lontani le mille miglia da quel paese del Tenero che fu così acconciamente scoperto e misurato a palmi da madamigella di Scudéry.
La signora Maddalena non era una di quelle donne di pronto e sottile ingegno, nate per offrire ad un romanziere novellino il tipo delle sue perfette eroine. Ella era tuttavia un’ottima pasta di donna, e la bontà dell’animo, la dolcezza dei modi, in quella che richiamavano alla mente l’immagine della colomba, facevano dimenticare ch’ella non era un’aquila.
Timida appunto come quel leggiadro animaletto domestico, la nobiltà del cui ufficio risale ai tempi del diluvio, modesta come la mammola, la signora Maddalena non era fatta certamente per risplendere su tutte le altre sue pari, e avrebbe avuto il gran torto chiunque l’avesse posta a raffronto della Ginevra, della Erminia, o della Usodimare. Era dolce, era pietosa, ed appariva tanto più dolce, tanto più pietosa, in quanto che dolcezza e pietà erano le sue virtù culminanti.
Però la conversazione della signora Maddalena, se non era splendida, riusciva sommamente gradevole, con tutte le debolezze, con tutte le storte opinioni che le erano derivate da quella gretta educazione che si dà di presente alle donne, e dal consorzio continuo di donne e d’uomini la più parte educati alle medesime frivolezze.
Aloise, come già avranno notato i lettori, era molto più sciolto nel conversare con la Torralba, che non fosse stato con la bella Ginevra. E in ciò non era nulla di strano, essendo egli posto così di punto in bianco nella necessità di parlare, e l’amore non facendogli nodo alla lingua. Laonde potè mostrarsi disinvolto, com’era veramente, e ragionare con assai garbo di cento nonnulla.
La signora Maddalena lo ascoltò volentieri. Egli non era quell’orso di cui gli amici caritatevoli le avevano fatta una così fosca dipintura. Però in dieci minuti di conversazione, lo spirito della bianca gentildonna aveva già fatte cento miglia, e già pensava che nessuno di que’ giovinotti, i quali portavano il vanto della cortesia e dell’arguzia, potesse mettersi in paragone con Aloise di Montalto.
Il quale dal canto suo rendeva larga giustizia alla signora Maddalena, notando la delicatezza de’ pensieri e la grazia de’ modi, che rispondevano perfettamente alla soavità del suo viso. Ma fermiamoci qui, non corriamo a dare uno storto giudizio del cuore di Aloise, che pure s’avrebbe oramai a conoscere un tantino.
S’erano fatti dapprima a parlare della festa, poi di musica, e dalla musica erano saltati a ragionar di pittura. Egli era un dialogo che andava da sè, piano, scorrevole, come avrebbe potuto farsi fra due uomini, anzi no, tra un uomo e una donna; imperocchè nel dialogo di due uomini si ficca pur sempre lo spirito aspro della controversia, e tra Aloise e la signora Maddalena il ragionamento correva limpido e cheto come.... come.... Cercatelo voi, un paragone che calzi.
Il valzer finì, ed Aloise si profferse ai servigi della marchesa per accompagnarla alla credenza. Segno questo, per ogni osservatore di buon conto, che egli non pensava punto al bel viso della signora. Il cuore che comincia a intenerirsi non profana le sue gioie delicate colla immagine di una donna che mangia.
Così dicono i fisiologi dell’amore, intendiamoci bene. In quanto a noi, non rifuggiamo punto dalla immagine della donna che mangia; pure, non ci faremmo mai lecito di invitarla a mangiare, quando fossimo seduti accanto a lei, ragionando di cose più spirituali.
Sebbene la signora Maddalena non avesse ballato, e però mancasse la ragion sufficiente dell’andare alla credenza, ella nondimeno accettò l’invito di Aloise, ma forse più per il desiderio di muoversi un tratto, che non per centellinare una chicchera di tè.
Nella credenza era una folla di dame e di cavalieri che avevano finito di ballare, e andavano a rinfrescarsi l’ugola o a rafforzarsi lo stomaco. Tra gli altri, Aloise notò l’amico Pietrasanta, il quale stava discutendo colla marchesa Giulia se fosse meglio un poco di tè o un poco di lei, e cavalcava il bisticcio così agevolmente come il suo leardo moscato pei viali dell’Acquasola.
E v’era anche il Cigàla con la marchesa Ginevra. Aloise tremò per tutte le membra, appena la vide. Fino a quel punto egli non aveva pensato a quel che si facesse; era andato ad occhi chiusi: ma al cospetto di Ginevra, i suoi atti innocentissimi gli apparvero pieni di colpa. E infatti, dopo forse venti minuti che l’aveva lasciata, mostrandosi così freddo e contegnoso verso di lei, farsi scorgere con un’altra dama al braccio, lasciar argomentare il desiderio di un’altra presentazione e il naturalissimo accompagnamento di molte sdolcinature, era certamente tal cosa da dare alla marchesa Ginevra un gramo concetto de’ fatti suoi, da farle credere, alla men trista, che egli non fosse innamorato di lei.
Ora, quantunque ella non dovesse saper nulla dell’amor suo, questo pensiero appariva orribile ad Aloise. Mentire in una sera a sei anni continui di affetto, farsi stimare tal uomo che potesse vicino a lei innamorarsi di un’altra, ecco il rischio a cui correva incontro il nostro giovine amico. E il pensare a questo risico gli ingarbugliò il cervello per modo, che non seppe rispondere nulla al Pietrasanta, il quale allegramente lo chiamava giudice nella sua controversia.
Uggioso, impaziente nell’animo, ma misurato nei modi, anzi stecchito con la tesa del suo gibus appoggiata alla coscia, egli rimase là, rispondendo a spizzico e stentatamente alle cortesi domande della marchesa Maddalena.
In quel mentre la bella Ginevra si accostò alla Maddalena, e le chiese con piglio amorevole:
- Orbene, hai ballato?
- No, mia buona amica; - rispose la signora Maddalena, - tu sai che il valzer mi dà il capogiro. A te ha fatto bene; guardati nello specchio, come sei bella.
- Ah, Maddalena! E che cosa diranno questi signori, ai quali si ruba la parte? -
Aloise, a cui la Ginevra si era rivolta, dicendo quelle parole, stette muto; ma il Cigàla colse la palla al balzo, e fece una stupenda volata.
- Diremo, - rispose egli, - che fate benissimo a dirvi tra voi delle cose gentili, ma che, con tutto il vostro ingegno, non giungerete mai a dirvene tante, quante ne pensiamo noi. Non è il tuo parere, Aloise?
- Sì, certo, - rispose il giovine, che si studiava di correggere, con qualche frase a modo, il cattivo senso de’ suoi diportamenti, - noi pensiamo di molte cose; pensiamo tra l’altre che la bellezza è la bontà del corpo, e la bontà è la bellezza dell’anima, e l’una si specchia nell’altra. Avventurose quelle donne che possiedono il talismano di questa doppia bellezza e di questa doppia bontà.
- Bravo, signor di Montalto! - esclamò Ginevra, con un sorriso che rallegrò il cuore ad Aloise. - Non si potrebbe, io penso, dir meglio una bella verità; ed io, con vostra licenza, la farò mia, per ripeterla alla gentil Maddalena. Eccoti vinta, Maddalena, arrenditi a discrezione! -
La marchesa Torralba arrossì, non seppe che altro rispondere, e ringraziò timidamente degli occhi Ginevra ed Aloise.
Ma questi, che già s’era fortemente turbato in udire quel discorso della bella Ginevra, non fu molto grato alla signora Maddalena del suo ringraziamento. Che diamine ho detto mai (pensava egli tra sè) che la marchesa Vivaldi abbia potuto voltarlo a lode della Torralba? Non certamente per questa m’ero fatto a parlare.
Con quest’altra spina nel cuore, il povero Aloise divenne più inquieto, più uggioso che mai.
La credenza intanto s’era spopolata delle dame, e il Montalto ricondusse fuori la marchesa Maddalena. Si stava per cominciare la mazurka, che ella aveva promessa al piccolo Riario. Ma il nostro vagheggino non si vedeva, e la mazurka cominciò senza ch’egli fosse venuto a cercare d’ella signora.
Che ne era avvenuto? La marchesa lo seppe dal Pietrasanta, il quale raccontò gravemente come, sul più bello del valzer, il piccolo Riario, volendo fare il giro a rovescio, fosse caduto disteso, trascinando la dama sul tavolato. Era uno di quegli episodii che sono così frequenti nelle feste da ballo, e mettono un po’ d’allegria in quelle contegnose brigate. Il Pietrasanta, raccontandolo con molta gravità, faceva ridere due tanti di più. La marchesa Maddalena, che, d’indole pietosissima qual era, non aveva aperto bocca, non seppe più tenersi le risa, allorquando il Pietrasanta, venendo a dire di quella gran caduta, uscì fuori con queste parole:
- Vogliono alcuni che ciò sia avvenuto per l’altezza forse soverchia dai tacchi del nostro ottimo Riario, e desumono questa loro opinione dal fatto, che io riferirò col massimo riserbo, non volendo menomamente intaccare la fama del calzolaio, di uno di questi tacchi male attaccati, che fu, dicesi, rinvenuto staccato sul pavimento. -
Era vera questa storia del tacco, o non era che un’arguta giunterella del Pietrasanta? Non abbiamo mai potuto sincerarcene: ma il fatto si è che al piccolo Riario fu da quella sera in poi appiccicato il soprannome di senza tacchi, che ognuno seguita a dargli, sebbene ne abbia un paio di molto ragguardevoli.
Per dire soltanto di quella sera, fu un continuo ripetersi dei bisticci del Pietrasanta, sui tacchi, perchè male attaccati, e via dicendo. Il disgraziato eroe di quella scena era scomparso, o, se vi garba di più, aveva battuto il tacco; e fuvvi un bell’umore il quale asserì di aver veduto nella sala d’ingresso un signorino che se la svignava zoppiconi, tirandosi il cappello sugli occhi, dinanzi alla mazza d’argento del guardaportone.
La conseguenza inaspettata del ridicolo episodio fu questa, che Aloise si profferse alla marchesa Torralba per ballare con lei la mazurka in vece del piccolo Riario, e che la signora Maddalena accettò.
Per tal modo Aloise era più affondato che mai, senza speranza di cavarsene. E intanto la marchesa Ginevra, che aveva ballato il valzer col Cigàla, ballava una mazurka con un altro amico d’Aloise, il Nelli di Rovereto, che i lettori hanno veduto nella chiesuola diroccata di San Nazaro.
La bella Ginevra vide il Montalto giungere nel salone con la signora Maddalena, e parve ad Aloise di scorgere in quelli occhi verdi un tal po’ di maraviglia de’ fatti suoi, Cotesto, che non sappiamo se fosse vero, lo turbò di bel nuovo, e cosiffattamente, che egli perdette addirittura la bussola. Vedendolo astratto e non sapendo che dirgli in uno di quelli intermezzi che occorrono frequenti dove son molto numerose le coppie dei danzatori, la marchesa Maddalena incominciò un discorso intorno alla conversazione fatta pur dianzi.
- Che angelica creatura è la Ginevra! - disse ella con molto candore, pensando davvero quel che diceva.
Aloise non rispose. Il nome di Ginevra, messo fuori così repentinamente, gli fece dare una scossa al capo, che alla signora Maddalena parve un mero segno di risveglio naturalissimo in chi è sovra pensieri e si sente richiamato in carreggiata.
- È buona, - proseguì la Torralba, - buona e cortese quanto è bella, e volere o non volere bisogna ammirarla ed amarla. -
V’è egli mai avvenuto, o lettori, di udire a parlare di cosa o di persona, che vi premesse moltissimo, e non potervi tenere che non diceste l’animo vostro, contro tutte le norme della prudenza? Orbene, ciò avvenne ad Aloise di Montalto.
- Sì, - esclamò egli, stringendo inavvertitamente il braccio della marchesa, come se fosse stato quello della bella Ginevra, - ella è buona, cortese, bellissima; e l’uomo che, vedutala una volta, non l’amasse con tutte le forze dell’anima, meriterebbe di perdere gli occhi. -
Egli disse ciò con un piglio così concitato, e strinse così forte il braccio della dama, che ella volse rapidamente il capo, guardando in volto Aloise, come trasognata. Lo stupore della signora Maddalena era tale, che ella non badò neppure alla scortesia, del resto involontaria, di quella pazza sfuriata del suo cavaliere.
La signora Maddalena era donna, e le parole di Aloise erano così chiare, che l’uomo più corto d’ingegno le avrebbe capite. Però ella non durò fatica ad intendere il segreto del giovine, e fu come un velo che si squarciasse d’improvviso davanti a lei.
Aloise amava la bella Ginevra, e tanto più fortemente, tanto più profondamente, in quanto che egli appariva un uomo di tempra vigorosa e di pensamenti severi. Quella era dunque la riposta cagione della sua astrattezza, de’ suoi modi impacciati. E allora le tornarono a mente quelle poche parole dette dal marchese di Montalto in risposta al Cigàla. Ella capì che erano state dette per Ginevra, sebben costei le avesse voltate ad elogio dell’amica. Ma perchè la Ginevra aveva mostrato di non accettarle per sè? V’era egli forse una segreta ruggine tra lei e il Montalto? Ginevra aveva forse voluto punzecchiarlo?
La signora Maddalena non poteva adattarsi a questa opinione. Ginevra era nobilissima d’animo, ed ella non si ricordava d’averla udita mai usare scortesia ad alcuno, o dir parola che sapesse d’amaro. Ella poi non poteva indovinare fino a che punto fossero inoltrate le cose. Rammentava d’aver udito poc’anzi che il marchese di Montalto metteva il piede quella sera per la prima volta in casa Torre Vivaldi; ora come si poteva credere che tra la Ginevra e lui ci fosse alcun che? E d’altra parte, perchè mai Aloise era turbato a quel modo? Insomma, la signora Maddalena si stillava il cervello senza indovinare la verità. Ma una cosa era certa, e le ultime parole del giovine l’avevano posta in chiaro. Aloise amava Ginevra; Aloise era fuori di sè.
Simiglianti scoperte riescono sempre argomento di riso o di rammarico, secondo l’indole di chi ne è venuto a capo. Però il primo pensiero di quella affettuosa gentildonna fu di pietà. Aloise le apparve come un povero ferito, che ella avesse raccolto sul campo di battaglia. E nondimeno dover tacere, non potergli dire che lo aveva inteso e che s’impietosiva a’ suoi patimenti! Fu questo un nuovo rammarico per la marchesa Torralba, la quale poteva dire come Bidone: Non ignara mali, miseris succurrere disco.
Intanto com’era ben custodito il segreto di Aloise! Francava la spesa di tenerlo sei anni, sei lunghi anni celato, se in una sera di vicinanza egli doveva spiattellarlo a quel modo! Ma purtroppo l’amor fa come le selci, che, fino a tanto le si tengano divise, vi appaiono mute ed inerti come debbono esser i sassi; ma fate tanto di percuoterle l’una sull’altra, e subito vi sprigionano scintille.
Con questi cominciamenti, pensate voi che allegra mazurka! Aloise era sdegnato con sè medesimo per quelle sue sconsiderate parole, e non ardiva aggiungerne altre. Alla marchesa Maddalena poi, quella scoperta era cosiffattamente feconda di molesti pensieri, ch’ella non aveva tempo a dir nulla. Ella inoltre con quel fine accorgimento che è della donna, notava che il suo malinconico cavaliere, ogni qual volta i giri del ballo lo riconducessero presso Ginevra, si faceva rosso in viso, e il cuore gli dava le battute doppie.
Come a Dio piacque e all’orchestra, la mazurka ebbe fine. Aloise accompagnò, sempre muto e contegnoso la signora Maddalena a posto, e poco di poi, cogliendo il momento opportuno, si allontanò, andando difilato nella sala più remota del palazzo, dove si buttò su d’un seggiolone, e vi rimase corrucciato, facendo a pezzi i suoi guanti paglierini, che non ci avevano colpa.
- Che fo io qui? Il mio cuore è pieno di amarezza. Amo quella donna come un dissennato, e non so mettere insieme quattro parole da dirle, sicchè ella m’avrà in conto di uomo noncurante, o scemo come tanti altri. E suo marito che viene a mettermi tra l’uscio e il muro, presentandomi alla marchesa Torralba! Ed io che non so cavarmi d’impiccio! Ma come fare? Era debito di cortesia lo stare accanto a quella donna
gentile.... E intanto, chi sa? con tutta la mia sollecitudine intorno a lei, avrò forse dato molestia ad un povero diavolo che rama. Ed ella stessa a prima giunta avrà creduto.... sì certo; ma adesso non avrà a temer nulla; sebbene avrei potuto tenere una strada diversa, e non esser villano per mostrarmi sincero. Ora, quel che è peggio, ho lasciato trapelare il mio segreto. La signora Maddalena saprà che amo Ginevra, e Ginevra non ne sa ancor nulla; io non mi sono certamente diportato in modo che ella potesse avvedersene. Qual concetto si sarà fatto di me? Le sue parole non mi hanno fatto scorgere ch’ella mi crede invaghito della Toralba? Oh, in fede mia, che è stato un bel cominciamento! Ella almeno s’è ingannata; mentre io ho veduto che a lei non ne importa un bel nulla. Ma che donna è costei? Che pensieri girano per quella testa? E che so io? È bella, stupendamente bella, ed io darei dieci anni di vita per poterle parlare con quella disinvoltura che avevo accanto a quell’altra. Suvvia, Aloise.... -
Così dicendo si alzò, mettendosi a passeggiare per quella sala, dove la luce dei doppieri era più mite e dove giungeva più fiocco il rumore della festa.
- Suvvia, Aloise! Bisogna superare questa ritrosia bambinesca, farsi animo, ed essere con lei quello stesso che sono con altre. Che dirà ella, alla perfine, vedendomi sempre così asciutto e freddo come un giorno di febbraio? -
L’immagine del giorno di febbraio lo fece sorridere, sebbene mestamente, e la sua fantasia proseguì su quel metro.
- Sì, bisogna ch’io mi scaldi, e scaldi a mia volta la statua di ghiaccio. Ella non ama nessuno, e questo mi è noto. Per bellezza di forme e nobiltà di pensieri ella appare troppo alta ad ognuno di questi adoratori pedestri, ed è giusto. L’amore soltanto, l’amore sconfinato, può levarsi all’altezza di quella donna. E per questo, Ginevra, voi non istarete molto a saperlo, non c’è chi mi vinca. -
In quella che Aloise dallo sconforto correva alla fede, e cavando di tasca un altro paio di guanti si rifaceva verso la porta della sala deserta, udì nella camera attigua alcune voci di uomini e donne che dicevano: - La quadriglia! suonano la quadriglia. -
E allora gli sovvenne della quadriglia che doveva ballare colla marchesa Maddalena. Giungeva proprio in mal punto, quel ballo cerimonioso!
Quando Aloise fu presso alla marchesa Torralba, vide accanto a lei Enrichetta Corani e il Nelli di Rovereto, suo cavaliere per la quadriglia, il quale chiedeva alla marchesa se ella avesse già scelto una coppia di riscontro.
- Io no; - rispose la signora Maddalena. - Chiedetelo al mio cavaliere, che giunge a proposito.
- Che c’è? - disse Aloise al capitano.
- Chiedevo alla marchesa se non avesse coppia di riscontro per la quadriglia, ed ella si rimette a te. Perciò ti prego.... ed anzitutto ti presento alla mia dama. -
Aloise fece un profondo inchino alla Corani, e fu stabilito il riscontro fra le due coppie, che andarono nel salone di Flora a mettersi in figura.
La Ginevra non era tra quelle coppie di danzatori; di guisa che il giovine Montalto apparve più tranquillo, e non perdette la tramontana, come sarebbe certamente avvenuto se la marchesa dagli occhi verdi fosse stata colà. Ma se Ginevra non c’era, il suo nome fu ricordato. La signora Maddalena, che sapeva il segreto di Aloise, ed era una pietosa creatura, gli parlò sempre della bella Vivaldi, narrandogli per filo e per segno, negli intermezzi del ballo, come fossero amiche, e come fossero state in educazione nello stesso convento. Al qual proposito la signora Maddalena non si peritò di raccontare al suo cavaliere com’ella uscite dal convento poco dopo l’entrata di Ginevra; dond’era agevole argomentare una differenza di parecchi anni d’età, e tutta a scapito della gentil narratrice.
Il giovine rimase intento ad ascoltarla, e chiunque li avesse veduti, senza udire una parola dei loro discorsi, avrebbe creduto Aloise di Montalto innamorato cotto della marchesa Maddalena, e in atto di libar la dolcezza delle parole che le uscivano di bocca. «Vedi giudizio uman come spesso erra!» Di ben altra donna il povero innamorato si dava pensiero; e la signora Maddalena, vedendolo così attento, tornava sempre a dirgliene; laonde, tra tutti e due, nel parlar che facevano della bella Vivaldi, furono errate più volte le figure della quadriglia, proprio come sarebbe avvenuto tra due innamorati.
Ottima signora Maddalena! Ella godeva in cuor suo della consolazione che recava altrui, e ad Aloise parve assai breve quella quadriglia che egli s’era fatto così di mala voglia a ballare.
Ma zitti! La quadriglia è finita, e già si è ballato un altro valzer, durante il quale Aloise di Montalto andò di bel nuovo a ragionare con sè medesimo nella sala remota. Siamo giunti alla mazurka, a quella tal mazurka che il nostro giovine ha da ballare con la marchesa Ginevra, e per la quale ha scritto il suo nome sulle ali della farfalla gemmata.
Ad Aloise tremarono le gambe, allorquando fu per entrare nel salotto dov’era seduta la marchesa Ginevra, centro d’un circolo, o, per dir meglio, fuoco di un elisse, sulla curva del quale si notavano i soliti corpi opachi, come il nobile De’ Salvi, il marchese Tartaglia ed altri di quella risma.
- Marchesa, - le disse egli, accostandosi, con quella scioltezza che gli venne fatta maggiore, - rammentate di essermi debitrice d’una mazurka? -
La marchesa Ginevra sorrise, ed alzandosi per andargli a fianco, rispose:
- Signor di Montalto, io non dimentico mai i miei debiti. -
La frase parve un po’ asciutta ad Aloise, e noi non sapremmo dargli torto.
- Come? - si provò egli a dire, vincendo la natural timidezza; - non è altro che un debito? -
A quelle parole, dette con accento di mestizia, la Ginevra rizzò il capo, guardando fiso il suo malinconico cavaliere. In quelli occhi verdi parve ad Aloise di scorgere un po’ di stupore; e infatti, dopo averlo guardato, la marchesa gli chiese di rimando:
- Che vuol dire questa dimanda, signor di Montalto? Sarebbe egli in quella vece un debito per voi? Veramente, dovrebbe pesarvi, che avete ballato già molto. -
Era un rimprovero? Certo le parole ignude potevano averne l’aria, ma il piglio sorridente e l’accento scherzevole della marchesa Ginevra davano a quelle parole il colore di una di quelle frasi di nessun conto, che si mettono fuori tanto per barattar parole. E così dovette intenderla Aloise, sebbene a prima giunta gli fosse sembrato che la bella Ginevra volesse dargli una trafittura.
- Io, marchesa? - rispos’egli, con aria di candore, a guisa d’innocente che stupisca d’essere accusato; - ho fatto un giro di mazurka e una quadriglia; tutto il rimanente del tempo l’ho passato nella galleria, a vedere i vostri magnifici quadri. -
Stando seduto in quella sala, Aloise aveva notato alla sfuggita che c’erano dei quadri; ma, turbato com’era, non aveva nemmanco pensato a guardarli. Era dunque una bugia innocente, e necessaria d’altra parte a colorire la sua lunga fermata. Doveva egli forse raccontare alla marchesa che era stato un’ora laggiù a ruminare i suoi dolori, dopo aver fatto a pezzi un paio di guanti?
- E così, - soggiunse Ginevra, - i morti vi hanno fatto dimenticare i vivi?
- Lo credete voi, signora?
- No, certo! Io non potrei pensare sul serio che voi, cavaliere perfetto, aveste usato una simile scortesia alle belle dame che adornano la mia festa. Che ne dite della Maddalena Torralba? Non vi par ella una delle più belle signore di Genova?
- Signora marchesa, io non so.... Sono un cattivo giudice.
- Come? E chi ha da sentenziare in materia di bellezza, se non un giovine come voi, signor di Montalto? Io non ho tanti dubbi, e penso che la mia amica Maddalena ne superi molte delle più decantate. -
Aloise si provò ad interromperla; ma ella indovinò quello che gli stava per dirle.
- Badate! - fu sollecita a soggiungere; - ho detto questo perchè lo penso, e voi non avete a rispondermi con un complimento. Non siete del resto un cattivo giudice? -
Aloise chinò il capo senza dir altro. Che cosa avrebbe egli potuto rispondere? Che la signora Maddalena era brutta e gli era in uggia? Avrebbe detto due grosse bugie, e la Ginevra non l’avrebbe creduto. Poteva dire in quella vece come non gl’importasse punto che fosse bella o brutta; ma non gli venne fatto di raccappezzare una frase meno sgraziata, per dirlo.
Per buona sorte l’orchestra venne a levarlo d’impaccio. Senonchè, levata di mezzo la necessità del parlare, sopraggiungeva quella del ballare a modo; e qui fu davvero un cascar di male in peggio. Aloise, come potete argomentar di leggieri, era turbato, e la terra gli traballava sotto i piedi. Non si stringe impunemente per la prima volta fra le braccia la donna che si ama, e il povero giovine aveva a sperimentarlo in quel punto. E mai ballo fu più contegnoso, più freddo, tra una bella dama e un bel cavaliere che a vederli, parevano fatti1 l’uno per l’altro.
A dirvela schietta, non c’era unità in quella coppia; Aloise andava spesso fuor di tempo, epperò erano costretti a fermarsi ad ogni tratto. Finalmente la marchesa Ginevra, o fosse stanca di quel martirio, o mossa a pietà delle angustie del suo cavaliere, mise un eloquente sospiro.
- Siete stanca, signora! - le chiese il giovine, rosso in volto e tremante.
- Sì, un poco. Non so.... forse il valzer di poco fa....
- Venite a riposarvi, signora. E così dicendo, la condusse a sedere in quel medesimo salotto dov’era andato pur dianzi a cercarla.
Note
- ↑ Nell’originale "futti".