I monumenti e le opere d'arte della città di Benevento/Dell'antichità origine e sito della città di Benevento/Dell'Appia da Benevento a Brindisi

5. Dell’Appia da Benevento a Brindisi

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5. dell’appia da benevento a brindisi


Il cammino dell’Appia da Roma a Benevento, meno le poche quistioni particolari da me rilevate e quella sul sito dell’antico Caudio, ancora insoluta, non è per nulla controverso; ma, per contrario, è irto di quistioni e di difficoltà quello da Benevento a Brindisi.

Io non mi arrogo competenza pari a quella dei dotti scrittori che ne hanno trattato con larga copia di erudizione; ma con un poco di amore per le nostre glorie antiche e con la conoscenza dei luoghi delle nostre contrade procurerò di mettere la quistione sotto altri aspetti, e di avviarla ad una soluzione più prossima al vero.

Nel paragrafo precedente ho lasciato il lettore fuori Port’Aurea a deliziarsi nelle squisite forme di quel meraviglioso monumento, per prender lena, ed avviarci insieme per più duro cammino di quello sinora percorso.

Garrucci1, senza preamboli, fa uscir l’Appia da Benevento per porta Somma, e, per il Ponte delle Tavole (tenimento di Benevento), per S. Giorgio la Montagna e il villaggio di S. Agnese, la mena sul Calore a Ponte Rotto, che chiama Appiano2. Egli non fa distinzione tra epoca romana e longobarda, e nientedimeno che, per far uscir l’Appia da porta Somma, va a cercar la esistenza di questa negli atti della traslazione delle ceneri di S. Mercurio Martire da Quintodecimo a Benevento (la quale avvenne sotto il Principe Arechi nell’anno 7683) e nella carta di donazioni dello stesso Principe al Monastero di S. Sofia degli anni 754 al 788. Egli non pose mente che attraverso tanti secoli sono cambiate radicalmente la topografia e l’altimetria della città. Di quella dissi già molto, di questa dico solo che in alcuni siti il piano dell’antica città era molti metri, sin oltre dodici, sotto l’attuale; che dove sino a pochi anni addietro fu porta Somma esisteva in antico un avvallamento profondissimo. La qual cosa ho potuto constatare con gli scavi delle fondazioni del casamento [p. 290 modifica]dei fratelli Imperlino che si va costruendo fuori e di rincontro detta porta.

La porta Somma dell’epoca longobarda non fu nel sito dell’ultima demolita, ma più in dentro, come ci dice il riferito diploma di concessione di Arechi al Monastero di S. Sofia4: Seu et Ecclesiam Sancte Mariae, que sita est intra duas vias foras ante portam Summam. E sappiamo che S. Maria di porta Somma era situata tra il leone e la torre del Castello attuali5, e l’attiguo monastero di Benedettine era costituito dall’attuale Palazzo di Prefettura6. Questi edifizi sorgevano sul culmine di una collinetta.

Ma tutto ciò ho detto per la migliore intelligenza storica, senza che abbia diretta relazione col soggetto principale.

Vedemmo7 che secondo Strabone l’Egnazia e l’Appia si congiungevano apud Beneventum; e, sino a prova in contrario, noi dobbiamo attenerci alla sua autorità. Ciò posto, egli è indubitato che l’innesto sia dovuto esistere nella campagna Beneventana, non molto lungi dalla città, la qual cosa non seppero intendere nè Pellegrini8, nè Pratilli9. Abbiamo visto pure che il cammino dell’Egnazia, sul quale non può cadere verun dubbio, procedeva da Port’Aurea per Ponticello10; ora appena al di là di questo doveva avvenire l’innesto. Anche d’Anville11 ritenne queste due vie essersi congiunte a Benevento. Non sono molti anni che il vivente sig. Antonio Criscuoli, scavando nella sua masseria, poi venduta a Morante12, trovò a poca profondità le selci o plancae di una via romana, la quale, secondo io stimo, non poteva esser altra che l’Appia. Questa da Ponticello doveva prender a destra (mentre l’Egnazia proseguiva in linea retta), ascendere la collina [p. 291 modifica]alla mezza costa sino alla masseria Criscuoli, dirigersi alla masseria della Cancelleria, e, quasi sempre in linea retta, per una via facile ed amena, cavalcando il vallone Lario, e attraversando la campagna del Cobante, portarsi al Ponte Rotto sul Calore. Così solamente si trovano le distanze degli itinerarii. Di fatti la Tavola Peutingeriana13 segna quattro miglia da Benevento a Nuceriola e sei da questa al Calore, cioè in uno miglia dieci, corrispondenti a chilometri 14,810. Ora, aperto il compasso ad un miglio nel rapporto di 1:50000, e riportandolo quindici volte dall’Arco Traiano a Ponte Rotto, lungo il cammino da me designato, sulla carta topografica dello Stato Maggiore14, si riscontra esattamente la distanza di miglia dieci, o chilometri quindici circa.

Per contrario, seguendo il cammino accennato da Garrucci lungo le due linee Benevento S. Giorgio e S. Giorgio Ponte Rotto, formanti angolo retto, si avrebbero oltre diciotto chilometri, o miglia romane dodici, con pendenze disastrose.

Pratilli15 parla degli importanti ruderi romani che ai suoi tempi si riscontravano per la campagna del Cobante, e di qualche traccia della via ancora selciata; e, sebbene egli dica che questo braccio si fosse appartenuto alla via Traiana, vedremo in seguito come non sia così, ma che invece l’Appia da Benevento al Ponte Rotto o Appiano non sia mai mutata.

Ho detto che la prima stazione dopo Benevento a distanza di quattro miglia romane, o chilometri 5.924, sia stata Nuceriola o Nueriola o Nucerula o Luceriola, trovandosi scritta in vario modo. Nessuno degli scrittori ha saputo indicare il sito ove surse questo villaggio. Corcia16, seguendo l’Holstenio, lo mette nel distretto dei Caudini in contrada Ricerola, «dove sorgeva un tempo la chiesa di S. Andrea, presso Benevento.» Asserisce pure che, in fuori della Tavola Peutingeriana, non ne sia rimasta altra ricordanza. Ciò non è esatto, imperocchè il diploma di concessione del 95117 di Landolfo II e Pandolfo I, Principi [p. 292 modifica]longobardi, a favore di Maghenolfo, Abbate di S. Giovanni presso Port’Aurea in questa città (Maghenolfus abbas ecclesie sancti Joannis que constructa est ad portam auream) si parla chiaramente di detto luogo: «esse in eius potestatem casas et casalinas ipsas que in circuitu eidem ecclesie sunt, quam et valneum ipsum, quod ipse ursus sacerdos facere disponit in cisterna eiusdem ecclesie que est ante ipsa ecclesia, quam et vineam illam et horto uno teniente que est a foras porta aurea, et terre ipse de loco luceriole.» E non soltanto questo documento è prezioso perchè ci fa sapere che a quell’epoca si conservava ancora l’antica denominazione del pago romano alla contrada, ma ben anche perchè nel buio fitto dei secoli trascorsi è una chiave per farci procedere alla ricerca di quel luogo. Notisi, di fatti, che le concessioni contenute nel diploma in parola riferisconsi a beni messi intorno alla chiesa di S. Giovanni di Port’Aurea e fuori di questa porta; per la qual cosa non sembri strano se io penso che le terre le quali donavansi, de loco luceriole, sieno state messe pure lungo una via che muoveva da detta porta, e quindi lungo l’Appia. Luceriola era sita nella masseria o latifondo della Cancelleria, che fu proprietà del Barone dell’Aquila ed ora è del Sig. Giovanni de Giovanni; colà corrisponde esattamente la distanza di quattro miglia romane, la quale come abbiamo ora visto, intercedeva da Benevento a quella prima stazione. E che sia stato ivi è comprovato dall’affermazione medesima di Corcia e dell’Holstenio, ma con la rettifica di un malinteso nel quale incorsero. Sappiasi che Alberto di Morra, Beneventano, pria Cardinale Cancelliero, poi Papa Gregorio VIII, eresse il Priorato di S. Andrea, dotandolo del sudetto latifondo; il quale dalla qualità di Cancelliero del Morra prese il nome della Cancelleria18. Però è a notare che la chiesa dì S. Andrea detta della Piazza, a benefizio di cui fu istituito il sudetto Priorato, che nel 1400 da Papa Bonifacio IX fu concesso al Capitolo Metropolitano, era messa dentro la città, non fuori. Forse l’Holstenio dovè confondere il benefizio con la chiesa che [p. 293 modifica]ne era investita. Così resterebbe riconfermato che Luceriola era situata entro l’attuale latifondo della Cancelleria.

Ponte Rotto o Appiano. — Da Luceriola, dopo altre sei miglia romane, l’Appia perveniva sul Calore, ed il sito dove lo cavalcava è certo, esistendo ivi ancora i ruderi giganti di un grandioso ponte. Dolente di non poterne dare una incisione, mi limito a farne una rapida descrizione.

Innanzi tutto osservo che esso è situato in una posizione tale e con una orientazione siffatta da far comprendere immediatamente che la via vi doveva pervenire da Benevento secondo il cammino da me designato. In quel punto il Calore volge in lunata ad angolo retto, e riceve le acque del torrente Mela. Questa coincidenza poco favorevole ha causato la rovina del ponte, il quale al presente riceve l’urto delle acque del Calore non in senso normale, ma in direzione dell’asse longitudinale, contro la testata destra. Delle cinque maestose arcate che lo componevano la centrale sfida ancora le ingiurie del tempo e delle onde. Non ho avuto opportunità di misurarne il diametro, ma pare che sia di circa quindici metri. Il ponte era a schiena nel mezzo. Le pile e le testate eran di massi lapidei, le arcate, i timpani ed i muri di accompagnamento avevano il rivestimento di mattoni. Sulla sponda sinistra avanza un buon pezzo della testata, sulla quale si elevano a torre due pilastri rivestiti di mattoni per ciascuna facciata, racchiudenti un incasso rivestito di opera reticolata con quadrucci calcarei di lato m. 0.07 e di coda m. 0.20. L’opera reticolata è innestata negli angoli ai pilastri con morse di mattoni. I laterizii di rivestimento sono triangolari per la più gran parte, con l’ipotenusa, sul fronte, di m. 0.285; quelli i quali, a costante altezza, spianano la muratura emplecton son quadri, di lato m. 0.60, di spessore m. 0.05. L’emplecton è fatto di ciottoli di fiume.

Questo ponte è certo dell’epoca imperiale, e probabilmente fu opera o di Traiano o di Adriano, ma piuttosto del primo, essendo di costruzione affatto identica a quella del ponte delle Chianche sotto Buonalbergo19, il quale, come vedremo, fu da lui costruito. [p. 294 modifica]

Non so per quale ragione Pratilli20 lo metta alla distanza del VI° o VII° milliario da Benevento, mentre, come abbiam veduto, la Tavola Peutingeriana lo segna al X°, il quale da me è stato verificato esatto21.

Passata sulla sponda destra del Calore, la via prendeva a salire la contrada i Morroni, ove fu certo un pago romano, ed ove frequenti sono i ruderi di antichi edifizii e le scoverte di antichità; e senz’altro dirige vasi ad Eclano, città d’importanza, la quale surse nel luogo oggi detto le Grotte, a poca distanza da Mirabella22. Secondo la Tavola Peutingeriana la via passava di poi alle stazioni sub Romula, Aquilonia, Ponte Anfidi, Venusie, Silvium Sablubatia, ecc.; in altri termini percorreva l’itinerario che descrive Strabone.

Poggiandosi su questi elementi, Pratilli23 è di parere che questa sia stata la vera e propria continuazione dell’Appia da Benevento a Brindisi per Uria; la quale via è segnata pure dall’itinerario di Antonino ad un di presso con le medesime stazioni. Tenne la stessa opinione D’Anville, asserendo che Strabone abbia parlato chiaramente di questa via, che fe’ passare per Venosa e congiungere a Benevento con l’Egnazia24. Ma altri combattono i citati autori, poggiandosi sull’autorità della Satira Va di Orazio, nella quale questi descrive il suo viaggio da Roma a Brindisi per Benevento. Orazio percorse un tratto dell’Appia di Strabone da Benevento ad Eclano, perchè ei ci dice che passò la prima notte dopo la partenza da Benevento nella villa di Trevico, il quale rimane sulla sinistra di quello.

.... nisi nos vicina Trivici Villa recepisset ..

È indubitato pure che non si diresse di poi a Venosa, sua patria, ma a Canosa, passando, a ventiquattro miglia da Trevico, per un villaggio che non può nominare per ostacolo del metro, e che dice fondato da Diomede. Ivi era pessima acqua, ma ottimo [p. 295 modifica]pane; colà l’amico Vario accomiatossi piangente da lui e dagli altri compagni di viaggio:

Quattuor hinc rapimur viginti et millia rhedis,
Mansuri oppidulo, quod versu dicere non est,
Signis perfacile est: venit vilissima rerum
Hic aqua; sed panis longe pulcherrimus, ultra
Callidus ut soleat humeris portare viator:
Nam Canusii lapidosus; aquae non ditior urna.
(Qui locus a forti Diomede est conditus olim).
Flentibus hic Varius discedit mestus amicis.
Inde Rubos fessi pervenimus;…

Non sono stati pochi gli scrittori, ed io non annoierò il lettore a noverarli, i quali hanno creduto falsamente che quel villaggio taciuto da Orazio sia stato Equotutico; ma, dopo che d’Anville25, contro il vaticinio di Gargallo26, ebbe scoverto che questa città fu tra Castelfranco in Miscano ed Ariano, in sito tanto lontano dal cammino percorso dal sommo poeta, non può dubitarsi che quel villaggio sia stato invece l’attuale Ascoli Satriano27, il quale si trova sul cammino da Echino e Canosa, a ventiquattro miglia, secondo Orazio, da Trevico.

Siccome da quest’ultima città a Brindisi indubiamente Orazio percorse la via Egnazia per Bari, io stimo che egli ed i compagni abbiano preferito la via da Eclano a Canosa, invece che proseguir per l’Appia, o perchè Orazio non volle passare per Venosa, sua patria, memore del nemo propheta in patria, o perchè tutti desiderarono accompagnare sino ad Ascoli l’amico Vario.

Note

  1. Le antiche iscrizioni di Benevento, pag. 41 e seg.
  2. Vedi carta topog. citata Stato Maggiore, F. 173, II.
  3. Borgia, op. cit. tom. I. pag. 217.
  4. Borgia, op. cit. tom. I. pag. 304.
  5. Come rilevo dai citati manoscritti (pag. 287 di quest’opera) sulle chiese antiche di Benevento.
  6. Borgia op. cit. tom. II. pag. 191.
  7. Pag. 253.
  8. Apparato delle Antichità di Capua, ecc. Napoli, 1651, pag. 403
  9. Op. cit. pag. 419.
  10. Pag. 255.
  11. Op. cit. pag. 237.
  12. Vedi carta top. Stato Maggiore F. 173, II. nella quale è detta massaria Crescuoco corrottamente.
  13. Segmentum IV.
  14. F. 173, II.
  15. Op. cit. pag. 451 e 452.
  16. Op. cit. tom. I. pag. 380 e 381.
  17. Borgia, op. cit. tom. I. pag. 359 e 360.
  18. Ricavata tale notizia dal fascicolo manoscritto Breve ristretto di molte cose della Città di Benevento, a firma di un tal Zeoli o Feoli, che si contiene nel tomo I. delle Scritture Miscellanee della Città di Benevento. Biblioteca Arcivescovile.
  19. Vedi a pag. 257 di quest’opera.
  20. Op. cit. pag. 452.
  21. Pag. 291.
  22. Corcia, op. cit. tom. 2. pag. 507.
  23. Op. cit. pag. 427 e seg.
  24. Op. cit. pag. 237.
  25. Vedi pag. 258 di quest’opera.
  26. Tommaso Gargallo, traduz. di Q. Orazio Fiacco, Venezia, MDCCCXLV, in fine della nota 3. alla Sat. V « . . . . se come in Grecia i paesi rammentati da Omero ne traean gloria grandissima, così avvenisse in Italia dei rammentati da Orazio; la mia difesa del non versificabile Equotuzio me ne renderebbe benemerito. L’Italia poi è assai tenera della sua gloria!» È la solita accademia; e frattanto sono gli stranieri che le vengono a studiare le nostre glorie e le nostre memorie!
  27. Corcia, op. cit. tom. 2. pag. 531.