I profughi di Parga/Parte III

Parte III. L'Abbominazione

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Parte II
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PARTE TERZA

L’ABBOMINAZIONE


Nunziatrice dell’alba già spira
     Una brezza leggiera leggiera
     Che agli aranci dell’ampia Corcira
     Le fragranze più pure involò. —
     Ecco il Sol che la bella costiera
     Risaluta col primo sorriso,
     E d’un guardo rischiara improvviso
     8La capanna ove l’egro posò. —

Egli è il Sol che fra bellici stenti
     Rallegrava agli Elleni il coraggio.
     Quando in petto alle libere genti
     Della palria fremeva l’amor,
     Quando al giogo d’estranio servaggio
     Niun de’ Greci curava il pensiero,
     E alla madre giurava il guerriero
     16Di morire o tornar vincitor.

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Come foglia in balía del torrente,
     Ahi, la gloria di Grecia è sparita!
     L’aure antiche or qui trovi, e fiorente
     Delle donne la bruna beltà;
     Ma in le fronti virili scolpita
     Qui tu scorgi la mesta paura,
     Qui l’impronta con cui la sveutura
     24Le presenta all’umana pietà.

Sol, che a libere insegne vedrai
     Batter forse qui ancor la tua luce,
     Sol di Scheria, i tuoi limpidi rai
     Sien conforto a un tradito guerrier:
     Qui, vagando a rifugio, il conduce
     D’una sposa il solerte consiglio;
     E tu qui, fra la morte e l’esiglio,
     32Fa ch’ei scelga il più mite voler. —

Dal guancial de’ suoi sonni al mattino
     L’uom di Parga levò la pupilla:
     Il pallore è sul volto al meschino;
     Ma il terror, ma l’angoscia non v’è.
     Un ristoro che il cor gli tranquilla
     Son gli olezzi del giorno novello;
     E quel Sol gli rifulge più bello
     40Che perduto in eterno credè.

Ma perchè, se il suo spirto è pacato,
     Perchè almen nol rivela il saluto?
     Perchè a lei che il sorregge da lato
     Con un bacio ei non tempra il dolor?
     Perchè immoto sull’uom sconosciuto
     Il vigor de’ suoi sguardi s’arresta?
     E che subita flamma è codesta
     48Che in la guancia gli vive e gli muor?

Ben Arrigo la vide: — e compreso
     Da che affetto il tacente sia roso,
     Come l’uom che propizia un offeso,
     Questa ingenua parola tentò:

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     «O straniero, al tuo cor doloroso
     So ch’orrenda è l’assisa ch’io vesto;
     So ch’io tutti qui gli odi ridesto
     56Che l’infida mia patria mertò.

«Ma se i pochi che seggon tiranni
     Delle sorti dell’Anglia, fûr vili,
     Tutti no non son vili i Britanni
     Che ritrosi governa il poter.
     Premian croci ingemmate e monili
     La spergiura amistà di que’ pochi;
     Ma l’infamia che ad essi tu invochi
     64Mille Inglesi imprecârla primier.

«Mille giusti il cui senno prepone
     Al favor de’ potenti i lor sdegni,
     Mille giusti in le vie d’Albïone
     Pianser pubblico pianto quel dì
     Che aggirato con perfidi ingegni
     Narrò un popol fidente ed amico,
     Poi venduto al mortal suo nemico
     72Da quel braccio che scampo gli offrì;

«Oh rossor! Ma il sacrilego patto
     Nol segnò questa man ch’io ti stendo;
     Ma non complice fu del misfatto
     Questo petto che geme per te. —
     Non tu solo se’ il miser. Tremendo,
     Ben più assai che l’averla perduta,
     Egli è il dir: La mia patria è caduta
     80In obbrobrio alle genti ed a me.

«Per l’ingiuria che entrambi ha percosso.
     Or tu m’odi o fratel di dolore!
     Io nè il suol da’ tuoi padri a te posso,
     Nè la bella ridar libertà;
     Ma se in te non prevale il rancore,
     Se preghiera fraterna è gradita,
     Dal fratello ricevi un’aïta
     88Che men grami i tuoi giorni farà.» —

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Così l’alma schiudea quell’afflitto;
     Così, largo di doni e di pianto,
     Col rimorso egli sconta il delitto,
     Il delitto che mai nol macchiò. —
     Piange anch’essa la Greca, e di tanto
     Il penar del pietoso l’accora,
     Che le par mal venuta quell’ora
     96In cui mesta i suoi casi narrò.

Ella tace, e col guardo prudente,
     Vedi! il guardo ella cerca allo sposo.
     Vedi come n’esplora la mente!
     Come in volto il travaglio le appar!
     Chi sa mai se dell’uom generoso
     Fien disdetti i soccorsi od accolti? —
     Ma una voce prorompe; — s’ascolti;
     104È il ramingo che sorge a parlar:

«Tienti i doni, e li serba pe’ guai
     Che la colpa al tuo popol matura.
     Là, nel dì del dolor, troverai
     Chi vigliacco ti chiegga pietà.
     Ma v’è un duolo, ma v’è una sciagura
     Che fa altero qual uom ne sia côlto:
     E il son io: — nè chi tutto m’ha tolto
     112Quest’orgoglio rapirmi potrà.

Tienti il pianto; nol voglio da un ciglio
     Che ribrezzo invincibil m’inspira: —
     Tu se’ un giusto: — o che importa? sei figlio
     D’uaa terra esecranda per me. —
     Maladetta! dovunque sospira
     Gente ignuda, gente esule o schiava,
     Ivi un grido bestemmia la prava
     120Che il mercato impudente ne fe’.

Mentre ostenta che il Negro si assolva,
     In Europa ella insulta a’ fratelli;
     E qual prema, qual popol dissolva,
     Sta librando con empio saver. —

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     Sperdi, o cruda, calpesta gli imbelli!
     Fia per poco. — La nostra vendetta
     La fa il tempo e quel Dio che l’affretta,
     128Che in Europa avvalora il pensier. —

«Io vivea di memorie; — e il mio senno
     Da manie, da fantasmi fu vinto.
     Veggo or l’ire che compier si denno: —
     E più franco rivivo al dolor.
     Questa donna che piansemi estinto,
     Questa cara a cui tu mi rendesti,
     Più non tremi: a disegni funesti
     136Più non fia che m’induca il furor.

«Forse il dì non è lunge in cui tutti
     Chiameremci fratelli, allorquando
     Sopra i lutti espïati da’ lutti
     Il perdono e l’obblio scorrerà. —
     Ora gli odi son verdi: — e nefando
     Un spergiuro li intima al cor mio;
     Però, s’anco a te il viver degg’io,
     144Sappi ch’io non ti rendo amistà;

«Qui starò nella terra straniera;
     E la destra onorata, su cui
     Splende il callo dell’elsa guerriera,
     A’ servigi più umili offrirò. —
     Rammentando qual sono e qual fui,
     I miei figli, per Dio! fremeranno;
     Ma non mai vergognati diranno:
     152Ei dall’Anglo il suo frusto accattò.»

L’uom di Parga giurò; — nè quel giuro
     Mai falsato dal miser fu poi; —
     Oggi ancor d’uno in altro abituro
     Desta amore a chi asilo gli diè.
     Scerne il pasco ad armenti non suoi;
     Suda al solco d’estranio terreno,
     Ma ricorda con volto sereno
     160Che l’angustia mai vile nol fe’.

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Fosca, fosca ogni dì più s’aggreva
     Su lo spirlo d’Arrigo la noia;
     Nessuo dolce desir gli rileva
     Qualche bella speranza nel sen;
     Non gli ride un sol lampo di gioia;
     Teme irata ogni voce ch’ei senta;
     Vede un cruccio, uno scherno paventa
     168Su ogni volto che incontro gli vien.

La sua patria ei confessa infamata,
     La rinnega, la fugge, l’abborre;
     Pur da altrui mal la soffre accusata,
     Pur gli duole che amarla non può.
     Infelice! L’Europa ei trascorre;
     Ma per tutto la insegue un lamento:
     Ma una terra che il faccia contento,
     176Infelice! non anco trovò.

Va ne’ climi vermigli di rose,
     Lungo i poggi ove eterno è l’ulivo,
     A traverso pianure che erbose
     Di molt’acque rallegra il tesor;
     Ma per tutto, nel piano, sul clivo,
     Giu ne’ campi, di mezzo a’ villaggi,
     Sente l’Anglia colpata d’oltraggi,
     184Maledetta da un nuovo livor. —

Va in le valli de’ tristi roveti,
     Su pe’ greppi ove salta il camoscio,
     Giù per balze ingombrate d’abeti
     Che la frana da’ gioghi rapì; —
     Ma ove tace, ove mugge lo stroscio
     Quando l’alta valanga sprofonda,
     Da per tutto v’è un pianto che gronda
     192Sovra piaghe che l’Anglia ferì.

Varca fiumi, e di spiaggia in spiaggia
     Studia il passo a cercar nuovo calle.
     Per città, per castelli vïaggia,
     Nè mai ferma l’errante suo piè. —

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     Ma per tutto, di fronte, alle spalle,
     Ode il lagno di genti infinite,
     D’altre genti dall’Anglia tradite,
     200D’altre genti che l’Anglia vendè.