I naufraghi dello Spitzberg/10. Trascinati al sud

10. Trascinati al sud

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9. Il ritorno 11. L'urto del wacke


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CAPITOLO X.

Trascinati al Sud.


I
l wacke, spinto dal vento e trascinato dalla corrente, continuava ad allontanarsi dalle Spitzberg, seco trascinando la Torpa, la quale ormai non poteva più liberarsi da quella stretta.

Il tempo continuava a mantenersi cattivissimo ed il freddo aumentava sempre. Le nebbie coprivano il cielo facendo delle frequenti discese, la neve cominciava a cadere senza posa aumentando considerevolmente il volume del grande banco ed il mare era sempre agitatissimo.

Enormi ondate correvano dal nord-nord-est al sud sud-ovest, sgominando le barriere dei piccoli ghiacci e trascinando con loro degli ice-bergs di dimensioni colossali, ma il wacke non si scuoteva nemmeno e sfidava intrepidamente i furori dell’Oceano Artico.

S’avanzava tranquillo, abbattendo colla sua massa, tutti gli ostacoli che incontrava, senza arrestarsi un solo istante. I suoi margini, che dovevano avere uno spessore di molti metri, rovesciavano ogni cosa: ice-bergs, [p. 79 modifica] palks, stream, palck, hummoks tutti crollavano, tutti si sminuzzavano sotto quegli urti poderosi, irresistibili.

Pel momento non vi era da sperare che si aprisse, anzi la sua estensione aumentava sempre, saldandosi ai rottami dei colossi polari. Aveva già una circonferenza di sette od otto miglia e ogni giorno sempre più ingigantiva. Il freddo concorreva ad aumentarne il volume.

L’acqua gelava presso i margini e anche nel bacino erasi condensata, obbligando i marinai ad adoperare le seghe da ghiaccio ed i picconi per mantenere un po’ libera la nave.

Tre volte il termometro, in sole quarant’otto ore, aveva segnato -20 centigradi e un mattino perfino -28. Durante quei bruschi abbassamenti di temperatura, le stufe avevano bruciato senza posa nel dormitorio e nel quadro di poppa.

L’equipaggio della Torpa e delle due navi naufragate, abituati già a quei climi freddi, non soffrivano affatto. D’altronde erano ben riparati e si trovavano benissimo nella sala costruita sopra il ponte, dove si radunavano per chiacchierare, per leggere e per giuocare.

Sola cosa che lamentavano, era la mancanza della carne fresca, ma con quel ventaccio e con quei turbini di neve, non era prudente avventurarsi sul banco per dare la caccia agli uccelli marini che si mostravano numerosi.

Il 14 ottobre, il cielo, che fino allora si era mantenuto così fosco e così gravido di neve, si rischiarò ed il sole, dopo tanti giorni di assenza, apparve sull’orizzonte lanciando obliquamente i suoi deboli raggi.

Soffiava però sempre il vento del nord, causando continui abbassamenti di temperatura.

Tompson, Jansey e il professore ne approfittarono per [p. 80 modifica] visitare il wacke, mentre i marinai davano la caccia agli uccelli marini.

Fatto a mezzogiorno il punto, constatarono che il banco in cinque giorni era sceso verso il sud quarantasei miglia scostandosi dalle Spitzberg diciassette miglia verso il sud-est.

– È una bella discesa, disse Tompson. Se continua sempre così, fra qualche mese ci troveremo a due o trecento miglia dalle coste settentrionali della Norvegia. Speriamo che il wacke si decida poco a poco a sciogliersi.

– Purchè non incontri dei grandi banchi presso l’isola degli Orsi disse Oscar.

– Credo che passeremo al largo di quell’isola, professore.

– Ma sperate che il wacke non venga arrestato?

– Ho questa opinione. È vasto e potrà aprirsi il passo anche attraverso le barriere di ghiaccio, che i venti e le correnti staccano dalle coste della Groenlandia, spingendole verso l’est.

– Anch’io ho questa speranza, disse Jansey. Il nostro wacke forma una massa imponente e difficilmente potrà venire arrestato. Vi è però il pericolo che modifichi la sua marcia e che vada ad arenarsi presso l’isola degli Orsi.

– Ah! Se si potesse spiegare delle vele e accelerare la sua corsa! esclamò Oscar.

– L’idea è buona, professore, disse Tompson, sorridendo, ma disgraziatamente ci vorrebbero delle migliaia di metri quadrati di tela e delle centinaia d’antenne, e noi non abbiamo nè gli uni, nè le altre. Andiamo ad esplorare il banco, signori.

Si misero in cammino per vedere se il ghiaccio, in causa di quei continui urti, si fosse in qualche luogo [p. 81 modifica] spaccato, specialmente verso la fronte meridionale, ma dovettero convincersi che fino allora si era mantenuto compatto. La speranza di poter trovare un luogo ove si poteva aprire un canale svaniva sempre più.

Quando ritornarono a bordo, furono testimoni d’uno dei più belli fenomeni che se si ammirano nei deserti ardenti dell’Africa, non sono rari nemmeno sotto i rigidi climi delle regioni polari. Era uno splendido miraggio, prodotto dalla rifrazione della luce.

Le Torpa, che si trovava in mezzo al bacino, veniva riflettuta fra i ghiacci che galleggiavano dinanzi alla fronte settentrionale del banco, ma per una strana illusione ottica, pareva che avesse tre alberi, invece di due, e le vele spiegate.

Dapprima apparve una sola nave, poi due, quattro e finalmente altrettante, ma che sembravano sospese in aria, naviganti in mezzo ad una leggera nebbia.

Il fenomeno durò un quarto d’ora, poi essendosi il sole nascosto dietro un nuvolone, le otto navi scomparvero con fantastica rapidità.

L’indomani il tempo tornò a cambiarsi. Invece del sole scese la nebbia che si ostinava a non abbandonare i paraggi delle Spitzberg, ed il vento polare ricominciò a soffiare con molta foga, risollevando il mare. Alle 4 pom. il bacino per la quarta volta gelò e la crosta divenne così grossa, che i marinai faticarono non poco a mantenere un po’ d’acqua libera attorno la carena della nave.

Nella notte il wacke per la prima volta provò le prime strette del ghiaccio e vibrò per più di mezz’ora.

Anche durante la notte del 15 le pressioni si fecero sentire. Il ghiaccio tuonava fragorosamente, scricchiolava, poi muggiva sordamente, come se sotto il wacke corressero delle macchine a vapore. [p. 82 modifica]

Il ghiaccio del bacino fu replicatamente spezzato lasciando irrompere l’acqua del mare e la Torpa oscillò più volte e si piegò lievemente sul tribordo, rimanendo poi in quella posa.

Quelle pressioni, fino allora leggere, furono però innocue per la nave, la quale, in causa delle travi, invece di lasciarsi stringere, si sollevava sfuggendo agli urti.

Anche il magazzino non soffrì alcun danno. Solamente una muraglia di ghiaccio si fendette, ma il freddo non tardò a riunirla.

La sera del 16, essendosi il cielo sgombrato dalla nebbia, i prigionieri del banco assistettero ad una splendida aurora boreale, la prima della stagione invernale.

Tutto d’un tratto l’orizzonte settentrionale, che era oscurissimo, s’illuminò d’una luce intensa, purpurea, disposta a larghe fasce le quali, a poco a poco, formarono un grand’arco mobilissimo che saliva verso il cielo, proiettando riflessi sanguigni sui ghiacci galleggianti e sull’oceano.

Poco dopo ecco irrompere da quell’arco fiammeggiante immensi getti di luci variopinte, che s’allungavano e si accorciavano capricciosamente. Erano raggi giallo-dorati o giallo-pallidi, fasci di luce azzurra che parevano proiettati da potenti lampade elettriche, bagliori di fuoco che s’incrociavano, che si mescolavano, che si fondevano colle altre luci, mentre il grand’arco subiva delle strane vibrazioni, come se un vento impetuoso, irresistibile, lo scuotesse.

Tutto l’orizzonte meridionale, per un tratto immenso, fiammeggiava: pareva che al polo ardesse un incendio gigantesco o che cento vulcani eruttassero contemporaneamente. [p. 83 modifica]

Gli ice-bergs parevano tramutati in enormi rubini galleggianti su di un mare di sangue, mentre le vette dello Spitzberg, ancora visibili, si tingevano d’una viva luce azzurrina che poi si tramutava in giallastra, poi in rosso cupo.

Il fenomeno durò due ore, poi i fasci di luce impallidirono, si raccorciarono, il grand’arco, dopo nuove e più violenti vibrazioni, si spezzò e l’oscurità tornò a piombare sul mare e sui ghiacci.

Il 17 le montagne dello Spitzberg scomparivano dall’orizzonte. Il wacke, che aveva continuato il suo spostamento verso il sud-sud est, si trovava allora a circa quaranta miglia dal capo Sud e continuava la sua discesa mantenendosi fra il 12° e il 13° meridiano.

La sua marcia però, che nei giorni precedenti era oscillata fra le 26 e le 30 miglia ogni ventiquattro ore, era diventata più lenta, in causa forse dei numerosi ghiacci che parevano provenissero dalle coste orientali della Groenlandia.

Ad ogni istante avvenivano urti formidabili, che si ripercuotevano perfino nel bacino. Ora il wacke urtava contro degli ice-berg alti come montagne e che avevano una circonferenza di cinquecento, di ottocento e perfino di mille metri, faticando non poco a respingerli; ora invece andava a dar di cozzo contro dei vasti floe (banchi formati d’acqua marina gelata) riportando dei guasti considerevoli sulla sua fronte meridionale.

Talvolta invece veniva preso in mezzo da vere flottiglie di ghiacci che si rovesciavano sui suoi margini con detonazioni spaventevoli, producendo delle enormi spaccature, ma che il freddo acuto si affrettava a riparare.

Tompson, Oscar e Jansey ogni giorno si spingevano [p. 84 modifica] fino alle sponde del wacke, sperando sempre che si aprisse qualche larga fenditura, ma erano gite affatto inutili. La massa centrale del banco non cedeva e rimaneva sempre compatta.

L’equipaggio però non soffriva per quella prigionia prolungata, nè rimaneva inattivo. Tutte le mattine bande di cacciatori scorazzavano il banco cacciando le urie, le strolaghe, le oche bernide e le procellarie e tornavano sempre a bordo carichi di uccelli. Mancava però sempre la grossa selvaggina. Quando il tempo impediva di lasciare la nave, organizzavano delle feste nella sala del ponte e ballavano allegramente infischiandosene del freddo, delle nevi, dei ghiacci e anche dell’oscurità che aumentava sempre, diventando più brevi le comparse del sole. Allo Spitzberg doveva già essere cominciata la lunga notte polare.

Il 19 i cacciatori poterono finalmente catturare un grosso anfibio. Avevano sorpresa una morsa di forme gigantesche, nascosta dietro alcuni hummoks, in prossimità delle sponde, mentre stava scaldandosi ai raggi del sole.

L’anfibio non aveva avuto il tempo di riguadagnare il mare, ed era stato ucciso con quattro colpi di fucile.

Quella morsa era così pesante, che si dovette farla trascinare da dodici marinai. Gli stessi cacciatori cercarono pure d’impadronirsi di alcune foche che erano state vedute comparire su di un pack il quale navigava assieme al wacke, tenendosi ad una distanza di circa un miglio verso l’est.

Trascinarono la baleniera, che era l’imbarcazione più leggera, fino all’orlo del campo di ghiaccio, ed approfittando della tranquillità del mare, attraversarono il canale e sbarcarono sul pack che aveva una circonferenza di cinque o seicento metri, ma quelle foche erano [p. 85 modifica] eccessivamente prudenti e si affrettarono a rifugiarsi nei loro buchi scavati attraverso il ghiaccio ed a tuffarsi.

I cacciatori però presero la rivincita sugli uccelli marini e ne atterrarono tanti, che la baleniera tornò al wacke così carica da correre pericolo di affondare. Quei volatili, sapientemente preparati dal cuoco di bordo, conditi con una salsa speciale che toglieva alle loro carni lo sgradevole sapore di olio rancido, servirono da cena per parecchie sere al numeroso equipaggio.