I drammi della schiavitù/13. La perdita della Guadiana

13. La perdita della Guadiana

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XIII.


La perdita della “Guadiana”.


Avvenuto l’incontro, le due navi furono subito violentemente separate dalle onde, che si rovesciarono con impeto irresistibile entro gli angoli da essa formate: la Guadiana, sbarazzato lo sperone, fu respinta verso il sud, mentre il transatlantico, che si era tosto rovesciato sul fianco squarciato, veniva ributtato verso il nord. Fra i fischi del vento, i muggiti delle onde, echeggiavano su entrambe le navi urla disperate. L’equipaggio della Guadiana, credendo che la prua si fosse aperta in quel secondo urto e che l’acqua invadesse già la stiva, si era precipitato addosso alle imbarcazioni senza pensare al transatlantico, mentre i cinquecento negri, svegliati di soprassalto da quell’urto formidabile, empivano il frapponte di clamori selvaggi, credendo che la nave si fosse spezzata contro una scogliera.

Il bretone, che pareva avesse perduto la sua audacia ed il suo sangue freddo, non aveva nemmeno tentato di opporsi che l’equipaggio s’impadronisse delle scialuppe, ma il dottore, Hurtado e Vasco, si erano gettati fra i marinai, cercando di respingerli e di calmarli. La Guadiana non affondava ancora; andava invece [p. 97 modifica]L’aveva preso fra le robuste braccia, e malgrado le scosse furiose che subiva la nave... (Pag. 99) [p. 99 modifica] attraverso le onde e correva il pericolo di rovesciarsi sul tribordo, se nessuno s’impadroniva della ribolla del timone che era stata abbandonata. Urgeva manovrare le vele, che il ventaccio sbatteva in tutte le direzioni, compromettendo la stabilità della nave, invece di cercare la salvezza sulle imbarcazioni che non avrebbero potuto lottare con quelle enormi ondate che correvano all’impazzata sull’Atlantico, urtandosi e sfasciandosi con formidabili muggiti.

Ma nè le preghiere, nè le minacce, nè la forza dell’erculeo Hurtado, nè la paura di vedere rovesciarsi da un istante all’altro la Guadiana, nè le urla strazianti dei cinquecento negri, che chiamavano disperatamente aiuto, nè le grida di soccorso dell’equipaggio dell’affondante transatlantico, che a poco a poco le onde inghiottivano, calmavano i negrieri che parevano tutti impazziti per lo spavento.

D’improvviso a poppa si udì una voce tuonare:

– Cosa succede qui? Ai vostri posti o vi faccio mitragliare!

Era la voce del capitano Alvaez. Svegliato di soprassalto da quel terribile urto e dai clamori assordanti dei negri e dei due equipaggi, aveva subito compreso che qualche disastro era avvenuto.

Senza badare alla propria ferita ed al pericolo a cui esponevasi affrontando in quello stato l’uragano che infuriava al di fuori, si era gettato giù dal letto e aveva ordinato al gigantesco Niombo, che vegliava assieme a Seghira, di portarlo in coperta.

Il negro non si era fatto ripetere l’ordine due volte; l’aveva preso fra le robuste braccia, e malgrado le scosse furiose che subiva la nave, l’aveva portato sul cassero colla stessa facilità come se tenesse un fanciullo.

Bastò un solo sguardo, ad Alvaez, per comprendere ciò che era avvenuto e cosa stava per succedere.

L’equipaggio, udendo tuonare la voce del proprio capitano dall’alto del cassero mentre lo credeva quasi moribondo e sapendo per prova che era tale uomo da effettuare la minaccia, dopo una breve esitazione abbandonò precipitosamente le scialuppe. Per quei marinai, il negriero era più terribile della burrasca e più tremendo del naufragio.

– Cosa succede qui? – ripetè Alvaez, con tono minaccioso.

Esteban si slanciò verso di lui, seguìto da Hurtado.

– Abbiamo investito un transatlantico, Alvaez – disse il dottore.

– Affondiamo? [p. 100 modifica]

– Non ancora, Capitano – rispose Hurtado.

– Ed il mio equipaggio si preparava a fuggire! Vili! Abbandonare i disgraziati che avete speronati! Dov’è Kardec?

– Eccomi, signore – rispose il bretone, avanzandosi confuso e pallido come un morto.

– Voi signore, cosa fate? – riprese il capitano con violenza, che tradiva un odio profondo contro quell’uomo. – Siete diventato una femmina? Non siete più capace di comandare ai vostri marinai? Date l’ordine di virare di bordo e si cerchi di salvare i disgraziati, che stanno per essere inghiottiti dall’Atlantico.

– Ma... signore!...

– Basta! qui comando io! Ai vostri posti di manovra o vi faccio scaricare addosso tutta la mitraglia dei due pezzi da caccia!

– Ritirati, Alvaez – disse il dottore. – Tu vuoi riaprire la ferita e rovinarti per sempre.

– Guarirà più tardi, Esteban.

In quell’istante, un’onda immensa si rovesciò sulla poppa della Guardiana e superati i bordi irruppe in coperta, spazzandola con impeto irresistibile da prua a poppa e tutto atterrando sul suo passaggio. Niombo, Seghira, Esteban, Alvaez e i marinai furono rovesciati di colpo. Quando l’onda scomparve rimbalzando sulle murate di prua, si vide il capitano addossato contro l’albero di maistra, raggomitolato su se stesso e svenuto.

– Presto, nella cabina, Niombo! – esclamò Esteban, rivolgendosi verso il negro, che aveva risollevato il capitano.

– È morto? – chiese Seghira, pallida come un cencio lavato.

– No, – rispose il dottore, – ma forse quest’ondata ha riaperta la ferita. Seguitemi!

Mentre scendevano nella cabina, l’equipaggio si slanciava ai bracci delle manovre, per ricondurre la Guadiana verso il transatlantico, che faceva segnali di soccorso sparando colpi di fucile e accendendo razzi.

Malgrado la violenza del vento e delle montagne di acqua che l’assalivano con crescente furore, la Guadiana virò di bordo e si diresse verso la nave affondante, che era lontana tre o quattro gomene.

Il transatlantico, colpito mortalmente dall’acuto sperone della nave negriera, che gli aveva sfondato un fianco aprendogli una falla larga quanto un portone, si era ormai rovesciato sul tribordo e non poteva più risollevarsi. Le onde si precipitavano attraverso [p. 101 modifica] all’enorme spaccatura col fragore del tuono e lo trascinavano negli immensi baratri dell’oceano.

Al chiarore dei lampi, che rompevano quasi senza tregua le tenebre, si vedeva correre sul ponte del disgraziato legno una folla di persone che pareva impazzita dal terrore. Urla terribili si alzavano di tratto in tratto fra quell’ammasso di gente, comandi, imprecazioni, invocazioni disperate, pianti, chiamate: erano voci di uomini, di donne e di fanciulli. Senza dubbio il transatlantico era carico di emigranti.

Attorno alle imbarcazioni del legno ferveva una lotta terribile. Si vedevano i marinai respingere quella folla terrorizzata, che impediva qualsiasi manovra; si vedevano uomini sospingere a pugni le donne che si rovesciavano addosso alle murate e di quando in quando si udivano perfino degli spari d’armi da fuoco! Forse erano il capitano e gli ufficiali, che sparavano sui loro uomini, i quali ormai cercavano di salvarsi senza occuparsi delle donne e dei fanciulli.

I negrieri facevano sforzi disperati per accostarsi, ma l’uragano, che cresceva ad ogni istante e che avventava proprio in viso a loro montagne d’acqua respingendo la Guadiana, ritardava il soccorso.

Tuttavia la loro nave era giunta a due sole gomene, quando una raffica furiosa fece scoppiare la vela di gabbia e quella di parrocchetto.

– Sono perduti! – esclamò Hurtado, strappandosi i capelli. – Giungeremo troppo tardi!...

Infatti la Guadiana impotente a far fronte alla tempesta, veniva ancora respinta verso il sud. Kardec fece sciogliere rapidamente le vele di pappafico, ma ormai era troppo tardi.

Il transatlantico trascinato dal peso dell’acqua, che ormai aveva invasa tutta la stiva, affondava a vista d’occhio fra le spumanti onde, le quali parevano fossero ansiose d’inghiottire la preda colossale.

L’acqua saliva, saliva: ben presto giunse alle murate e si rovesciò furiosamente sulla tolda, spazzando via uomini, donne e fanciulli. Due scialuppe cariche di persone presero il largo, ma furono travolte dalle onde e sparvero fra i muggenti flutti assieme a tutti coloro che le montavano; un’altra fu sfracellata contro i fianchi della nave.

Le urla dei naufraghi i quali ormai si vedevano condannati a morire, raggiunsero in quel supremo istante una tale intensità, da far raddrizzare i capelli ai marinai meno sensibili della Guadiana. [p. 102 modifica]

Ad un tratto la grande nave oscillò fortemente da prua a poppa scuotendo gli alberi e s’immerse formando un gorgo gigantesco. Sotto le onde si udivano ancora echeggiare lugubremente le urla soffocate degli emigranti che le acque affogavano; al chiaror dei lampi furono ancora scorti gli alberi, che erano carichi di persone, poi tutto scomparve negli immensi baratri dell’Atlantico!...

– È finita! – esclamò mastro Hurtado, con voce commossa. – Noi siamo maledetti!...

– Si gettino i salvagente! – gridò Kardec.

Casse, pezzi di legname, anelli di sughero, corde, furono gettate in mare colla speranza di salvare qualche superstite, si spararono colpi di fucile e razzi, ma nessuna voce umana rispose e nessun naufrago fu veduto dibattersi fra le onde.

Il gigantesco gorgo scavato dalla gran nave, li aveva tutti inghiottiti.

Non volendo però abbandonare quei paraggi senza essere certi che nessun naufrago ancora galleggiasse, l’equipaggio continuava a lottare contro l’uragano per ricondurre la Guadiana sul luogo del tremendo disastro. Già stava per giungervi, quando a prua s’alzò una voce terribile, angosciosa.

– Affondiamo!... La prua è spaccata!...

L’equipaggio intero, con Kardec alla testa, si precipitò verso quella parte. Vasco, pallido, coi capelli irti, stava aggrappato alla scotta del contro-floc, additando la prua che mostrava una larga fenditura alla congiunzione del fasciame collo sperone, un po’ sopra la linea di galleggiamento.

– Siamo perduti! – esclamarono alcuni uomini.

– Si salvi chi può!

– Alle scialuppe!...

– Guai chi le tocca! – urlò Hurtado, impugnando una scure che trovò sotto mano. – Signor Kardec!...

– Cosa volete, mastro!

– Scendiamo nella stiva. Forse la fenditura si può ancora turare.

– Temo il contrario, mastro – disse il bretone con aria tetra. – Per la Guadiana è finita.

– Permettetemi di dubitare. A me carpentieri, e voi altri andate ad avvertire il signor Esteban.

– Volete far chiudere l’apertura da lui? – chiese il bretone, con voce ironica. [p. 103 modifica]

– Non ho questa pretesa, signor Kardec – rispose con tono acro Hurtado. – Egli darà gli ordini del capitano.

– Ed io cosa sono qui?...

– Eh signore, se non volete salvare la Guadiana, la salveremo noi!... Vasco, sul cassero voi e preparatevi a fulminare questa gente, se tenta di lasciare la nave.

– Mastro Hurtado! – gridò il bretone, con voce minacciosa. – Sono il secondo di bordo!...

– Mi farete mettere ai ferri più tardi, signore, se il capitano morrà. Finchè vive, io sono il mastro della Guadiana.

Poi senza attendere altro si slanciò nella camera di prua portando con sè un fanale e tirandosi dietro, con un gesto che non ammetteva replica, i due carpentieri di bordo e una mezza dozzina di marinai.

Passò nella batteria proviera, poi scese nella stiva. Giunto presso l’asta di prua, s’arrestò udendo l’acqua precipitare nella cala con sordi muggiti.

– Temo che sia cosa grave – mormorò, tergendosi il freddo sudore, che bagnavagli la fronte. – Questo viaggio ci sarà fatale.

S’avanzò con precauzione e si trovò dinanzi ad una larga fenditura, aperta sul babordo dello sperone, lunga quasi due metri. Le onde, urtandovi contro, vi lanciavano dentro degli sprazzi enormi, che correvano sotto la camera di prora, precipitando nella stiva come una cateratta.

– È grave? – chiese Hurtado.

– Sì – risposero i carpentieri.

– Sperate di turarla?

– Con questa tempesta?

– Bisogna tentarlo, Balboa – disse il mastro, volgendosi verso il capo carpentiere. – Se non la turate, le onde l’allargheranno e la nave colerà a fondo come il transatlantico.

– Ma l’urto dell’acqua non ci permetterà di inchiodare alcuna lamina.

– Turatela per ora con dei materassi e accumulatevi dietro delle botti piene di zavorra. Quando la tempesta si calmerà, provvederete meglio.

– Non perdiamo tempo – disse Balboa. – Ogni minuto che passa è una tormenta d’acqua che entra nella stiva. Farete bene, mastro, a far preparare le pompe.

– Lo farò – disse Hurtado. – Al lavoro, amici, o la Guadiana colerà a fondo.

Quando risalì in coperta, Esteban, che era stato prontamente [p. 104 modifica] avvertito del grave pericolo che correva la nave, stava uscendo dal quadro di poppa.

– E dunque? – chiese, muovendo incontro al mastro.

– È cosa grave, dottore.

– Corriamo pericolo di affondare?

– No, per ora, ma se la tempesta non cessa, non so se domani la Guadiana galleggerà ancora. E il capitano?

– È svenuto, ma spero che tornerà in sè presto.

– Si è riaperta la ferita?

– Sì, Hurtado. Se continua a commettere tali imprudenze, Alvaez si ucciderà, malgrado le mie cure. Dov’è Kardec?

– Sul ponte di comando.

– Sta bene, ma domani gli farò levare il comando. So tutto!... Veglia su di lui, io ritorno presso Alvaez.

Intanto la burrasca continuava a scatenarsi con furore crescente. Alla notte tenebrosa era succeduta una notte di fuoco: lampi abbaglianti fendevano le masse di vapori, accecando l’equipaggio ed i tuoni rumoreggiavano nelle profondità della volta celeste con crescente fracasso.

Il vento ormai scatenato ruggiva su tutti i toni, investendo le vele che minacciavano di scoppiare e le onde ingigantivano rovesciandosi furiosamente sulla povera nave, spazzandola da prua a poppa, da babordo a tribordo, tutto atterrando sul loro passaggio.

Vi erano certi momenti che si rovesciavano sulla tolda tali masse di acqua, da non sapere se la nave galleggiava ancora o fosse per immergersi.

Fra i ruggiti della tempesta, s’udivano le urla dei negri i quali rotolavano confusamente nel frapponte urtandosi, sbattuti in tutte le direzioni da quelle scosse potenti. Di quando in quando quelle urla diventavano così selvagge, che sembravano ruggiti di leoni. Le sentinelle, spaventate, avevano disertato il frapponte per tema di venire fatte a brani da tutti quegli uomini che la paura rendeva furiosi e il graticolato era stato abbassato per impedire alle donne e ai ragazzi, che non erano meno esaltati degli altri, d’invadere la coperta.

Alle due del mattino, quando i carpentieri erano riusciti, dopo una lotta di quasi due ore, ad acciecare la falla di prua con materassi rinforzati e trattenuti da casse e da botti piene di zavorra, una raffica strappò il floc e il contro-floc e fece scoppiare le vele di maestra, di gabbia e di parrocchetto. La scossa fu tale, che gli [p. 105 modifica] alberi si piegarono come se fossero stuzzicadenti e tre pennoni rovinarono in coperta storpiando due marinai.

La Guadiana, priva quasi di vele, si rovesciò sul tribordo, imbarcando un’onda immensa. I cannoni, rotti i freni, si precipitarono con cupo rimbombo addosso alle pareti, sfondando gli sportelli delle batterie e alcuni madieri. Quasi contemporaneamente fra i muggiti delle onde, i fischi tremendi del vento, i tuoni delle folgori e le urla feroci dei negri pazzi di terrore, si udì alzarsi da prua una voce e quella voce aveva gridato:

– La falla si è riaperta: andiamo a picco!...