I morti di Novara
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VI
I MORTI DI NOVARA
Oh fortunati i feretri de’ prodi,
che del Ticin sulla tradita sponda
stettero soli dell’onor custodi;
e immortalmente coloraron l’onda,
5nell’ultima fortuna abbandonati
da un’Italia divisa e furibonda!
Voi ben cadeste in libertá, soldati
d’una misera terra, ove i felici
sono i defunti o quei che non son nati !
10Misera terra, che feri gli amici,
se stessa, i figli, e fece allegri gli occhi
delle barbare torme usurpatrici ;
e or, dannata a curvar fronte e ginocchi
al superbo irrisor, trema, aspettando
15la saetta di Dio, che la trabocchi.
Pietá, Signor! pietá del miserando
strazio d’Italia! Il suo fallir fu molto,
ma il fardel, che la grava, anco è nefando.
Le peccata del tristo e dello stolto
20l’innocente non paghi e il generoso:
ahi, Signor, di che lampi arde il tuo volto!
La tua Roma qua sorge, han qua riposo
de’ tuoi mártiri Tossa e de’ tuoi santi,
il gran patto di Cristo è qua nascoso.
25Fra le zebe proterve e deliranti
son pur misti i leoni. Oh, la tua figlia.
Signor, non darla agli stranieri amanti!
Noi ti preghiam per quel che ti consiglia
amor de’ tuoi redenti, e per la croce,
30del tuo sangue, gran Dio, sempre vermiglia.
E a voi, che Tonda dell’eterna foce
varcaste, o morti per Italia, arrivi
sotterra a voi la povera mia voce.
Deh! pei dolenti, che rimangon vivi,
35pregate pace e dimandate al cielo
la libertá dei miseri captivi.
Arse d’acuto desiderio anelo,
questo pregan con me madri e consorti,
meste ed illustri del funereo velo.
40Oggi sull’ara delle vostre morti
i pii sopravvissuti hanno argomento
di bene amarvi, o care aline de’ forti.
E certissimo qui fan sacramento
di non turbarvi il ben del paradiso,
45ricusando alla colpa il pentimento
Gregge noi fummo in codardie diviso
miseramente. Ed è gentil vergogna
quella che sorge a colorarci il viso.
No, non date le labbra alla rampogna,
50o caduti per noi; ché il vostro grido,
per conoscerci rei, non ci bisogna.
Basta uno sguardo della Sesia al lido,
perché s’empia d’angoscia e di rossore
questo, che è pur fra tutti italo nido.
55Basta un pensiero allo immortai dolore
d’un re, che cerca in pellegrina terra
dittamo al dardo che si porta in core.
Basta accusar, come alla sacra guerra
sparvero i molti, e di vittoria degni
60furono i pochi, aimè! posti sotterra
Alta miseria il cominciar de’ regni
siffattamente! Eppur, tu meritavi
della fortuna tua ben altri segni,
re, vergogna dei re, gloria degli avi,
65che lá ponesti, alla fatai Novara,
corona e sangue, per francar gli schiavi;
ed or, dannato ad abbracciar l’amara
tua sorte, forse invidiando guardi
de’ tuoi compagni alla compianta bara.
70Ché sereno l’occaso è dei gagliardi,
nubilo il giorno di chi resta, e pieno
di pronte colpe e di rimorsi tardi.
Ma tu non ti accorar. Crescono in seno
dell’artefice tempo altre giornate;
75e il sangue effuso sul natio terreno
per la sacra ragion di libertate
germina brandi. O vedove deserte,
per lo nome di Dio, non lacrimate!
Vergini care, si per tempo esperte
80dello infortunio, in piú serene sfere
date le penne alla speranza aperte!
E voi di luce, o squallide bandiere,
circondatevi ancor; né sella o morso,
per Dio, si tolga all’italo destriere!
85L’angelo della vita affretta il corso
per le plaghe del mondo, e, sin che resti
di schiavi un nodo, non dará retrorso.
Grida tremende i popoli calpésti
mandano al cielo, e la giustizia eterna
90giá si circonda di funeree vesti.
E nel furor la sua bilancia imperila,
e pesa i dritti adulterati e i sacri,
e abbraccia Abel dove Cain prosterna.
Per campi d’ossa e funebri ambulacri
95e silenzi di morte si cammina
veracemente ai limpidi lavacri
della nova alleanza, opra divina
che il Nazareno edificò, morendo
sulla rupe fatai di Palestina.
100Indarno pace di sepolti intendo
predicar da una "ente orba di fede,
che d’errore in error si va sfacendo;
pari al consunto, che ogni di col piede
urta la fossa, c, contemplando il sole,
105canta la vita e alla speranza crede.
O pugnare o morir. Questo si vuole
dai destini del mondo. Or piú non splende
primavera di rose e di viole,
ma fieri accampamenti irti di tende,
110irti di spade. Ed il camion, che tuona,
è la voce di Dio che ci difende.
Vanamente si libra e si ragiona
nell’auliche congreghe impaurite.
L’uno cmisferio contro l’altro sprona
115Dal mondo boreal torme infinite
la picca abbasseran sull’occidente,
e il cozzo orrendo solverd la lite.
E- noi siarn leve e piccoletta gente,
che all’urlo obbedirem delle tlue posse.
i2o come a turbo in furor (ronda consente.
Né il fatai giorno imlugerá. Son rosse
le prime lance. E un grande impeto arcano
ormai le avventa all’ultime percosse.
Ahi grama Italia, che ti smacri in vano
r25 cambio di sfregi, e, del demente a guisa,
nelle viscere tue vòlta hai la mano,
bada al tuo lato! Povera e derisa
giaci nel mondo. Fuggitiva è l’ora.
Pensa qual fosti, e qual or sei ravvisa.
130Credi: la ciancia de’ tuoi vanti accora
l’antico senno. E la discordia vile
dentro le soglie della tua dimora
audacemente armò l’empia e servile
podestá dei liberti, e in fuga pose
135 quanto ancor vi fioria d’alto e gentile!
Rompe da sè le fila armoniose
del suo novo destin popol, che perde
la reverenza delle antique cose.
Deh! porgi, Italia, dell’etá tua verde
140segno miglior, però che la bufera
rispetta il cedro e il fatuo fior disperde.
E voi, fratelli, che all’eterna sera
si per tempo chinaste, inclite stelle
accese e morte in nebulosa sfera,
145propiziate la madre, e queste ancelle
razze dolenti, e della forza vostra
passi l’ardor visibilmente in elle.
E quanta di fanciulli oggi si prostra
piccola stirpe ai vostri mani, un giorno
150sorga gigante a superar la giostra.
Verranno allora in bianco abito adorno
le giovinette sui redenti fiumi,
verran cercando a quelle ripe intorno
le sacre tombe. E la gramigna e i dumi
155di bellissimo april si vestiranno
sotto la fiamma de’ virginei lumi.
E le vostre gagliarde anime, il danno
ben vendicato delle pugne antiche,
nei commossi sepolcri esulteranno.
160E il falciator, dopo le pie fatiche,
portando seco alla romita sede
i raccolti manipoli di spiche
cresciuti al sangue della vostra fede,
li sentirá tremar sotto le braccia,
165e dei vostri sará spiriti erede.
E la fiamma de’ forti e la minaccia
gli passerá nell’ossa, e un furor novo
saetterá dalla combusta faccia.
E la sua casa poveretta un covo
170sará di lioncelli, e un fulvo artiglio
e una giubba uscirá fuor da ogni rovo.
Pace, o defunti, ed aspettate. Il giglio,
dissipato dal nembo, or si ripianta,
e, di fieri battesimi vermiglio,
175crescerá in quercia gloriosa e santa.
Sará l’Italia il suo scoglio natio.
Gran cose il tempo e la fortuna ammanta.
Soffia sull’ossa l’alito di Dio!