I confini necessari all'Italia/La storia del confine nord-orientale

La storia del confine nord-orientale

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I confini necessari La magnifica posizione dell'Austria verso di noi

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La storia del confine nord-orientale

Per comprendere bene che significato abbia l’assurda nostra frontiera con l’Austria è utile ricordare che ogni volta esistette un forte stato italiano i suoi confini furono sempre i naturali, cioè allo spartiacque alpino. Roma arrivava alle Alpi. Trentino, Friuli, Istria facevano parte della regione italiana. Dopo il disfacimento dell’impero romano il Regno d’Italia di Odoacre, dei goti, dei longobardi, dei franchi, degl’imperatori e re sassoni e svevi, termina costantemente alle Alpi. Trento, Bressanone, Bolzano, Val Venosta, il Friuli orientale fino all’alta valle dell’Isonzo vi sono inclusi. Trieste, l’Istria, la Dalmazia (con la Venezia lagunare) sono parte della prefettura italiana dell’Impero d’Oriente, la quale comprende pure l’antica Japidia romana, distinta dal Norico (attuale Carniola, Carinzia e parte della Stiria), cioè la Carsia o provincia di Postumia (Postoina, Adelsberg) che s’estende, come vedremo, tra la principale diramazione dell’Alpi Giulie fino al Quarnero e la catena dei Vena limitante l’Istria storica. Trieste, Istria e anche le isole venete sono [p. 11 modifica]terre di continua contesa tra i re d’Italia e gl’imperatori di Bisanzio: fra i due colossi litiganti nasce, primo in Italia, il libero comune triestino e istriano, contemporaneo circa a quello tridentino. Trento è città libera fino al XIV, come Trieste. Il comune di Venezia s’allea in varie forme di soggezione coi comuni istriani.

Ma, come all’ombra di Bisanzio nasce Venezia e gli altri comuni adriatici, così favorito dagl’imperatori si sviluppa il signore feudale. E sono questi signorotti feudali che con illegittimi patti di successione cedono alla famiglia dei duchi austriaci prima l’Istria interna, poi il Trentino e il Friuli orientale. Venezia, che avrebbe dovuto possedere di diritto queste terre, protesta e ricorre alle armi, continuamente. Ma stretta da ogni parte da nemici, deve rinunciare finalmente nel secolo XV e XVI a questi suoi importantissimi territori di confine. Cosicchè l’Austria è padrona dei nostri valichi orientali.


Epoca napoleonica.

Venezia non contava più: e quando Napoleone scese in Italia essa non seppe che proclamarsi neutrale. Tuttavia, per l’identica ragione e l’identico diritto per cui ora la Germania ha invaso il Belgio, l’Austria invade il territorio veneto fino al Tagliamento dove ha luogo la prima battaglia.

Napoleone vince ed avanza; e minacciando da Leoben Vienna, costringe l’imperatore austriaco alla pace di Campoformio (7 ottobre 1797). [p. 12 modifica]

Il concetto informatore del trattato è chiaro: Napoleone spera di poter avere alleato lo stato austriaco costringendo gli Absburgo a considerarsi più signori di Austria che imperatori di Germania, e assicurare con ciò alla Francia la sua unica vera linea di difesa, il Reno, e le due provincie strategiche da dove la Francia può essere girata: il Belgio e il Milanese col Mantovano. In cambio di ciò l’Austria ottiene tutta la Venezia terrestre e marittima: dall’Isonzo all’Adige (con Grado e Monfalcone), l’Istria e la Dalmazia. L’importanza del trattato di Campoformio è anche per noi grandissima: l’Austria congiunge i suoi domini italiani con le provincie slave e tedesche e si fa uno stato accentrato; s’accosta — come già vide il Cantù — ancor di più alla Turchia, pronta a compartecipare al suo smembramento. E’ l’antico sogno di Giuseppe II realizzato. E, benchè la Francia arrivi al mare tra il Po e Rimini, l’Adriatico è ormai dell’Austria. Però bisogna ricordare che per l’art. XI del trattato (confermato poi a Luneville, art. XIV) essa era obbligata a non tenere una flotta da guerra. Con ciò neutralizzava l’Adriatico.

Le autorità austriache presero possesso del Friuli veneto il 9 gennaio 1798, e benché le due parti del Friuli fossero ormai d’un solo stato, l’antico confine a destra dell’Isonzo si perpetuò come divisione amministrativa.

La pace di Luneville (9 febbraio 1801) non segna nessun mutamento per le nostre provincie, se non che i principati ormai semidipendenti di Trento e di Bressanone sono secolarizzati e dati all’Austria. Dopo Austerlitz Napoleone, avendo già compreso dalla esperienza delle tre campagne che uno stato italiano non poteva reggersi [p. 13 modifica]senza i confini naturali, voleva portare la linea dell’Adige all’Alpi Giulie. Però nella pace di Presburgo (26 dicembre 1805) s’accontenta di riprendere all’Austria tutta la Venezia terraferma (con Grado e Monfalcone), l’Istria e la Dalmazia, che fu aggregata il 1º maggio 1806 al regno italico. L’Austria continua a tenere i soliti territori al di qua dell’Isonzo. Il Trentino poi, col Tirolo, è dato alla fedele alleata Baviera, meno un piccolo tratto intorno al lago di Garda che Napoleone credeva mediocremente sufficiente alla difesa del Regno.

Ma Napoleone s’accorse subito che il Garda non bastava affatto alla sicurezza d’Italia, che restava affidata alla buona volontà della Baviera; come vide che i distretti posseduti dall’Austria alla destra dell’Isonzo creavano troppe difficoltà amministrative. Perciò col trattato di Monaco del 25 maggio 1806 egli cedeva al re Massimiliano il piccolo territorio riservatosi, imponendogli però l’obbligo formale «di non costruire mai alcuna fortificazione e di non formare nè magazzini di guerra nè concentramenti di truppe nel territorio situato a sud», e per 500 tese anche al nord, di una linea militare che partendo dal Picco dei Tre Signori (Tonale compreso) passando per Dimaro, Tione, Arco, Rovereto, Mattarello, Vigolo, Levico, Borgo di Valsugana e Grigno andava a terminare a Primolano sulla frontiera italiana. In questo modo, come già l’Adriatico, tutto il Trentino meridionale era neutralizzato.

La convenzione di Fontainebleau del 10 ottobre 1807, addizionale al trattato di Presburgo, risolveva la questione dei confini dell’Isonzo. Monfalcone (alla sua sinistra) era ceduto dal re d’Italia all’Austria, la quale in cambio dava quasi tutti i suoi territori alla destra del fiume. Le [p. 14 modifica]restavano il Predile, Plezzo e Caporetto. L’isola Morosini, fra i due bracci della foce, rimase al regno italico. Ma una clausola, molto importante, integrava la convenzione. Secondo l’art. IV Napoleone aveva diritto di costruire «una via militare per congiungere le provincie del Regno italico sulla riva destra dell’Isonzo con l’Istria e la Dalmazia». E questa strada determinata in un annesso della convenzione fu quella che traversando il Goriziano, l’Istria austriaca e la Croazia unisce Monfalcone per Materia, Lippa, Draga, Zengg, Perosic con Vrillo. Con ciò egli veniva a possedere di fatto anche tutta l’Istria interna, ch’egli del resto giudicava necessaria alla difesa della linea dell’Isonzo. (Lettera del vicerè Eugenio al duca di Ragusa del 27 settembre 1806).

A Schoenbrunn gli anni della difesa della Francia e dello stato italiano cuscinetto sono definitivamente superati: Napoleone, rinnovando l’esempio di Roma, vuol minacciare il Danubio dalla Drava e dalla Sava. Il 14 ottobre 1809 segna la riaffermazione dell’imperialismo romano oltre i confini naturali della penisola.

L’Austria avrebbe voluto conservare Trieste e Fiume (con il territorio di congiunzione di Pisino), perchè sbocchi necessari al commercio suo e dell’Ungheria. Napoleone non le bada. Prende per sé, oltre che Gorizia, Trieste, Pisino, Fiume, anche il circolo di Villaco in Carinzia, tutta la Carniola al di qua della Sava, tutta la Croazia civile e parte della militare. Aggrega ad esse l’Istria veneta e la Dalmazia, e chiama questo mostruoso complesso le provincie illiriche, dai loro antichi abitatori preromani. L’Isonzo n’è il confine occidentale.

Napoleone inventò questo aggregato anche perchè la [p. 15 modifica]ricchezza dell’Istria potesse somministrare i viveri e i denari necessari alle povere provincie militari di confine. E forse sperava anche che il regno illirico avrebbe potuto più tardi estendersi con nuovi territori conquistati alla Turchia. Ma con tutto ciò egli considerava la frontiera dell’Isonzo (contro cui il vicerè Eugenio aveva umilmente protestato) del tutto provvisoria. Non era una vera separazione del regno italiano (Thiers, XXVIII) ma, secondo le sue stesse parole «ordinamento inteso a completare il possesso del Friuli». Tant’è vero che l’Istria fu considerata unita al Regno d’Italia in molteplici leggi comuni e per alcuni rami importantissimi dell’amministrazione (leve dei marinai, saline e boschi). Le provincie illiriche erano sette (coi nomi già esistenti). La provincia d’Istria (da Pola all’Isonzo, cioè comprendeva anche Gorizia e Monfalcone), aveva Trieste per capoluogo.

Il regno d’Italia, stretto tra l’Isonzo e la Sesia (Piemonte e Parmigiano erano inclusi nell’impero francese), aveva dunque tanto ad oriente che ad occidente confini convenzionali, che potevano sussistere soltanto finchè l’impero francese isolasse, da tutte le parti, direttamente o indirettamente il piccolo stato. Pure al nord, benchè la Baviera continuasse a esser fedele, Napoleone non potè ammettere più a lungo la minaccia del Trentino in mano altrui. Col trattato di Parigi del 28 febbraio 1810 egli tolse alla Baviera tutto il Trentino e lo unì all’Italia quale dipartimento dell’Alto Adige. Secondo questo trattato doveva passare all’Italia una popolazione di 280.000-300.000 anime e, in accordo con ciò, le prime disposizioni date al generale Baraguay d’Hilliers fanno ritenere che Napoleone volesse portare la nuova linea di confine fino allo [p. 16 modifica]spartiacque del Brennero e di Dobbiaco (Toblach). Tuttavia più tardi, contro la precisa dichiarazione del principe Eugenio, ch’è citata in testa a questo studio, egli s’accontentò del confine di Vilpiano (sopra Bolzano) e Bressanone, lasciando alla Baviera la valle dell’Isarco (Eisach) abitata dagl’irriducibili tirolesi che s’erano ribellati furiosamente perfino contro la Baviera. Due cose però bisogna avvertire: che Merano, allora, non aveva che una importanza minima non essendo ancora costituita la strada dello Stelvio, e che il Brennero, Franzensfeste e Innsbruck erano in possesso d’un alleato. Tant’è vero che nel 1813, appena si seppe che la Baviera s’era dichiarata ostile agli alleati, il viceré Eugenio abbandona subito le provincie illiriche ritirandosi senza combattimenti dall’Isonzo al Piave, dal Piave all’Adige.

Il 1866.

E’ la riscossa degli alleati: e il Congresso di Vienna consegna all’Austria non soltanto tutte le attuali provincie irredente, ma il Veneto e la Lombardia, l’Austria li disgiunge amministrativamente dal Trentino, dal Friuli orientale e dall’Istria: e il 66 ci dà bensì Venezia, ma senza queste sue necessarie provincie di confine.

Gli uomini politici italiani sostennero sempre, sino dall’epoca delle trattative per l’alleanza italo-prussiana che sotto il nome di Venezia s’intendeva tutta la Venezia compreso il Trentino e l’Istria. Difatti anche dopo Custoza, quando Napoleone III ci propose sempre più [p. 17 modifica]minacciosamente l’armistizio con l’Austria sulla base della cessione del Veneto e Cialdini occupata Padova e Vicenza avanzava con 150.000 uomini a marcie forzate verso la Carniola, mentre Garibaldi e Medici tenevano le valli meridionali del Trentino, Visconti Venosta, ministro degli esteri, mandava il 29 luglio una nota al Nigra, nostro ambasciatore a Parigi, invitandolo ad agire perchè la Francia ottenesse dall’Austria l’apertura di negoziati diretti per la pace, e scriveva che «l’oggetto forse più rilevante dei negoziati attuali è la questione della rettificazione dei confini del Veneto, i quali dovrebbero essere portati all’Isonzo e ad una linea che attraversa la valle dell’Adige a sud di Bolzano ad al nord di Trento». Difatti il 30 luglio il Nigra presenta al ministro degli esteri francese una nota verbale molto importante sulla questione del Trentino.

«Consentendo all’armistizio, il governo italiano s’è riservato di trattare nei negoziati di pace la questione delle frontiere. Con questa denominazione il governo italiano farà valere i suoi reclami relativamente al Trentino. Il governo del Re spera che l’Imperatore e il suo governo appoggeranno questa domanda. La riunione del Trentino al regno è essenziale per l’Italia. Questo territorio appartiene alla penisola etnograficamente e geograficamente, storicamente e militarmente».

E, dimostrato che il Trentino tagliato fuori dall’Italia non avrebbe sbocchi commerciali e che, in mano dell’Italia, non potrebbe essere una minaccia militare per l’Austria, la nota chiudeva:

«Infine l’Austria, padrona del Trentino minaccia ad un tempo la Venezia, Brescia e Milano, e si mantiene [p. 18 modifica]sul lago di Garda... Questa questione è dunque estremamente importante. Dalla maniera con cui sarà risolta dipenderà in gran parte lo stabilirsi di rapporti definitivamente amichevoli fra l’Italia e l'Austria».

Il governo francese rispose che avrebbe appoggiato la proposta, ma che non ne prendeva impegno formale. Il Nigra però insistette direttamente a Vienna per mezzo del Menabrea, plenipotenziario per le trattative di pace. Difatti egli in una lunga nota del 2 ottobre riferisce le pratiche fatte a questo proposito e gli argomenti usati.

L’Austria per assicurarsi il Trentino — argomentò il Menabrea — deve erigervi delle grandi fortificazioni, le quali sarebbero state «una minaccia per l’Italia più che un elemento di difesa». Invece «l’Austria, rinunziandovi, non avrebbe fatto che sloggiare da una posizione avanzata al di là delle sue linee naturali di difesa che avrebbero continuato ad appartenerle intere; l'Italia avrebbe considerato la riunione del Trentino come il complemento della sua difesa legittima da questa parte, difesa sinora incompleta». E la dimostrazione storica n’è che nel 1806 Napoleone obbligò la Baviera a creare una zona neutra nel Trentino. Così il Menabrea ricorda che Napoleone volle aver la frontiera dell’Isonzo, come era stata segnata nel trattato di Fontainebleau e ulteriormente modificata nel senso che il Talweg dalla sorgente alla foce ne fosse il cardine definitivo. Con tale confine anzi la Venezia era passata all’Austria nel 1814-15.

Ma tutte queste ragioni furono vane. Al Menabrea che gliene parlava il plenipotenziario austriaco conte Wimpfen rispose nella XI conferenza di non avere istruzioni. Poi, nella XII conferenza, dichiarò che il suo governo [p. 19 modifica]non acconsentiva a ulteriori rettifiche. E il trattato di pace stabiliva all’art. 4 che «la frontière du territoire cédé est detérminée par les confins administratifs actuels du royaume lombard-vénitien».

Eppure perfino Bismarck — ciò che pochissimi sanno — aveva riconosciuti i diritti dell’Italia non soltanto sul Trentino, ma anche sull’Istria. Difatti il generale Govone, inviato militare-politico a Berlino, riferisce il 28 luglio 1866 al ministro degli Esteri Visconti-Venosta:

«Il conte Bismarck comprende i motivi che spingono il governo italiano a reclamare il Tirolo e le altre provincie italiane; ma è d’avviso di riservare questa questione per più tardi. Aggiunse che, se le ostilità dovessero ricominciare, sarebbe molto lieto di vederci occupare la più vasta estensione possibile di territorio austriaco; e, avendogli domandato se, in questo caso, sarebbe disposto di modificare ed estendere la portata del nostro trattato aggiungendo dopo la parola «Venezia» le parole «Trentino ed Istria» che citai incidentemente, mi rispose di sì e mi autorizzò, dietro domanda che gli mossi, di dichiararlo ufficialmente a Vostra Eccellenza e di dirle che allora verrebbe aggiunto un articolo addizionale al nostro trattato».