«O straniero, al tuo cor doloroso
So ch’orrenda è l’assisa ch’io vesto;
So ch’io tutti qui gli odi ridesto 56Che l’infida mia patria mertò.
«Ma se i pochi che seggon tiranni
Delle sorti dell’Anglia, fûr vili,
Tutti no non son vili i Britanni
Che ritrosi governa il poter.
Premian croci ingemmate e monili
La spergiura amistà di que’ pochi;
Ma l’infamia che ad essi tu invochi 64Mille Inglesi imprecârla primier.
«Mille giusti il cui senno prepone
Al favor de’ potenti i lor sdegni,
Mille giusti in le vie d’Albïone
Pianser pubblico pianto quel dì
Che aggirato con perfidi ingegni
Narrò un popol fidente ed amico,
Poi venduto al mortal suo nemico 72Da quel braccio che scampo gli offrì;
«Oh rossor! Ma il sacrilego patto
Nol segnò questa man ch’io ti stendo;
Ma non complice fu del misfatto
Questo petto che geme per te. —
Non tu solo se’ il miser. Tremendo,
Ben più assai che l’averla perduta,
Egli è il dir: La mia patria è caduta 80In obbrobrio alle genti ed a me.
«Per l’ingiuria che entrambi ha percosso.
Or tu m’odi o fratel di dolore!
Io nè il suol da’ tuoi padri a te posso,
Nè la bella ridar libertà;
Ma se in te non prevale il rancore,
Se preghiera fraterna è gradita,
Dal fratello ricevi un’aïta 88Che men grami i tuoi giorni farà.» —