I monumenti e le opere d'arte della città di Benevento/Del castello medioevale/Della sua origine e delle sue vicissitudini

1. Della sua origine e delle sue vicissitudini attraverso varii secoli sino al presente

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1. Della sua origine e delle sue vicissitudini attraverso varii secoli sino al presente
Del castello medioevale Del castello medioevale - Degli avvenimenti che si riferiscono a questo castello

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1. della sua origine e delle sue vicissitudini
attraverso varii secoli sino al presente


I Rettori Pontificii1, che ebbero il governo civile di Benevento appena cessato il dominio Longobardo, con la morte del Principe Landolfo VI. nell’anno 10772, presero stanza nel Palazzo dei Principi Longobardi3, fondato da Arechi sul largo detto oggi Piano di Corte4. Questo palazzo ospitò molti Pontefici, fra cui ultimo nel 1272 Gregorio X5. Dopo quell’epoca andò assai in rovina, finchè fu distrutto da non rimanerne più vestigia. È facile supporre che nelle molte insurrezioni del popolo Beneventano contro i Rettori l’edifizio sia stato danneggiato per modo da rovinare indi a non molto completamente. Egli è certo che si era reso affatto insicuro per i Rettori, i quali, come narra [p. 474 modifica]Falcone Beneventano, più volte nel duodecimo secolo furono costretti fuggirsene, e ricoverarsi nel Monastero di S. Sofia6.

Cresciute ancora più le ribellioni contro i Rettori sotto Papa Giovanni XXII, questi, per dare loro più sicuro alloggio, con lettere spedite da Avignone nell’Ottobre del 1321 al Rettore di Benevento Guglielmo de Balaeto, ordinò la costruzione del Castello, contiguo al Monastero di S. Maria di Porta Somma delle Monache Benedettine, facendo trasferire queste nell’altro Monastero di S. Pietro7.

Come vedemmo8, della Chiesa di S. Maria di Porta Somma trovasi menzione nel Diploma delle concessioni di Arechi al Monastero di S. Sofia, dicendosi ivi: «Seu et ecclesiam Sancte Marie, que sita est intra duas vias foras ante portam Summam, cum propria terra sua, que dicitur Dominica, per hos fines de capite usque ad ipsam Ecclesiam habet passus sedicim, de uno latere via, et de alio latere usque alia via in integrum monasterio Sancte Sofie concessimus possidendum9». Appare da questo documento che non sia esistito a quell’epoca il Monastero delle Benedettine contiguo alla Chiesa, perchè altrimenti se ne sarebbe fatta menzione. E appare pure che al tempo di Arechi dove ora sta il Castello sia stata la terra propria della Chiesa stessa, e quindi non vi sia esistito alcun fortilizio. Il Monastero dovette esser costruito in epoca posteriore; certo esisteva però al 1121, perchè ai 4 di Aprile di quell’anno dall’Arcivescovo Roffrido, con l’intervento degli Abati di S. Sofia e di S. Modesto10, vi fu consacrata Abbatessa Betelem, figlia di Gerardo conte di Greci, eletta dalle Monache in surrogazione della defunta Lavinia11.

La ubicazione della Chiesa appare meglio determinata dalla [p. 475 modifica]

Tav. LXVI.


Castello di Benevento — Lato settentrionale.

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descrizione seguente, che rilevo dalla già citata Memoria manoscritta sulle Chiese Parrocchiali di Benevento12: «Questa Chiesa sta all’entrata del Castello, dove risiede oggi il Governatore della città, la quale (Chiesa) fu profanata, ed oggi è in uso profano e diruta e senza tetto; e per essa si passa per mezzo per andare al detto Castello, etc.... Sta confinata col detto Castello. Di sopra vi è la Porta della Pinsola13, donde prima si entrava in detto Castello14, e la via pubblica di lato e davanti, e sta in Parrocchia di S. Salvatore di Porta Somma».

Resta determinato chiaramente da siffatti documenti che la Chiesa stava dove oggi è il Leone15; che le due vie che la limitavano da un lato e d’avanti erano le due attuali, l’una che esce fuori la città, l’altra che mena al SS. Salvatore e alla SS. Annunciata; la seconda però doveva stare ancora più abbasso, altrimenti sarebbe rimasta poca lunghezza alla Chiesa, considerandosi pure che tra questa e il Castello vi sia dovuto esistere almeno un vicoletto, sebbene non se ne trovi menzione nei riferiti documenti16.

Gregorovius17 opina che nel sito dove ora sorge il Castello sia stata in antico l’Arce romana, e, senza alcun dubbio, la vecchia fortezza longobarda. Per la prima non vi è alcun documento o traccia o rudere da lasciarla supporre ivi esistita. Anzi devesi credere il contrario, poichè la città Sannita e poi la Romana, come vedemmo18, non si estesero mai fin qua. Antichi avanzi di [p. 478 modifica]costruzioni fortilizie romane piuttosto riscontransi accosto l’Arco del Sacramento19 tra questo e il giardino Arcivescovile. Là giù eravi un colle che dominava più da vicino l’antica Benevento. E dello stesso parere fu Giordano de Nicastro20. Gregorovius21 ritiene che il sito dove sorge il Castello sia stato il più debole e vulnerabile della città. Forse perchè solo da questa parte la città non è bagnata dalle acque dei due fiumi. Questa ragione fece scegliere questo sito per le prime fortificazioni longobarde, quando la città fu estesa sino all’antica Porta Summa. Nell’anno 1112, secondo rapporta Falcone Beneventano, esistevano le torri di Porta Somma, le quali caddero per alcun tempo nelle mani dei cittadini rivoltatisi contro l’autorità Pontificia. Lo stesso Falcone, discorrendo degli avvenimenti del 1139, della pace conchiusa tra Re Ruggiero e il Papa, del loro ingresso in Benevento e della espulsione di Rossemanno, pseudo-Arcivescovo di questa città, narra che il Papa fece distruggere il Castello che Rossemanno avea fatto edificare a Porta Somma.

Siccome abbiamo veduto che nel Diploma di Arechi delle Concessioni a S. Sofia si afferma che la Chiesa di S. Maria di Porta Somma confinava da capo con una zona di terreno che si apparteneva ad essa, ed era sita fuori la città, dinanzi la porta sudetta, è chiaro che questa non sia stata nè dove era negli ultimi tempi a noi prossimi, cioè tra il Castello e la casa di Capilongo, nè dove ora è il Castello, ma bensì più abbasso, verso settentrione, e poco discosto dal palazzo dei Principi longobardi, come sembra desumere dal seguente documento. Nella cronaca di S. Sofia22 si fa menzione di una torre presso Porta Somma che Adelchi (lo stesso che Adelgisio) dava a Viso nell’Ottobre del terzo anno del suo principato (anno 857): «Concessimus nos vir gloriosissimus Adelchis Dei provvidentia Longobardorum gentis Princeps, per rogum Iandemari fidelis nostri, tibi Viso fideli nostro filio Petri, turrem illam sacri nostri Palatii intus [p. 479 modifica]nostrae Beneventanae civitatis, juxta nostrum portam Summam…» È chiaro pure che nessun fortilizio sia potuto esistere al tempo di Arechi dove ora è il Castello, essendovi allora colà la terra Dominica della Chiesa di S. Maria.

Da ciò puossi argomentare che probabilmente il primo fortilizio costruito in quel posto sia stato quello di Rossemanno, di cui parla Falcone. Quasi a conferma di questa ipotesi sta il fatto che dell’androne dell’attuale Castello la porzione verso mezzogiorno, dalla scaletta a chiocciola al muro esterno meridionale, assai difforme dal rimanente dell’androne, e costruita di sbieco all’altra, è opera molto più antica del 1321. Essa è costituita di due sezioni: la più interna, verso la scaletta a chiocciola, coverta da volta a botte di laterizii, presenta per primo una saracinesca i cui incassi verticali sono in parte scavati in due colonne di cipollino; segue un arco pieno di cunei di pietra calcarea, poggiante su due pulvini della stessa pietra sporgenti a modo di mensole, con larga sfettatura che tiene il posto della cornice d’imposta; viene in terzo luogo un’altra volta a botte, alta e costruita come la prima, terminante con altra saracinesca. Sulla verticale dei due pulvini dell’arco menzionato esistono in alto due pietre incavate, con bordo a rilievo, segno sicuro che quest’arco si chiudeva con porta a cardini, oltre le due saracinesche agli estremi del fortilizio.

Puossi supporre che il Papa al 1139 siasi limitato soltanto a fare smantellare il Castello che Rossemanno aveva costruito a Porta Somma; e che di esso sia rimasta questa porzione che ancora sussiste.

E forse la esistenza di questo avanzo di fortilizio potè pure influire sull’animo di Guglielmo di Balaeto a costruirvi accosto il suo Castello.

Il Castello del 1321 è dunque questa porzione verso la città. Si entra ad esso per un gran vano arcuato a sesto scemo, munito di saracinesca23. Tanto questo vano di entrata che la porzione di androne coeva son formati di grossi massi [p. 480 modifica]parallelepipedi di pietra calcarea, tolti sicuramente ad edifizii romani. La cornice all’imposta della gran volta fu presa da edifizio longobardo.

Nella parete destra, accosto la porzione più antica dell’androne, apresi una angusta porticina che fa entrare alla scala a chiocciola per i piani superiori.

Forse, quando fu costruito il Castello da Guglielmo di Balaeto, questa scaletta faceva salire non solo al salone del primo piano, come ora, ma benanche al secondo piano. Essendo stato tramutato in carcere nei tempi posteriori, ed essendo stata soppressa l’entrata dall’androne del pianterreno, per adibire questo a pozzo nero, la scala a chiocciola antica dal pianterreno al primo piano fu murata24. Ma vi doveva essere un’altra scala antica per uso della porzione più antica del fortilizio. Forse ad essa si appartengono i pezzi dell’altra scala che oggi dal salone del primo piano fa salire al secondo e al terrazzo.

Il Castello ha subito, oltre a ciò, tante altre trasformazioni, che oggi poco o nulla presenta di importante, sia all’interno che all’esterno. Le divisioni delle stanze non sono più le antiche, e vi è stato aggiunto un altro piano, il terzo, dividendo in parte l’altezza del secondo. Con i lavori che attualmente fo eseguire per adattar questo Castello a Museo Provinciale ho cercato di ripristinare qualche parte dell’antico; e già ho fatto riaprire sulla facciata settentrionale due finestrine bifore medioevali (Tav. LXVI), trovate quasi intatte sia internamente che esternamente; e ho fatto scomparire le sconce finestre da carcere sostituitevi nei tempi moderni.

Il Castello comunicava certamente con l’antico Monastero di S. Maria di Porta Somma, nel quale propriamente i Governatori e poi i Delegati Apostolici ebbero residenza; mentre il primo serviva più di sicurezza e di minaccia. Forse i saloni del primo piano e del secondo poterono servire di aule di amministrazione della giustizia. Che sia stato così apparisce anche dalle tracce ancor rimaste nell’antico Monastero delle divisioni di locali per uso di abitazione.

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Sulla parete destra dell’androne che dal lato di mezzodì fa entrare dal campaccio, ossia campo aperto, al cortile scoverto del Palazzo, attuale residenza dei Prefetti, si legge la iscrizione che ricorda la edificazione del Castello. È in caratteri franco-galli, ed è la seguente:

ANNO DNI: MCCCXXI TPE DNI Iohis. P.P. XXII ICEPTV FVIT HOC
CASTRUM QUOD COSTRVI FECIT VEN VIR DNS GUILLS D. BĄLAETO
RECTOR BENEVENTI ET CAMPANIE SEDE APLIC APD ĄVINIONE
EXISTETE.

Il Castello ricevè molto danno dai tremuoti del 1668 e del 170225; e una lapide, apposta in alto della facciata settentrionale, ricorda i restauri apportativi. Essa dice così:

CLEMENS XI. PONTIF. MAXIMVS
ARCEM HANC
A IOANNE XXII EXSTRVCTAM
TEMPORVM INIURIA LABEFACTAM
RESTAVRAVIT
ANNO MDCCIII.

Altri restauri vi apportò Stefano Borgia, l’autore delle Memorie Istoriche della Città di Benevento, il quale fu Governatore di questa Città, come è dimostrato dalla lapide esistente in alto sulla facciata di mezzodì:

SEDENTE CLEMENTE XIII. P. M.
ARCEM HANC VINDICEM NEFARIORVM
AC MANIFESTORVM SCELERVM
STEPHANVS BORGIA GVBERNATOR
AERE PONTIFICIO RESTAVRARI CVRAVIT
ANNO MDCCLXII.

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Il Castello fu destinato interamente per prigione nel 1586, ed i Governatori si ridussero ad abitare solo il contiguo Palazzo, oggi di Prefettura, che era stato ridotto a migliore stato fin dal XV secolo26. Prima di quell’epoca, cioè quando i Rettori abitavano solo il Castello, avevano ai loro servigii un sufficiente numero di soldati27. Esistono ancora al pianterreno tanto di fuori, nel lato di settentrione, che di dentro in ambo i lati, i sedili di fabbrica ove essi solean sedere28.

Note

  1. I Rettori rappresentavano in Benevento l’autorità civile, mentre il Vescovo nei primi tempi e di poi l’Arcivescovo rappresentavano la Ecclesiastica. Quelli dalla metà del XV secolo si denominarono in prosieguo Governatori (Borgia, op. cit. tom. II. pag. 199), e negli ultimi tempi, più prossimi a noi, Delegati Apostolici.
  2. Sarnelli, Mem. Cronol. pag. 84 e 85.
  3. Stefano Borgia, op. cit. parte II. pag. 105.
  4. Idem Idem parte I. pag. 98 in nota; e vedi pag. 360 di quest’opera.
  5. Idem Idem parte II. pag. 157 e 158.
  6. Vedi pure Borgia, op. cit. parte II. pag. 193 e seg.
  7.  id. id. parte II. pag. 188 a 193. Vedi ivi i documenti.
  8. Pag. 290 di quest’opera.
  9. Borgia, op. cit. tom. I. pag. 304.
  10. Questi Abati erano: il primo Giovanni il Grammatico, di cui ho già fatto ricordo, parlando di S. Sofìa, e il secondo Rachisio (Vedi Manos. cit. Benevento Sacro di Giov. de Nicastro, pag. 346 e seg.).
  11. Manoscritto citato sulle Chiese Parrocchiali di Benevento.
  12. Questo Manoscritto (come rilevo in un luogo di esso) fu dettato nel tempo che era Arcivescovo di Benevento Alessandro de Sangro Patriarca Alessandrino, e quindi tra gli anni 1616 e 1633.
  13. Lo stesso che porta pensola, dalla saracinesca che pendeva in alto della porta quando era aperta. Ancora esistono, come vedremo, le cavità della saracinesca.
  14. Vedremo in appresso perchè in processo di tempo non si entrava più al Castello per questa porta.
  15. Vedi pag. 290 di quest’opera. Del detto Leone ci occuperemo appresso, in ultimo di questo Capo.
  16. Con le demolizioni e gli scavi che di quì a poco dovranno praticarsi in questa località per la costruzione del nuovo Palazzo di Prefettura questi fatti potranno ancora meglio esser chiariti.
  17. Nelle Puglie, op. cit. pag. 76.
  18. Pag. 243 a 246 di quest’opera.
  19. Vedi pag. 232 di quest’opera.
  20. Memorie storiche (inedite) della città di Benevento, lib. II. pag. 249.
  21. Luogo ultimo citato e pag. 105.
  22. Chronicon Beneventani Monasterii S. Sophiae, ecc. — Ughelli, Italia Sacra, Tom. X. 437-438.
  23. Questo vano era murato sino all’anno decorso, in cui l’autore di quest’opera lo fece riaprire.
  24. Fu fatta riaprire dall’autore di quest’opera.
  25. Come ricavasi da una descrizione manoscritta di quel tremuoto, contenuta nel volume Miscellanea della Biblioteca Arcivescovile di Benevento. È intitolata: Effemeride del nono orribil tremuoto accaduto nella città di Benevento martedì 14 Marzo 1702, descritto dal Sig. Domenico Ant. Parrino, etc.
  26. Borgia, op. cit. parte II. pag. 198 e 199.
  27.  Id. id. id. pag. 197.
  28. Per ragione dei mutati livelli della strada non ho potuto rispettare nei restauri del Castello l’antico pianterreno; ma questi sedili sono rimasti intatti però a livello del pavimento.