Pagina:Salgari - Nel paese dei ghiacci.djvu/96

82 i naufraghi dello spitzberg


Il ghiaccio del bacino fu replicatamente spezzato lasciando irrompere l’acqua del mare e la Torpa oscillò più volte e si piegò lievemente sul tribordo, rimanendo poi in quella posa.

Quelle pressioni, fino allora leggere, furono però innocue per la nave, la quale, in causa delle travi, invece di lasciarsi stringere, si sollevava sfuggendo agli urti.

Anche il magazzino non soffrì alcun danno. Solamente una muraglia di ghiaccio si fendette, ma il freddo non tardò a riunirla.

La sera del 16, essendosi il cielo sgombrato dalla nebbia, i prigionieri del banco assistettero ad una splendida aurora boreale, la prima della stagione invernale.

Tutto d’un tratto l’orizzonte settentrionale, che era oscurissimo, s’illuminò d’una luce intensa, purpurea, disposta a larghe fasce le quali, a poco a poco, formarono un grand’arco mobilissimo che saliva verso il cielo, proiettando riflessi sanguigni sui ghiacci galleggianti e sull’oceano.

Poco dopo ecco irrompere da quell’arco fiammeggiante immensi getti di luci variopinte, che s’allungavano e si accorciavano capricciosamente. Erano raggi giallo-dorati o giallo-pallidi, fasci di luce azzurra che parevano proiettati da potenti lampade elettriche, bagliori di fuoco che s’incrociavano, che si mescolavano, che si fondevano colle altre luci, mentre il grand’arco subiva delle strane vibrazioni, come se un vento impetuoso, irresistibile, lo scuotesse.

Tutto l’orizzonte meridionale, per un tratto immenso, fiammeggiava: pareva che al polo ardesse un incendio gigantesco o che cento vulcani eruttassero contemporaneamente.