I naviganti della Meloria/18. Terribile momento

18. Terribile momento

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17. L'inondazione 19. Momenti terribili
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XVIII.

Terribile momento.


I quattro esploratori scesero la rupe aiutandosi l’un l’altro, poi si lasciarono cadere in acqua, mettendosi a nuotare colla maggior rapidità possibile.

Padron Vincenzo si era messo alla testa del drappello, tenendo alta la lampada; dietro di lui venivano Roberto, poi il dottore e ultimo Michele. [p. 151 modifica]

L’orientazione fra le tenebre è difficilissima e tale sarebbe anche stata per quei quattro disgraziati, se non vi fosse stato padron Vincenzo. Quel lupo di mare possedeva, al pari dei piccioni viaggiatori, l’orientazione per istinto, certo non scrupolosamente esatta, ma sufficiente per potersi approssimativamente guidare anche senza l’aiuto della bussola.

Appena in acqua aveva presa subito la sua direzione; d’altronde lungo il percorso poteva regolarsi sui cumuli di carbone che aveva già osservati o alla meno peggio appoggiare verso l’una o l’altra parete della miniera.

I suoi tre compagni lo seguivano da vicino, affrettandosi. La paura di veder la lampada a spegnersi prima d’aver trovato il passaggio, li spronava.

Le acque della fiumana a poco a poco si erano calmate, permettendo così di guadagnare rapidamente via. Dovevano essersi aperto un varco fra gli ammassi di carbone che avevano ostruito la galleria, poichè scorrevano lentamente in quella direzione.

Già i quattro esploratori supponevano di trovarsi a breve distanza dal passaggio, quando padron Vincenzo urtò contro una massa molle che pareva galleggiasse fra due acque.

— Chi c’è qui sotto? — si chiese.

— Cosa avete trovato? — domandò il dottore.

— Ho sentito un corpo sfuggirmi sotto mano.

— Qualche pesce?

— Qui! Nella miniera!

— Può essere risalito pel canale.

— Che sia qualche pescecane? — chiese Roberto, girando all’intorno uno sguardo spaventato.

Padron Vincenzo cacciò la mano libera sott’acqua e sentì ancora quella massa. L’afferrò e con una scossa la spinse in alto.

Quasi subito un urlo strozzato gli sfuggì, un urlo d’orrore.

La testa di Simone, del povero pazzo, era apparsa dinanzi a lui. Quel volto, spaventosamente contraffatto, era apparso distintamente alla luce della lampada.

— Mille demoni! — urlò, gettandosi bruscamente da una parte. — Ancora quell’uomo! Nemmeno morto vuole lasciarci tranquilli!

Il dottore, Roberto e Michele si allontanarono rapidamente da quel cadavere fluttuante nelle tenebrose acque della miniera, non senza provare un brivido di terrore.

— Affrettiamoci! — aveva detto il signor Bandi con voce soffocata.

Padron Vincenzo aveva ripreso la corsa nuotando disperatamente, però di quando in quando volgeva indietro il capo e guardava, con due occhi atterriti, le acque, temendo di vedersi seguìto dal morto.

Fortunatamente cinque minuti dopo egli giungeva dinanzi alla galleria. Il suo istinto non lo aveva ingannato e anche senza un punto luminoso che avesse potuto servirgli di guida, aveva ritrovata la sospirata meta.

In quel luogo le acque della fiumana rigurgitavano con violenza, muggendo cupamente e formando qua e là dei piccoli vortici. [p. 152 modifica]

L’entrata della galleria era quasi tutta ostruita dagli ammassi di carbone che la prima corrente aveva colà accumulati, però le acque s’erano aperti numerosi passaggi e si udivano a scrosciare al di là di quegli ostacoli.

— Mi sembra che qui si possa passare — disse padron Vincenzo, alzando la lampada più che poteva.

— Pare che verso la vôlta sia rimasto un po’ di spazio libero — rispose il dottore. — Volete che tentiamo di spingerci lassù o che cerchiamo il canale scoperto da Roberto?

— Preferisco passare per la galleria. Almeno sappiamo che conduce direttamente nel laghetto.

— Non cadranno questi ammassi di carbone?

— Se resistono all’urto delle acque non cederanno sotto al nostro peso. Spicciamoci, la luce della lampada comincia a scemare.

— È vero, dottore. Forza di gambe e di braccia!

— Aspettate che salga prima io, padron Vincenzo — disse Roberto. — Voi mi passerete la lampada.

Il giovanotto s’aggrappò a quegli ammassi di carbone misti a pezzi di roccia e sentendo che non si muovevano, cominciò ad innalzarsi.

— Si può? — chiese il dottore.

— Non vi è pericolo — rispose il giovanotto. — A me la lampada, padron Vincenzo.

Il dottore che si sorreggeva con grande fatica, trovandosi in mezzo ad un piccolo vortice che tendeva a tirarlo giù, con uno slancio poderoso si afferrò alla punta d’una roccia e si issò. Padron Vincenzo e Michele si erano già spinti presso Roberto.

Tutt’e quattro scalarono frettolosamente quella specie di trincea che oscillava sotto i loro piedi in causa della incessante spinta delle acque e raggiunsero la vôlta della galleria. Colà esisteva uno stretto passaggio, non tale però da impedire il passo agli esploratori. Si gettarono ventre a terra e strisciando come i serpenti lo attraversarono rapidamente scendendo la china opposta di quell’ammasso di carboni e di macigni.

Sotto si udivano le acque della fiumana a scrosciare fragorosamente. Si vedevano zampillare dappertutto, cadere, rimbalzare e riunirsi sul fondo della galleria diventata ormai un torrente impetuoso.

— Presto — disse padron Vincenzo, guardando con ansietà la lampada, la cui luce impallidiva sempre. — Fra pochi minuti rimarremo all’oscuro.

Il dottore pel primo, poi gli altri, si precipitarono nella fiumana lasciandosi trasportare dalla corrente.

In meno di dieci secondi la galleria fu attraversata.

— La caverna! — esclamò padron Vincenzo che non aveva abbandonata la lampada.

— Siamo salvi! — gridarono Michele e Roberto.

— Lasciamoci trasportare nel laghetto — disse il dottore.

Le acque si erano incanalate in una profonda squarciatura del suolo [p. 153 modifica]e correvano all’impazzata verso il bacino, muggendo e scrosciando. Anche se i quattro esploratori avessero voluto prendere terra, non l’avrebbero certamente potuto, essendo le due sponde quasi tagliate a picco e la corrente troppo impetuosa per poterla rompere.

Il meglio che potevano fare era quello di lasciarsi trascinare nel bacino e poi attraversarlo. Già sapevano dove si trovavano le loro casse e la zattera dello slavo.

La loro corsa diventava sempre più rapida ed anche dolorosa poichè la corrente li sbatteva malamente contro le rive o addosso alle rocce che ingombravano il letto, ammaccando le loro costole e scorticando i loro piedi.

Padron Vincenzo faticava assai a tenere alta la lampada e già, due o tre volte, aveva corso il pericolo di fracassarla contro le sponde e di perderla.

— Mille demoni! — borbottava il bravo lupo di mare. — Se la continua ancora un po’ verremo scorticati peggio di San Bartolomeo.

Ad un tratto giunse ai loro orecchi un muggito assordante e la corrente divenne vertiginosa.

Cos’era accaduto? Le acque s’erano aperte una nuova via, precipitando nel bacino?

— Dottore! — avevano gridato i tre pescatori, spaventati da quei crescenti muggiti.

— Lasciatevi portare — aveva risposto il signor Bandi.

— Vi è una cateratta dinanzi a noi? — chiese padron Vincenzo.

— Mi sembra.

— Verremo sfracellati, dottore.

— Non può essere molto alta e poi il bacino è profondo.

— E la lampada?

Il dottore provò un brivido.

Come si poteva impedire che si spegnesse se dovevano venire travolti dalle acque precipitanti nel bacino?

Era una cosa assolutamente impossibile.

— Dottore!

— Vincenzo!

— La lampada si spegnerà.

— Fate il possibile per tenerla fuor dell’acqua.

— La spuma già la bagna!

— Attenti!

Dinanzi a loro, agli ultimi sprazzi di luce della moribonda lampada, si vedeva l’acqua a spumeggiare rabbiosamente. Una pioggia leggera cadeva all’intorno.

La cascata non era che a pochi passi. Era alta? Era bassa? Vi erano sotto delle punte rocciose?

— Badate! — gridò un’ultima volta il dottore.

Erano oramai in mezzo alla spuma. Assordati dal fracasso, rotolati, spinti, e risospinti, i quattro disgraziati giravano su loro stessi come trottole, quasi impotenti a mantenersi a galla. [p. 154 modifica]

Padron Vincenzo teneva però ancora alto il braccio per salvare la lampada.

Ad un tratto si sentirono come assorbire, poi scagliare innanzi in mezzo ad un nembo di spuma.

La lampada mandò ancora un ultimo sprazzo di luce facendo scintillare le acque, poi bruscamente, si spense mentre i quattro uomini venivano scaraventati nel vuoto.

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Quando, dopo alcuni secondi d’immersione angosciosa, padron Vincenzo tornò a galla, non stringeva più la lampada. In quel terribile capitombolo non aveva avuto la forza d’animo di tenere impedita una delle due mani, la più importante. D’altronde la fiammella s’era spenta nel momento della caduta, quindi a nulla avrebbero potuto servire le poche gocce d’olio che ancora rimanevano. Quantunque ancora intontito e mezzo asfissiato, pensò subito ai compagni e con quanto fiato aveva in corpo si mise a urlare:

— Dottore! Michele! Roberto!

Il rombo assordante della colonna d’acqua che precipitava a breve distanza, gl’impedì dapprima di udire la voce dei compagni, ma ripetuta la chiamata un po’ più lontano, gli sembrò d’udire una voce umana a rispondere.

— Chi risponde? — tuonò, allontanandosi sempre dalla cascata e inoltrandosi nel centro del laghetto sotterraneo.

— Sono io, Michele — rispose la voce, dopo qualche istante.

— Dove sei?

— Non lo so... non vedo più nulla.

— Ed il signor Bandi? — chiese Vincenzo con ansietà.

— Non so dove sia.

— Mille demoni! Che gli sia toccata qualche disgrazia? Dottore! Dottore!

Una voce lontana rispose:

— Dov’è il signor Bandi?

— Sei tu Roberto? — chiese il lupo di mare.

— Sì, padrone.

— Hai raggiunto la riva?

— Mi sembra, poichè sono sopra una roccia.

— Ed il dottore?

— Non ne so nulla.

Padron Vincenzo mandò un urlo disperato:

— Dottore! In nome di Dio.

Solo il rombo della cateratta rispose.

— Che sia morto? — si chiese il pescatore, con un singhiozzo. — Roberto! Michele! Bisogna cercarlo!

Cercarlo? E come, se l’oscurità non veniva dileguata... [p. 155 modifica]

— Un lume! Un barlume di luce — gridò padron Vincenzo con voce rotta.

— Aspettate, padrone! — disse Roberto. — Ho ancora dei zolfanelli... vediamo!

Poco dopo una fiammella rompeva l’oscurità. Il giovane pescatore s’avvide di essere già giunto alla sponda e senza attendere che i compagni, guidati da quella fioca luce lo raggiungessero, si slanciò all’impazzata attraverso le rocce carbonifere.

— Dove vai? Fermati! — gridò padron Vincenzo.

Roberto non rispose. Correva sempre, con fantastica rapidità, tenendo il cerino riparato con ambe le mani onde la corrente d’aria non lo spegnesse.

Per alcuni istanti fu veduto librarsi confusamente sulla cima d’una rupe, poi sparire, quindi riapparire più lontano.

— Fermati! — urlava padron Vincenzo. — Aspettaci!

Era fiato sprecato. Il giovanotto correva sempre come se fosse impazzito.

Ad un tratto la fiammella si spense e l’oscurità ripiombò sul posto che egli occupava, ma pochi istanti dopo un urlo di gioia giungeva agli orecchi di Michele e del lupo di mare.

— Le casse! — aveva gridato il giovanotto.

Infatti nella sua pazza corsa aveva urtato contro il carico della scialuppa che era rimasto sulla spiaggia ed era caduto bocconi sopra una cassa, battendo violentemente il mento. Non era però il momento di badare al dolore.

Accese rapidamente un altro zolfanello, rimosse rapidamente casse e barili e trovate le sue torce che erano state spente prima di mettersi in cerca dello slavo, le riaccese.

Michele e padron Vincenzo guidati dalla fiammella del primo zolfanello, avevano già preso terra. Entrambi si slanciarono verso il giovanotto strappandogli quasi di mano le sue torce.

— Bisogna cercarlo! — gridò il lupo di mare, il quale non era più capace di frenare le lagrime. — In acqua tu, Michele, mentre io esploro la spiaggia.

— Ed io cosa devo fare? — chiese Roberto.

— Accendi un’altra torcia e va’ a perlustrare l’uscita della caverna.

Un istante dopo tutti tre erano in cerca del dottore. Michele nuotava verso la cateratta, tenendo nella sinistra la torcia, Roberto verso il tunnel e padron Vincenzo percorreva la sponda.

Di tratto in tratto si domandavano.

— Nulla?

— Niente — rispondevano poco dopo.

Cercavano da un quarto d’ora, andando or qua ed or là, a casaccio, non sapendo più dove dirigersi, quando a padron Vincenzo parve di scorgere una massa oscura adagiata fra due scoglietti.

— Gran Dio! — esclamò. — Che sia il cadavere del dottore o di Simone? [p. 156 modifica]

Si avvicinò, titubando a quella massa che aveva forma umana e si chinò abbassando la torcia.

— Il dottore! Il dottore! — urlò.

Si precipitò su quel corpo che pareva inanimato, guardandolo con un’orribile angoscia.

Il signor Bandi sembrava morto. Era disteso fra due scoglietti che si prolungavano verso la riva, colla testa appoggiata sulla sabbia nera della sponda ed i piedi ancora immersi.

Non era possibile che l’onda prodotta dal flusso lo avesse spinto tanto sulla riva. Il disgraziato doveva essersi issato da per sè, prima che gli mancassero le forze.

Quella circostanza fece balenare una lieve speranza nel cuore del lupo di mare.

— A me, amici! — gridò.

Mentre Roberto e Michele nuotavano precipitosamente verso la spiaggia, prese delicatamente il signor Bandi e lo portò più in alto, poi lo spogliò per vedere se aveva riportato delle ferite.

Vi erano sul corpo numerose contusioni, tutte leggere e non potevano aver causato la morte ad un uomo così robusto.

Appoggiò un orecchio al cuore ed ascoltò trattenendo il respiro.

— Vive! Vive! — gridò.

Quel cuore batteva debolmente sì, ma batteva.

— È vivo? — chiesero Michele e Roberto che giungevano correndo.

— Sì, amici — rispose padron Vincenzo che pareva impazzito per la gioia. – Abbiamo ancora qualche bottiglia di liquore?

— Sì, due di rum — rispose Roberto.

— Va’ a prenderne una e degli stracci di lana.