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il nostro giovine ha da ballare con la marchesa Ginevra, e per la quale ha scritto il suo nome sulle ali della farfalla gemmata.

Ad Aloise tremarono le gambe, allorquando fu per entrare nel salotto dov’era seduta la marchesa Ginevra, centro d’un circolo, o, per dir meglio, fuoco di un elisse, sulla curva del quale si notavano i soliti corpi opachi, come il nobile De’ Salvi, il marchese Tartaglia ed altri di quella risma.

- Marchesa, - le disse egli, accostandosi, con quella scioltezza che gli venne fatta maggiore, - rammentate di essermi debitrice d’una mazurka? -

La marchesa Ginevra sorrise, ed alzandosi per andargli a fianco, rispose:

- Signor di Montalto, io non dimentico mai i miei debiti. -

La frase parve un po’ asciutta ad Aloise, e noi non sapremmo dargli torto.

- Come? - si provò egli a dire, vincendo la natural timidezza; - non è altro che un debito? -

A quelle parole, dette con accento di mestizia, la Ginevra rizzò il capo, guardando fiso il suo malinconico cavaliere. In quelli occhi verdi parve ad Aloise di scorgere un po’ di stupore; e infatti, dopo averlo guardato, la marchesa gli chiese di rimando:

- Che vuol dire questa dimanda, signor di Montalto? Sarebbe egli in quella vece un debito per voi? Veramente, dovrebbe pesarvi, che avete ballato già molto. -

Era un rimprovero? Certo le parole ignude potevano averne l’aria, ma il piglio sorridente e l’accento scherzevole della marchesa Ginevra davano a quelle parole il colore di una di quelle frasi di nessun conto, che si mettono fuori tanto per barattar parole. E così dovette intenderla Aloise, sebbene a prima giunta gli fosse sembrato che la bella Ginevra volesse dargli una trafittura.

- Io, marchesa? - rispos’egli, con aria di candore, a guisa d’innocente che stupisca d’essere accusato; - ho fatto un giro di mazurka e una quadriglia; tutto il rimanente del tempo l’ho passato nella galleria, a vedere i vostri magnifici quadri. -

Stando seduto in quella sala, Aloise aveva notato alla sfuggita che c’erano dei quadri; ma, turbato com’era, non aveva nemmanco pensato a guardarli. Era dunque una bugia innocente, e necessaria d’altra parte a colorire la sua lunga