I rossi e i neri/Primo volume/XII
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XII.
Di un vecchio che voleva vivere e non voleva fare testamento.
Adesso il lettore ci usi la cortesia di seguirci in via di San Luca, dove lo faremo entrare in uno di que’ palazzi, che sarebbero magnifici, se avessero un po’ di spazio davanti, e che, stretti l’uno sull’altro dalla ragione dei tempi andati, quando otto metri di larghezza in una strada le facevano meritare il nome di stradone, implorano quotidianamente un raggio di luce per consolare la tetra malinconia che li opprime.
Saliremo ad un terzo piano, il quale, la mercè di una scala spaziosa, non ci parrà troppo alto, ed entreremo in una camera da letto, vasta come un dormitorio di collegio e fredda per conseguenza, quantunque vi si noti larghezza di sontuosi arredi ed un soffice tappeto che copre tutto il pavimento.
Questa vasta camera era a mala pena rischiarata da una lampada modesta, ritta sul comodino accanto ad un letto coperto da un padiglione di damasco rosso cupo, e quella lampada non faceva altro che illuminare il viso pallido e scarno di un vecchio, che usciva fuori dalla rimboccatura delle lenzuola.
Quel vecchio aveva i capegli radi e bianchissimi, la fronte spaziosa e prominente, e sarebbe stato un bel vecchio, se non avesse avuto gli occhi troppo piccini ed affondati nelle orbite, il naso troppo sottile ed adunco, e le labbra asciutte, tirate orizzontalmente come un semplice tratto di penna su d’un foglio bianco di carta.
Era egli il signor Vitali, l’onesto e reputato banchiere, grave dei suoi settantaquattro anni e di tutti gli acciacchi che sogliono accompagnare gli ultimi anni della vecchiaia, e inaugurare la decrepitezza. I suoi malanni lo tormentavano fieramente, ed egli si sentiva per giunta assai debole.
Pover’uomo! Tutta Genova si dava pensiero della sua preziosa salute, poichè, come tutti i ricchi, egli era in voce di probo e benefico, e si soleva dire di lui: «poveretto! egli appartiene alla schiera di quei pochi, che sa male di vederli morire.»
L’ammalato non era tuttavia solo nella camera. Un uomo vestito di nero dal capo alle piante stava seduto su d’un seggiolone presso la sponda del letto, e appunto in atto di toccare il polso al vecchio Vitali, con un piglio di amorevolezza particolare.
— Mi pare, — disse costui, dopo che ebbe finito, — che Ella stia un po’ meglio, questa sera.
— Sì, un po’ meglio, — rispose con voce fioca l’ammalato, — ma mi sento fiacco, assai fiacco.
— Eh me lo immagino! — soggiunse l’altro. — Ma vorrebbe Ella da un giorno all’altro rimettersi in modo da potere alzarsi dal letto? La natura vuole il suo tempo, come l’arte. Speri nella Provvidenza, signor Giovanni! Iddio vede tutti, e non abbandona nessuno.
— Sì! — disse il vecchio, alzando gli occhi verso il padiglione del letto e mettendo un lungo sospiro. — Io voglio vivere; ho bisogno di vivere!
— Ed egli la farà vivere, egli che può tutto. Ma se ne’ suoi fini imperscrutabili.... —
Pronunziando queste parole, l’uomo vestito di nero s’era fermato un tratto, come per misurare l’effetto di quello che stava per dire. Nel punto medesimo, gli occhi dell’ammalato scintillarono, e la sua faccia si voltò sul guanciale a guardare colui che parlava, come per dirgli: Or bene, proseguite!
L’uomo vestito di nero doveva essere avvezzo a quel muto linguaggio, perchè fu sollecito a proseguire:
— Sì, certo; se ne’ suoi fini imperscrutabili ci fosse di chiamarla a sè. Ella avrebbe il torto a desiderare così fortemente la vita. Il cielo è la speranza, anzi dirò di più, la sicurtà infallibile di chi ha operato il bene. —
Il vecchio fece con le sue labbra sottili un certo gesto, che mostrava chiaramente com’egli non fosse molto soddisfatto di quella chiusa.
— Ma via! — soggiunse l’altro. — Non di questo si tratta, e, tutti gli amici di Vossignoria sperano che Ella risani prestissimo. Ha bevuto la pozione? —
Il vecchio, che amava poco parlare, rispose di sì con un lieve cenno del capo.
— Ma è ancora quasi tutta nel bicchiere; — disse l’altro, — beva il rimanente; le farà bene.
— No! — rispose il Vitali con assai maggiore fermezza di accento che non avesse a sperare da un ammalato suo pari, — non bevo più, per questa sera.
— Eppure questa bevanda, signor Vitali, le concederebbe una notte più calma.
— Sì; ma il giorno dopo io mi sento più fiacco di prima.
— Eh, certamente si sentirà fiacco; ma non ha il dolce chi non vuole l’amaro. Se quella bevanda le concilia il sonno e le fa riposare lo spirito, è segno che giova. Ella poi sa come siano insonni e dolorose le sue notti, quando ricusa di bere.
— È vero! — disse l’ammalato.
— E che lugubri fantasie l’assalgono nei sogni....
— È vero, è vero! — ripetè il Vitali, crollando mestamente il capo.
— Ella vede allora tante cose spiacevoli; vede sua figlia moribonda; vede l’ombra del padre Martelli....
— Non è vero! Non è vero! Sono invenzioni! — gridò spaventato il vecchio. — Io non vedo l’ombra di nessuno, perchè non ho rimorso di nessuna cosa al mondo.
— Meglio per lei, se non ha rimorsi; — soggiunse asciuttamente quell’altro. — Intanto mandi giù quella bevanda mirabile, e ne avrà giovamento. E poi, pensi anche un tantino a quella tal cosa che sa. Veda, figliuol mio: qui tutti le vogliamo un gran bene, e non la lasciamo un momento, poichè ci è cara la sanità del suo corpo, come la salute dell’anima sua. Ella non ha nulla da confessare, nessun debito da riconoscere. Per la vita, come per la morte (che tutti dobbiamo aspettarci il peggio da un giorno all’altro) faccia il suo testamento, in modo che se ne vantaggi, a maggior gloria di Dio, l’Ordine nostro in Roma, e quella società che ne prosegue qui in Genova tanto gloriosamente le tradizioni.
— Il testamento non sarebbe valido; — ripiccò l’ammalato, che si appigliava a tutti i pretesti, per isfuggire dalle strette dell’uomo vestito di nero. — La Compagnia di Gesù, come ente morale, è stata abolita negli Stati Sardi, e, secondo il Codice, non ha più potestà di succedere. La società di San Vincenzo, poi, non è legalmente riconosciuta....
— Cavilli de’ suoi avvocati, signor Vitali! E fanno torto alla sua mente, che tutti credono volta a propugnare l’incremento della religione. Quando si ha in animo di fare il bene, le strade si trovano. Se Ella non può lasciare erede la Compagnia di Roma, nè la società di Genova, perchè la legge non riconoscerebbe valido il testamento, può testare bensì a pro’ delle singole persone, le quali, com’Ella di leggieri argomenta, si recheranno a scrupolo di volgere il suo danaro a quel fine che Ella pietosamente avrà stabilito. Faccia questo, signor Vitali, e vedrà che la sanità del corpo verrà a rincalzare la purezza dell’anima. Mens sana, in corpore sano, fu anche adagio dei gentili, sebbene non avessero il beneficio della luce spirituale. Qui, poi, non si domanda la sua morte; si desidera anzi che viva lungamente. Suvvia, signor Giovanni, siamo uomini, mostriamoci consentanei nella nostra vecchiezza ai savi concetti di tutta la nostra vita. —
Il vecchio stette un pezzo a pensare su quelle argomentazioni ad hominem; poi levando gli occhi verso il suo interlocutore e vedendo che lo guardava fiso, aspettando una sua risposta, balbettò:
— Quando fossi davvero in punto di morire.... farei....
— E la morte, signor Giovanni, non può bussare al suo uscio da un momento all’altro? — gridò, con piglio oratorio, l’uomo vestito di nero.
— Dite da senno? — soggiunse l’ammalato sbarrando gli occhi — —È dunque vero che potrei morire da un momento all’altro? Oh, non voglio, non voglio morire!...
— Si cheti, si cheti! — si affrettò a dire quell’altro, che si accorse di essere andato troppo oltre per quella volta. Vede, signor Giovanni? Si scalda, il sangue, e le vien da capo la tosse. Suvvia, mandi giù questa bevanda, che aiuterà a calmarla. —
E in questo dire gli accostò il cucchiaio alle labbra. Il vecchio bevve, e la sua testa ricadde inerte sul guanciale. Frattanto la pendola, che era di rincontro al letto, scoccò un tocco.
— È già l’una! — esclamò il Vitali.
— No, le undici e mezzo soltanto. Ella è stanco, signor Giovanni?....
— Sì, molto stanco. Se potessi dormire....
— Oh, dormirà, adesso che ha bevuto quel calmante. Io quindi me ne anderò; Ella pensi al Signore; in lui è la speranza e la salvezza nostra. —
E l’uomo vestito di nero, che i lettori avranno già riconosciuto per quel tale compagno del dottor Collini alla chiesuola di San Nazzaro, uscì dalla camera del banchiere Vitali.
Appena questi fu solo, parve respirare più tranquillamente, e dopo pochi minuti stese il braccio verso il comodino, per afferrare un campanello che scosse leggermente. A quel suono, comparve nella camera il maggiordomo.
— Signor padrone, eccomi qui. Che cosa comanda?
— Padre Bonav.... cioè, il signor Bonaventura se ne è andato?
— Sì signore.
— Lo avete accompagnato fino al portone?
— Sì signore.
— E avete lasciato il portone aperto?
— Sì, l’ho lasciato. Il marchese suo nipote non starà molto a giungere. —
A queste parole il volto dell’ammalato si rasserenò un poco.
— Sta bene; — diss’egli, — lo farete entrar subito da me, e poi potrete andarvene a passar la notte a casa vostra. Stia il Paolo in anticamera a vegliare. Voi fate il vostro comodo fino a mezzogiorno.
— Grazie, signor padrone. —
E Battista si ritirò, ma non senza fare i suoi commenti a quel saggio poco frequente di larghezza. Erano infatti rarissime le volte che il signor Vitali permetteva al suo maggiordomo di andare a passar la notte con la sua famiglia.
— Ci ha da essere qualcosa di grosso in aria, — disse Battista tra sè, — perchè il padrone sia diventato così largo di mano. Che voglia rappattumarsi col nipote? Chi sa? Il diavolo, quando diventò vecchio, si fece eremita. —
In punto di mezzanotte Aloise di Montalto entrava in casa del nonno, e il maggiordomo gli schiudeva l’uscio della camera da letto.
Il giovine era pallido, e non poteva dissimulare il suo turbamento. Da parecchi anni egli non aveva più posto piede nella casa di suo nonno, cioè dalla morte di sua madre, che il vecchio banchiere non si era neppur mosso per andare a vedere, e darle l’ultimo bacio innanzi che ella morisse.
Aloise aveva amato fortemente sua madre, e ne venerava la memoria come una cosa sacra; però alla chiamata del nonno era stato in forse di rendergli pan per focaccia, ricusando di andare da lui. La nobiltà dell’animo suo faceva sì che egli non pensasse neppure ai milioni del vecchio, e quando taluno dei suoi amici glieli rammemorava, egli era uso a rispondere che suo nonno era padrone di lasciarli a cui gli piacesse meglio, e che egli non si sarebbe neppur mosso per piatire su quella eredità. E questo che egli diceva, lo pensava davvero, essendo uno di que’ tali uomini che vogliono bastare a sè medesimi. Se fosse nato senza il becco di un quattrino, avrebbe lavorato per vivere, in quella stessa maniera che studiava per suo diletto, vivendo del suo e non chiedendo nulla, non isperando nulla da altri.
Ma questo nonno, che lo mandava a chiamare, era infermo, e Aloise non poteva dimenticare che quello era il padre della sua genitrice, sebbene fosse stato nemico verso il suo sangue, come tanti altri padri della sua risma. Queste ragioni gli consigliarono di andare; e andò, per quanto poca voglia ne avesse.
Da quell’animo generoso ch’egli era, fece anzi di più del suo debito. Entrato nella camera del banchiere Vitali, andò difilato ad inginocchiarsi alla sponda del letto, e veduto quel viso scarno e quei capelli bianchi, si intenerì e ruppe in grido di ambascia:
— Mio buon nonno!
— Ah, finalmente, sei tu, Luigi? — disse il vecchio con quella dolce lentezza di parole che è una prerogativa degli infermi. — Lascia che ti contempli un poco. —
E così dicendo tentava di sollevarsi un tratto sui gomiti, ma senza venirne a capo.
— Aspettate, nonno; non vi affaticate senza pro’. Io stesso vi adagerò come volete. —
E postegli le braccia intorno al petto, lo sollevò dolcemente e gli ricompose per benino i guanciali sotto le spalle; dopo di che si fece a dimandargli:
— Vi sentite meglio così?
— Sì, adesso che ti vedo, mi pare di star meglio. Come somigli a tua madre!
— Mia madre! Ella vi ha sempre amato, buon nonno; credetelo pure. E se voi non avete potuto venire al suo letto di morte, ella non ve l’ha mica apposto a difetto di amorevolezza per lei. La vostra età avanzata, i vostri negozi, non vi consentivano certamente di venire fin lassù, alla Montalda. —
Così chiamavasi, per corruzione popolesca del nome della famiglia, il castello dei Montalto in Polcevera.
Il vecchio, che era rimasto sovra pensiero al ricordo della figlia, colse la scusa che gli aveva profferta nobilmente Aloise, e rispose:
— Sì, ero assai giù di salute, in quei giorni, e sono molto più gravemente infermo ora. Avevo bisogno di vederti, sai qui sono abbandonato, tradito da tutti; nessuno mi ama.
— Oh, buon nonno, perchè non mi avete fatto chiamar prima? Il vostro Luigi sarebbe corso al vostro capezzale e vi avrebbe consolato nella vostra malattia. —
La cortese arrendevolezza del giovine giungeva perfino a fargli mutare il proprio nome. Il vecchio banchiere non aveva mai voluto acconciarsi alla aristocratica forma del nome di Aloise, e soleva dire che era una caricatura come tante altre; che Sant’Aloise non si riscontrava nel calendario, sibbene San Luigi, e che questo doveva essere il vero nome di suo nipote, senz’altre storpiature nobilesche.
Qualcheduno s’era provato a fargli notare che il nome di Luigi aveva avuto più storpiature d’ogni altro, e tutte ugualmente ragionevoli secondo i paesi; che il Clovis, il Clodoveo, il Lodovico, il Luigi, l’Alvise, l’Aloise, e tanti altri, erano tutte varianti del vecchio Luduig teutonico. Ma il vecchio Vitali proseguiva a chiamarla una caricatura, e ne toglieva argomento a celiare sul suo nobilissimo genero e sulla sua nobilissima figlia, i quali, con tutta la loro nobiltà, s’erano ridotti al verde.
Aloise sapeva ciò, e per contentarlo trasformava il proprio nome secondo il capriccio bisbetico del vecchio.
— Qui siete in mano di gente prezzolata, — disse egli, di gente che vi sta intorno per il vostro danaro.
— Sì, è vero, — esclamò con accento malinconico il banchiere, — e taluni non desiderano altro che la mia morte.... Oh, non ne far le maraviglie, io so quello che dico.
— È una brutta cosa, se ciò che dite è vero. Ma voi per buona ventura non morrete; siete vegeto ancora e potete giungere ad una età molto tarda.
— Dici da senno? — proruppe l’infermo, a cui scintillarono gli occhi nelle loro orbite incavate. — Credi davvero che io possa vivere molto?
— Ma certo! Voi stesso potete persuadervene di leggieri; la malattia non vi ha punto disfatto.
— Oh, se tu sapessi come mi hanno levate le forze! Mi hanno dissanguato; e adesso mi affievoliscono sempre più coi loro beveraggi. Io non ho più fede in nessuno.... ho bisogno di vivere.
— E vivrete. Ma il vostro medico che cosa ne pensa egli?
— Ah! il dottor Collini! Tu lo conoscerai....
— Sì, lo conosco come uomo anche troppo: ma come professore dell’arte salutare ognuno l’ha in concetto di un uomo di vaglia. È il medico delle più cospicue case di Genova! Io, nondimeno, senza voler qui metter fuori il mio giusto sdegno contro costui, penso che molte volte i più valenti professori prendono abbaglio sulle malattie, o le curano con un metodo particolare che non è fatto per tutti i temperamenti. Che cosa ha egli sentenziato che sia il vostro male? Con che rimedii lo cura?
— Che cosa ne so io? — disse il banchiere, crollando il capo mestamente. — Egli esce fuori con certi nomi!
— Orbene, mio buon nonno; volete che io conduca da voi un medico provato?
— Sì, appunto di ciò volevo pregarti, nipote mio. Ho bisogno di un medico, il quale mi tolga di dosso questa spossatezza che mi opprime, e che anzitutto non mi dia più a bere di quella pozione, che mi infiacchisce sempre di più. Io lo farò ricco, costui, se verrà a capo di rimettermi in gambe.
— Oh, a questi patti non c’intenderemo mai. Lo pagherete per le sue visite come un altro, e basterà. Egli poi ci verrà per amor mio, ed io spero mi vorrete lasciare la soddisfazione di aver fatto qualcosa. A domattina, dunque.
— No, non domattina! — gridò l’ammalato. — Egli potrebbe essere veduto da qualcheduno. Venite di notte, sarà meglio.
— E noi verremo di notte, non dubitate. Ma intanto seguite il mio consiglio, buon nonno; fino a tanto che il mio medico non vi abbia veduto, non prendete nessuna di queste medicine che vi si dànno.
— Sì, hai ragione; e con l’aiuto vostro risanerò presto. Mio ottimo Luigi! E dire che mi narravano tante brutte cose di te! che eri uno scapestrato, uno scialacquatore!... A proposito, come te la passi ora?
— Io! Studio e vivo modestamente di quel poco che ho.
— E non hai bisogno di nulla? — soggiunse il vecchio, misurando le parole. — Un giovine tuo pari, che ha da vivere con un certo sfarzo, ha sempre bisogno di denaro....
— Oh no, caro nonno. Vi ringrazio, ma non ho proprio bisogno di nulla. Non ho mai avuto l’uso di spendere più di quello che le mie entrate consentissero, e vi dirò anzi che in questo mese m’è ancora rimasto un po’ di danaro dell’anno scorso.
— Bravo! così va bene; bisogna essere economi. —
Con queste parole, e senza pure addarsene, Aloise aveva soggiogato l’animo sospettoso del vecchio Vitali. L’uomo che ricusava le profferte del nonno, certo non s’era affrettato ad andarlo assistere per la bramosia de’ milioni. E quel vecchio egoista, il quale in tutta la sua vita non aveva riverito, non aveva amato altro che l’oro, trovava al suo capezzale una di quelle consolazioni che Dio non dovrebbe mai concedere ad uomini siffatti, cioè quella di un angelo consolatore, di un animo profondamente pietoso, che opera il bene senza volerne mercede.
Però il Vitali si dimostrò più aperto, più confidente col nipote; gli promise che avrebbe seguiti i suoi consigli, e lo supplicò che non l’abbandonasse.
Lo sdegno di Aloise si era disciolto innanzi a quella sventura di un uomo ricco, il quale non aveva potuto farsi amare da alcuno e se ne moriva senza compianto, come senza difesa, in balìa di due tristi. Però egli giurò al nonno che sarebbe tornato, e lo lasciò alquanto più tranquillo, verso le due del mattino.
Il vecchio non istette molto a pigliar sonno, e dormì lungamente, per la prima volta, senza brutti sogni e senza paurose visioni.
Aloise non dimenticò la promessa fatta, e la notte appresso egli entrava col dottor Mattei nella camera dell’infermo.
Il vecchio Vitali era più spossato che mai, e solo a vederlo si argomentava che nella giornata egli non avesse ardito ricusare la consueta pozione, amministrata dal Collini. Però si sentiva fiacco, e le poche parole che a tratti tentava di profferire, gli erano interrotte da violenti assalti di tosse.
Il Mattei era un buon medico, lodatissimo per le sue cure e segnatamente per l’avvedutezza con cui giudicava a prima giunta delle malattie, per modo da non essere indotto quasi mai in errore. Aloise lo sapeva bene, epperò assisteva con grande ansietà a tutte le indagini ed esplorazioni che il suo amico andava facendo.
— Che cosa ve ne sembra? — chiese egli, poichè vide il Mattei stringere le labbra in segno di malumore.
— Eh, — rispose questi, facendosi un poco in disparte, — un catarro cronico polmonare, curato alla rovescia.
— Come sarebbe a dire?
— Non vedete? Questa boccia, che a voi stesso aveva destato qualche sospetto, parla chiaro con la scritta del farmacista. Per corroborare il vostro vecchio nonno e fargli vincere il male, gli dànno dell’estratto di acònito, sciolto nella innocentissima emulsione arabica del Franck.
— È un veleno? — chiese impallidendo il Montalto.
— No, ma è tutt’uno. L’infermo s’ha da rinvigorire, non già da levargli le forze. Questo si può fare in certi casi con un uomo giovine e robusto, quando si tratti di combattere il male nelle sue radici; ma qui c’è un vecchio, con una vecchia malattia che lo ha concio, sto per dire, fino al midollo, e ve lo curano coi deprimenti. Io temo una cosa.... che non si siano fermati soltanto all’acònito....
— Che cosa vorreste dire, Mattei?
— È un mio sospetto, e fo conto di chiarirlo subito. Signor Vitali! —
Il vecchio, a cui il medico s’era appressato, aperse gli occhi che teneva chiusi per la stanchezza.
— Voglia scusare la mia curiosità; — gli disse il Mattei, — le hanno applicate mignatte?
— Oh, molte, molte! — rispose sospirando l’ammalato.
— Vedete? — soggiunse il medico, volgendosi ad Aloise; — io non m’ero ingannato. Questi polsi frequenti, depressi e quasi filiformi, questa prostrazione generale di forze, mi avevano aria di derivare da qualche cagione più forte che non fosse il solo estratto di acònito. E probabilmente lo avranno tenuto a dieta rigorosa....
— Molto, molto rigorosa! — soggiunse il Vitali, ch’era tutt’orecchi ad ascoltarlo.
— Di bene in meglio! — ripigliò il Mattei. — Estratto di acònito, mignatte e dieta! Ma che cosa vogliono, questi signori?
— Che cosa vogliono? — rispose Aloise. — Ve lo dirò io. Vogliono che mio nonno faccia testamento.
— Ah! ah! testamento? Ed io vi prometto, Aloise, che se il signor Vitali vuol fare a modo mio, li corbellerà tutti ben bene. —
A quelle parole il volto dell’infermo si colorò leggermente, e gli balenarono gli occhi. Il Mattei, che le aveva pronunziate voltandosi a lui, si fece al capezzale e gli strinse affettuosamente la mano.
— Anzitutto, — diss’egli, — qui bisogna mutar registro addirittura.
— Che debbo fare? — chiese il Vitali.
— Ha Ella qui in sua casa una persona fidata?
— Sì, il mio maggiordomo.
— Bisognerà ch’io gli parli. —
Il vecchio volse gli occhi al tavolino da notte, ed Aloise fu sollecito a intendere il suo desiderio, poichè diede di piglio al campanello per chiamare Battista, il quale accorse subito alla prima scampanellata.
— State bene attento alle mie parole; — disse il Mattei a Battista. — Amate il vostro padrone?
— Che cosa mi domanda Ella? Non v’è cosa al mondo che io non fossi pronto a fare per lui.
— Sta bene; e il vostro ottimo padrone darà una giusta ricompensa ai vostri servigi. Non mi fate le boccacce! È naturale che se voi fate il vostro debito, il padrone si disponga a testimoniarvi la sua gratitudine. Qui appunto non si tratta soltanto di servirlo con fedeltà, ma ancora con amore ed avvedutezza. Nè debbo tacervi che, caso mai non vi andasse a’ versi, ci sarebbe il marchese di Montalto, qui presente, per aggiustare i conti.
— In fine, che cosa mi comanda di fare?
— Io non comando; raccomando. Il signor Vitali ha fede in noi, e vuol risanare. Io dunque ho pensato che per farlo risanare ci siano parecchie cose da fare. Anzitutto buttar via quella pozione, ogni qual volta ve la facciano comperare, e sostituirvi, nella medesima boccia, sotto la medesima scritta, una semplice emulsione del Franck, senz’altri ingredienti, della quale io vi scriverò qui la ricetta.
— Sarà fatto! — disse Battista.
— Benissimo! Il vostro padrone poi non deve stare alla dieta. Così, senza aver bisogno di consigliarvi con alcuno, voi baderete a nutrirlo, con cibi di agevole digestione, ma sugosi come sarebbero i buoni brodi e qualche pezzo di carne arrostita. Gli darete inoltre a bere del vino, con infusione di china; da principio un cucchiaio ogni volta che mangerà, e poi anche due. Ma per ordinarvi questo, ci sarò io. Quando poi, fuori d’ora, il signor Vitali chiedesse da bere, gli darete del decotto di china, del quale vi lascerò la ricetta.
— Sarà fatto! — ripetè il maggiordomo, chinando il capo.
— Badate dunque; e che nessuno abbia a risaperlo. È l’unico modo di restituire la sanità al vostro padrone.
— Oh! che dice Ella? Ci sarebbe forse pericolo?
— No, ma potrebbe sopraggiungere, se con quelle vostre bevande consuete e col tenerlo a dieta, proseguiste a levargli le forze, mentre, a voler vincere il male, ha bisogno piuttosto di raddoppiarle.
— Ah sì! — disse Battista, — ora capisco quello che vuol dire Vossignoria. Bisogna che il padrone si faccia forte contro il male. È quello che ho sempre detto io.
— Vedete dunque che non c’è bisogno di molto studio, — soggiunse ridendo il Mattei, — e quasi si può far senza dei cinque anni d’Università. Voi siete dunque avvisato; avete in mano la vostra fortuna, o la vostra disgrazia.
Ciò detto, il Mattei si accostò ad un tavolino per iscrivere le sue ricette, che consegnò al maggiordomo, ripetendogli per filo e per segno tutte le sue raccomandazioni; dopo di che tolse commiato dal vecchio Vitali con queste parole, che gli fecero balzare il cuore per la contentezza:
— In quanto a Lei, signor Vitali riveritissimo, stia di buon animo e segua i miei consigli. Io le prometto che con un mese di questa cura ella potrà alzarsi e mandare i medici a quel paese, incominciando da me.