I monumenti e le opere d'arte della città di Benevento/Dell'antichità origine e sito della città di Benevento/Della via Traiana

6. Della via Traiana

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6. della via traiana


È nostra ventura incontrarci di nuovo in quell’eccelso spirito che fu Traiano, imperocchè non v’è sito del mondo antico ov’egli non abbia lasciato orme profonde del suo passaggio nella costruzione di grandiose opere; queste, in mancanza d’una storia scritta più completa della sua vita grandiosa, lo faranno pur sempre venerato. Eppure l’invidia non gli risparmiò il sarcasmo, che è l’arme dei deboli, e gli affibbiò il nomignolo di erba parietaria1, perchè il nome di lui veniva di frequente inciso sulle lapidi. Ma le iscrizioni, sì frequenti per le nostre contrade, ci hanno tramandata la memoria dell’autore della splendida e munificente istituzione dei fanciulli alimentari2 e delle meravigliose opere pubbliche. Ai benefattori dell’umanità è permessa la nobile ambizione di esser ricordati ai posteri. Egli sorpassò tutti i predecessori3 nella costruzione e nella restaurazione delle grandi vie dell’impero, come attestano di consenso gli storici. Così ci dice Dione4 che Traiano « . . . . stravit Paludes Pontinas Lapidibus; extruxitque iuxta vias aedificia, pontesque magnificos». E in altro luogo5: «Vias item munivit in quibiis faciendis, fortunam aut sanguinem alicuius nunquam absumpsit». Maggior merito adunque egli ebbe Traiano di aver compiute opere sì grandiose senza alcun sacrifizio del danaro e del sangue del popolo. Perciò fu veramente grande e munificente; e ben di lui cantò Byron6:

 «. . . . . D’un Macedone Alessandro,
«Tipo d’intemperanza, assai più grande,
«Non macchiato di sangue egli s’impose
«Sulla fronte severa il diadema
«D’ogni virtù. Quel nome eternamente
«Venerato sarà».

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Con grande precisione Galeno, il quale visse proprio in quei tempi, ci narra di lui: «Vias refecit, quae quidem earum humidae aut lutosae partes erant, lapidibus sternens, aut editis agestionibus exaltans, quae sentieosae et asperae erant, eas expurgans, ac flumina, quae transiri non possent, pontibus jungens; ubi longior quam opus erat via videbatur, aliam breviorem exscindens, sicubi vero propter arduum collem difficilis erat, per mitiora loca deflectens; iam si consessa feris, aut deserta ora, ab illa transferens, ac per habitata ducens7». Come vedesi, adunque, Traiano restaurò e migliorò molte vie, ed alcune quasi ricostruì, menandole per nuovi e migliori siti. Questa forse fu la causa per la quale molte vie presero nome da Lui,8 per l’antica costumanza di intitolarle dal nome dell’autore, secondo l’autorità di Siculo Flacco: viae publicae regales auctorum nomina obtinent9.

A simiglianza di Augusto, anche Traiano ebbe un altro grande onore, quello della coniazione di una medaglia10, in memoria di una delle vie dal suo nome detta Traiana. Questa medaglia, riportata da Pedrusi11, corrisponde al quadro in bassorilievo dell’arco di Costantino12. Ma vi è discordanza tra gli autori per determinare a quale delle vie debbasi essa riferire, se cioè alla Via Asturica in Ispagna, appellata pure Traiana, se ad una delle vie da Benevento a Brindisi, se a tutta l’Appia da Roma a Brindisi, o solamente al tratto di quest’ultima verso le Paludi Pontine. Bergier e Pedrusi13 sono di opinione che si riferisca a quest’ultimo, per i particolari che la compongono, proprii delle Paludi Pontine. Invece Bellori14 asserisce che il quadro dell’arco di Costantino (simile affatto alla medaglia, come ho detto) si riferisca al tratto dell’Appia da Benevento a Brindisi. E così pure [p. 298 modifica]Giordano de Nicastro15, sulle orme di Carlo Parini16, riferisce la sudetta medaglia a tutta la via Appia restaurata da Traiano. Sembra, però, che i primi abbiano ragione, osservando Pedrusi che l’arundine e la ruota, aggiunte alla figura muliebre giacente, impresse sulla medaglia, simboleggino ad un tempo la condizione nella quale la strada antecedentemente trovavasi, cioè impedita dalle Paludi, feconde di arundini, e quella a cui fu portata da Traiano, cioè praticabile anche dai carri; ed asserendo a sua volta Bergier che la figura muliebre simboleggi il mar di Ponza, detto dai latini Pomptina Palus.

Nè deve omettersi l’osservazione che, mentre questa medaglia corrisponde al quadro dell’Arco di Costantino in Roma (e si sa che quel quadro, con altri, faceva parte dell’Arco a Traiano nella stessa città), manca nel nostro Arco a Traiano una siffatta rappresentazione. Per la qual cosa è a stimarsi che l’artista della medaglia e quello del quadro dell’Arco di Costantino siensi ispirati allo stesso fatto storico, prossimo a Roma, della bonifica della via Appia attraverso le Paludi Pontine, e non già al restauro o costruzione di uno dei tratti delle vie da Benevento a Brindisi, come avrebbe voluto darci a credere Bellori. Altrimenti l’artista del nostro monumento non si sarebbe lasciata sfuggire una occasione così propizia per farne soggetto di uno dei più bei quadri.

Non è stato desiderio di sfrondare corone di alloro alle nostre contrade, ma amore del vero, se io ho procurato di chiarir questo punto controverso, il quale indirettamente collegasi con la quistione presente, imperocchè nell’esergo della riferita medaglia leggesi Via Traiana; e noi ci occuperemo dell’altra via omonima, la quale menava da Benevento a Brindisi.

Non è cosa facile il determinare quale delle vie muoventi da Benevento per le Puglie abbia avuto tal nome, o se ve ne sieno state due. Però, pria di tutto, bisogna avvertire che sia da credere che Traiano non abbia aperta una via addirittura nuova e diversa dalle esistenti tra questa città e Brindisi, ma (sulla scorta di Dione e di Galeno) che abbia restaurata, migliorata e, per [p. 299 modifica]qualche tratto, deviata la via mulattiera preesistente. Se fosse stato altrimenti, gli storici predetti ce ne avrebbero tramandata notizia. Gli scrittori moderni non sono stati molto accurati in tale ricerca, e si son pure talvolta contradetti. Così il Bergier, una volta asserisce17 che quel Principe, per rendere più facile il viaggiare per l’Italia, abbia costruita una via, lunga duecento miglia italiche, da Benevento a Brindisi, appoggiandosi su di questa iscrizione rinvenuta in Ascoli:

V
IMP. CAESAR
DIVI NERVAE F.
NERVA TRAIANVS
AVG. GERM. DACIC.
PONT. MAX. TR. POT.
XIII. IMP. VI. COS. V.
P. P.
VIAM A BENEVENTO
BRVNDISIVM PECVN.
SVA FECIT

e poi, per incidente, parlando della suddetta medaglia, afferma che quegli abbia fatta pavimentare soltanto una via da Benevento a Brindisi.18

Corcia asserisce da prima che da Port’Aurea la Via Traiana, correva congiunta sino ad Eclano coll’Appia, e ritiene probabile che per gratitudine appunto di aver l’Imperatore lastricata quella via fessegli innalzato quel Monumento alcuni anni prima della morte. Ma è un errore grave il credere che la Via Traiana e l’Appia siensi confuse in una sino ad Eclano; imperocchè in tal caso conseguentemente si dovrebbe affermare pure che la Via Traiana sia stata nè più nè meno quella percorsa da Orazio da Benevento a Brindisi, mentre sappiamo che questa era già carreggiabile ai tempi di costui.

Lo stesso autore in altro luogo19, dopo di aver discorso di [p. 300 modifica]un’altra via, che chiama grande Via Traiana, la quale dalle Saline sull’Adriatico portava ad Anxano ed a Siponto, e poi, lasciando il mare, e facendo un gomito, menava ad Ergizio20, passa a intrattenersi sulle vie Egnazia e Traiana che ci riguardano più da vicino. Ma, sventuratamente, egli è ben poco chiaro. Per meglio confutarlo, mi occorre trascrivere un suo brano. Egli, dopo essere arrivato a Ergizio, di sopra nominato, soggiunge: «Finiva così da questo lato il corso della grande Via Traiana, quella or ora riferita, perchè indi a XVIII miglia seguiva Teano Appulo, città dell’Apulia propriamente detta. E chi dalla Marina passar voleva nella parte interna della Daunia poteva dalla stessa città di Siponto battere un’altra strada, la quale, dopo XXI miglia menava ad Arpi, indi dopo altre IX a Luceria, donde ad Eca per altre XII miglia, giungendo in fine dopo altre XVIII miglia ad Equotutico nell’Irpinia. Era questa strada il proseguimento della stessa Via Egnazia, o Traiana, che dir si voglia, diversa da quella che diramavasene dalla medesima città di Equotutico, e che, toccando similmente Eca, conduceva indi a XIX miglia ad Ardonea, e di là, dopo oltre XXVI, a Canusio. Alla quale accennando Strabone, e nell’ordine inverso descrivendola, dice che batter potevasi coi muli pel paese dei Pediculi, per la Daunia e pel Sannio insino a Benevento, verso la quale città colla Via Egnazia propriamente detta e coll’Appia si congiungeva».

Innanzi tutto occorre rilevare che l’Autore ingenera non poca confusione a proposito della Via Egnazia, quasi lasciando supporre che ve ne sieno state tre distinte; e la confusione è [p. 301 modifica]maggiore quando parla del congiungimento dell’Egnazia con l’Appia presso Benevento; nel qual punto, anzi che attenersi al testo preciso di Strabone21, il quale parla chiaramente dell’incontro di due sole vie, cioè dell’Appia e dell’Egnazia, quella carreggiabile e questa mulattiera, introduce di suo capriccio una terza via, e la fa incontrare pure presso Benevento con le predette. Ho già parlato di queste due vie così chiaramente, che non occorre più tornarvi sopra di vantaggio. Di più malamente dice che la via da Equotutico a Siponto, per Troia, Lucera ed Arpi, sia stata proseguimento dell’Egnazia o Traiana; avrebbe dovuto dire che da Equotutico, il qual paese era appena la seconda stazione dell’Egnazia (la prima dopo Benevento era Forum Novum, come vedemmo) partiva un’altra via per Siponto. Anzi, più che da Equotutico, l’avrebbe dovuta far muovere da Troia, giacchè sino a questa città si confondevano, come egli stesso afferma.

Intanto, e giova rilevarlo in modo speciale, l’autore obbliando ciò che aveva asserito nel volume primo, che cioè la Via Traiana e l’Appia fossero confuse da Benevento a Eclano, ora dichiara che la Traiana e l’Egnazia sieno state la stessa cosa.

Garrucci22 ingenera anche egli confusione, chiamando Appia Traiana la via da Benevento a Brindisi per Equotutico e Troia, che sappiamo essere stata in origine l’Egnazia. Però è da notare che anche egli accetta che Traiano sia stato il primo ad aprire alle vetture la sudetta via mulattiera di Strabone23.

Il solo che questa volta mette meglio la quistione a posto è Pratilli, sebbene fra molte divagazioni24. Egli bene afferma che la Via Traiana per le nostre contrade non potè essere altra se non l’Egnazia; la quale, mentre al dire di Strabone era mulattiera in origine, fu da quel Principe resa careggiabile, deviata nei tratti più difficili, e munita di ponti. La qual cosa non esclude per tanto che lo stesso Principe abbia restaurato pure il ramo dell’Appia oltre Benevento. [p. 302 modifica]

Le colonne milliarie rinvenute lungo la via che fu un tempo l’Egnazia son parecchie, e tutte parlano della munificente opera di Traiano. E, se talvolta portano la dizione pecunia sua stravit, ed altre fiate quella pecunia sua fecit, ben puossi argomentare che siasi voluto in tal guisa distinguere la semplice lastricatura di alcuni tratti dalla costruzione affatto nuova di altri, la qual cosa andrebbe in perfetto accordo con il citato passo di Galeno.

Un argomento più convincente a dimostrare che la via Traiana per le nostre contrade sia stata l’antica Egnazia devesi desumere dal fatto che l’Appia era già aperta alle carrette, e che il restauro di essa sarebbe stato sempre un avvenimento meno importante della riduzione a careggiabile di una via mulattiera.

Allorchè parlai della via Egnazia, ne descrissi il corso particolareggiato attraverso la nostra regione quasi sulla guida delle tracce della via Traiana, considerando che quelle dell’antica mulattiera di Strabone sieno certamente sparite da tempo remoto, forse da quello in cui Traiano aprì la sua via alle carrette. Non mi si tacci, adunque, di avere errato allora, imperocchè dalla sostanza io non sono affatto uscito, allorquando ho riferito le stazioni per le quali quella via passava. Però mi preme ora far avvertire che essa aveva un andamento più montuoso, probabilmente quasi quello che ha il Regio Tratturo, la grande via della pastorizia tra gli Abbruzzi e la Puglia, la quale devesi ritenere antica quanto è antica la pastorizia fra noi, sebbene Gregorovius25 affermi che sia stata aperta con una legge di Alfonso I d’Aragona; questi potè reintegrarla e regolarne il corso dopo secoli di abbandono. Traiano, invece, menò la sua via per la valle, ove il potè, e per la mezza costa dei colli, acciò fosse riuscita più agevole alle vetture; la qual cosa concorda pur sempre con il citato passo di Galeno.

Pur temendo di diventar troppo prolisso, non posso omettere qui un’altra osservazione: sulle varie antiche carte geografiche trovo segnato il cammino dell’Appia da Benevento per Equotutico; il quale errore, secondo me, ha dovuto provvenire [p. 303 modifica]sempre dalla ignoranza del sito proprio di questa stazione e dalla confusione che fecesene con il non versificabile oppidolo di Orazio.

Nel territorio di Paduli26 fu trovata la seguente iscrizione:

IMP. CAESAR
DIVI NERVAE F.
NERVA. TRAIANVS
AVG. GERM. DACI. . . .
PON. MAX. TR. POT.
XIII. IMP. VI. COS. V.
P. P.
VIAM ET PONTES. . . . .
BENEVENTO BRVNDISIUM
PECVNIA SVA
. . . . . . . . . . . . . . .

la quale attesta chiaramente che Traiano munì di ponti questa via, imperocchè sino a quando essa fu mulattiera non ne ebbe affatto, o per lo meno non di quella magnificenza.

Nella nostra provincia esistono due ponti di questa celebre Via Traiana, quello delle Chianche appiè di Buonalbergo e quello sul torrente di Ginestra degli Schiavoni27. Di quest’ultimo, come dissi, non esiste che una testata di massi lapidei, sulla sponda sinistra, ed un pezzo d’arcata di mattoni. Ma il primo, sebbene alquanto malconcio, lotta ancora contro il lavorio incessante delle acque ed il vandalismo dei contadini28. Esso è a cinque luci, due del diametro di m. 11.60, una di m. 8.80, la quarta (dalla sponda destra procedendo verso la sinistra) di m. 5,80; la quinta, per essere interrata e ricoperta di folta vegetazione, non potè esser da me misurata. È largo m. 7.20; ha le testate e le pile di massi lapidei, coronate da una fascia di simili pietre; le arcate ed i timpani di laterizii. Queste hanno due armille concentriche, formate [p. 304 modifica]di mattoni di 0,60 × 0,60 × 0,05; di guisa che la intera grossezza di esse è di m. 1.20. I timpani, come si è detto, hanno il paramento di laterizii, ma nell’interno sono di muratura emplecton di ciottoli e scaglie calcaree residue della lavoratura dei massi lapidei. Mancano la fascia solita al livello stradale e il parapetto. Sopravvanzano ancora i muri di accompagnamento su ambedue le sponde, e, in parte, il selciato romano di lastre calcaree, plancae, sul dorso del ponte. E ben puossi ritenere che la denominazione attuale del ponte sia derivata da queste lastre calcaree, se non vuolsi pure ammettere che sia derivato, invece, dai quadroni di argilla delle arcate, che i contadini colà chiamano chiance. Però la denominazione Chianche, come vedemmo29, è comune ad altre contrade prossime alla nostra città, nelle quali pare che l’etimologia sia spiegata più dalle lastre di pietra le quali pavimentavano le vie romane. Tutto il ponte è lungo metri cento30.

Si potrebbe obbiettare che non vi sia testimonianza storica precisa e specifica che questo ponte, insieme con altri, sia stato costruito da Traiano; ma, dopo le considerazioni che egli per il primo aprì alle vetture questa via, e la munì di ponti, e dopo l’analisi del genere di costruzione, il quale non puossi ritenere a lui posteriore, tanto più che non presenta alcuna traccia di restauri, aggiunzioni o modifiche, ma apparisce tutta di getto, puossi con sodo criterio ritenere che sia opera di tanto uomo, e non di altri.

Illustrando il quadro esterno dell’attico dell’Arco Traiano, a sinistra del riguardante31, dissi che quello poteasi riferire con le sue rappresentazioni mitologiche di varie divinità, Silvano, Cerere, Bacco e Diana, alle grandi azioni civili di Traiano nelle provincie32, e segnatamente allo sviluppo dei commerci per mezzo della costruzione e restauro di vie importanti: e feci notare pure [p. 305 modifica]che Diana fu considerata come la custode delle vie. La sua presenza, adunque, nel sudetto quadro affermerebbe un ricordo storico di quest’opera così grandiosa quale fu la Via Traiana. Forse un ricordo più completo ce ne sarebbe rimasto in quel quadro, se, per disavventura, non se ne fosse perduto un pezzo, e quello proprio che ne avrebbe definito il soggetto.

Non posso in questo lavoro dilungarmi più oltre su quest’argomento; e devo di necessità tacere intorno alle colonne miliarie che in questa città e nei paesi prossimi sonosi rinvenute; tanto più che di esse hanno discorso con competenza, oltre agli scrittori patrii, il Mommsen, il Garrucci ed il Pratilli.



Note

  1. Ammiano Marcellino, lib. 27. Muratori, annali d’Italia, ediz. cit. pag. 395 del vol. I.
  2. Vedi a pag. 148 di quest’opera.
  3. Bergier, op. cit. tom. I. pag. 52 e seg.
  4. Op. cit. nella vita di Traiano.
  5.  idem idem.
  6. Lord Byron, IV canto del poema Childe — Harold, strofa CXI, traduz. di A. Maffei.
  7. Galenus in lib. Method. med. 9. 8.
  8. Bergier, op. cit. tom. I. pag. 55, 57, 58, 96, 97, 409 — Pedrusi; i Cesari in argento, tom. II. pag. 429 e 430.
  9. Borgier, op. cit. tom. I. pag. 93.
  10.  id. id. pag. 95, 96 e 97.
  11. Op. ora cit. luogo id. e tav. 32 fig. VII.
  12. Bellori, op. cit tav. 29.
  13. Luogi ora citati.
  14. Luogo ultimo citato.
  15. Memorie Istoriche di Benevento (op. inedita, citata) Bibliot. Arcivescov. Benevento, lib. III, cap. II. pag. 53 e seg.
  16. Nell’opera: Romanorum Imp. numismata, fol. 178.
  17. Tom. I. pag. 58.
  18. Pag. 96 e 97.
  19. Op. cit. tom. 3. pag. 628 e 629.
  20. Egli veramente da Siponto la fa arrivare prima al Pons Longus sul fiume Candelaro e quindi verso il lago di Verano, presso Lesina; di qua poi la fa muovere per Ergizio. Ma questo è un manifesto errore, perchè la via avrebbe fatto un circolo vizioso lunghissimo. L’autore ha confuso la via che da Larino andava al Pons Longus, passando per Cornelium, con quella che dallo stesso Larino menava a Siponto, passando per Ergitium; una terza via, poi, congiungeva Siponto con Pons Longus. E le varie carte geografiche antiche, da me consultate, concordano in ciò e con la Tavola Peutingeriana e l’Itinerario di Antonino. Corcia potè essere tratto in inganno, come sembrami, dall’aver confuso il Cornelium dell’Itinerario di Antonino con l’Ergitium della Tavola Peutingeriana.
  21. Vedi a pag. 253 di quest’opera.
  22. Le antiche Iscrizioni di Benevento, pag. 45.
  23. Op. ultim. cit. pag. 46.
  24. Vedi op. cit. pag. 27 a 31 e 433 e seg.
  25. F. Gregorovius, Nelle Puglie, traduz. ital. di Raff. Mariano, Firenze, Barbèra, 1882, pag. 164 e 165.
  26. Garrucci, op. ultima cit. pag. 45 e 46.
  27. Vedi a pag. 257 di quest’opera.
  28. I contadini di tratto in tratto, quando hanno bisogno di fare il pavimento di un forno per cuocer pane, vanno a staccare dalle armille delle arcate i bei quadroni di argilla di lato m. 0.60, che essi chiamano in dialetto le chiance, corruzione di plancae.
  29. A pag. 269.
  30. Ho fatto voti al Governo e alla Commissione Conservatrice dei Monumenti per il restauro e la conservazione di quest’opera, importante sia per la sua mole e la bella costruzione, sia come un ricordo ed una testimonianza della Via Traiana che lo cavalcava.
  31. Tav. XXVII. pag. 169 e seg.
  32. Pag. 180.