I cacciatori di foche della baia di Baffin/6. L'urto della balena
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CAPITOLO VI.
L'urto della balena.
Mastro Tyndhall ed i suoi marinai li avevano subito riconosciuti. Erano quattro delfini gladiatori, cetacei ferocissimi, voracissimi, dotati d’una forza muscolare così potente, da trascinare perfino le più grosse barche, quando vengono presi cogli arpioni.
Questi mostri, al pari dei capidogli, nutrono un odio spietato verso le balene. Sapendo di non aver nulla da temere, poichè, come si disse, le balene non hanno denti per difendersi, le assalgono con grande furore e le tormentano senza posa. Non potendo intaccare la pelle liscia e troppo rotonda di quei colossi, aspettano il momento che aprano la bocca e allora vi si cacciano dentro lestamente per mangiare a loro la lingua!... È un bel boccone però, per quei cetacei voracissimi, essendo quella lingua lunga otto metri, larga tre e delicata.
La povera balena doveva averne perduta una parte, perchè i marinai della scialuppa vedevano ormai distintamente il sangue colare in grande copia attraverso i fanoni.
Impotente a difendersi, spaventata, pazza di dolore, cercava di sottrarsi ai morsi dei nemici, assalendo l’istmo di ghiaccio per guadagnare il mare libero.
Avrebbe potuto tuffarsi e passarlo per di sotto, ma forse temeva di venir attaccata con maggior furia dai suoi implacabili nemici, o di essere costretta ad aprire la bocca al suo ritorno alla superficie, per rinnovare la sua provvista d’aria. Fors’anche sperava, sfasciando i ghiacci, di ferire i persecutori o di spaventarli.
– Mastro, disse Charchot, a cui rincresceva la disgraziata fine dello sfortunato cetaceo. Mandate un po’ di piombo a quei brutti ghiottoni.
– No, rispose Tyndhall.
– Volete forse impadronirvi del grasso del cetaceo?
– Non saprei dove metterlo e poi perderei troppo tempo.
– Volete che i delfini lo uccidano? Quel colosso può essere più utile a qualche baleniere che a quei divoratori crudeli.
– No, ma aspetto che la balena sfondi l’istmo per aprire la via alla nostra barca. Il canale finisce qui e se non si spezza quella barriera, noi non potremo guadagnare la Terra di Baffin.
– È vero, dissero i marinai. È una fortuna aver incontrata questa balena alle prese coi delfini.
Intanto il cetaceo raddoppiava i suoi urti contro l’istmo, ora adoperando il capo ed ora la coda, ma il ghiaccio non si spezzava che a poco a poco. Doveva avere uno spessore enorme, per resistere a quella massa scagliata innanzi colla velocità di un treno diretto.
Ad un tratto la balena, con uno slancio poderoso uscì più di mezza fuori dall’acqua e si lasciò cadere sull’istmo. Nulla poteva reggere a quella massa che pesava una settantina di tonnellate.
La barriera, fracassata di colpo, si spezzò con uno scricchiolìo prolungato, poi crepitò in tutte le direzioni e finalmente s’inabissò lasciando il passo alle onde della baia.
Il cetaceo, ricaduto nel suo elemento naturale, lanciò un’ultima e più acuta nota, poi si precipitò innanzi e sparve verso il nord, lasciando dietro una scia gorgogliante.
– Il passo è aperto, disse il mastro. Alla Shannon, ragazzi miei, e approfittiamo di questa fortuna prima che i ghiacci tornino a riunirsi.
– Ed i delfini? chiese Charchot.
– Credo che se ne siano andati. Non possono lottare colle pinne delle balene. Giù i remi e date dentro a tutta forza.
La baleniera virò sul posto e si ricacciò nel canale filando come una rondine marina, ed un’ora dopo si trovava nelle acque della Shannon.
Fu tosto issata a bordo onde i ghiacci non la guastassero, le vele furono spiegate e la Shannon prese rapidamente il largo costeggiando il pack.
L’entrata nel canale ed il passaggio sotto il castello galleggiante, non costarono fatiche di sorta, essendo l’acqua sgombra di ghiaccio e la vôlta del ghiaccione tanto alta, da permettere il passaggio anche all’alberatura d’una grande nave.
Essendo il vento favorevolissimo, soffiando costantemente al nord-est, la Shannon giunse in breve presso il luogo ove esisteva l’istmo. I frammenti della barriera non si erano ancora cementati, ma si erano riuniti e un ritardo di poche ore sarebbe bastato per non ritrovare più il passo libero.
Con poche speronate la Shannon si fece largo e alle 11 volgeva la poppa al grande banco, navigando sulle libere acque della baia di Baffin.
A meno di sei miglia si disegnavano le alte sponde della penisola di Cumberland, capricciosamente frastagliate da profondi fiords e difese da un grande numero d’isole e d’isolotti.
Fra il banco e la costa, il mare era quasi completamente libero tendendo i ghiacci a mantenersi piuttosto al largo dalle terre, forse in causa dei venti che soffiano ordinariamente dalla parte dei continenti e fors’anche in causa delle contro-ondate e delle forti risacche.
– Finalmente! esclamò mastro Tyndhall, che era raggiante. Questa grande baia, ritenuta impraticabile dopo il settembre, l’abbiamo attraversata. Se Dio ci protegge, dalle coste di Cumberland allo stretto di Lancaster non sarà che una passeggiata.
– Ma sotto la costa vedo dei ghiacci, mastro, disse Mac-Chanty, che gli stava presso.
– Sono ice-bergs e banchi vomitati dai ghiacciai e non si staccheranno tanto presto dalle spiagge.
– Dove approderemo?
– Alla baia di Home, che ci sta proprio di fronte.
E sarà là che cominceremo le ricerche?
– Sì, Mac Chanty.
– Sperate di trovare la nave?
– Se non la nave, almeno i rottami od i naufraghi.
– E fino dove andremo?
– Fino all’isola di Devon e là sverneremo per riprendere poi le ricerche lungo il canale di Lancaster. Sono deciso a recarmi, se sarà necessario e se i ghiacci non mi stritoleranno la Shannon, fino al mare di Melville esplorando le coste di Boothia, di Sommerset, della terra di Cockburn, del Principe di Galles e anche le isole Melville e di Bathurst.
– Ma come ritorneremo poi? Perderemo la buona stagione in tante ricerche e correremo il rischio di trovare, nella ritirata, tutti i canali chiusi dai ghiacci.
– Bah!... Cosa importa a me svernare due volte?
– Ma i viveri?
– Ne troveremo presso gli accampamenti dei pescatori di foche della baia di Fox, poichè io non ho intenzione di passare un secondo inverno in latitudini così alte. Appena cominceranno i primi geli, io mi affretterò a scendere attraverso i canali di Fury e di Ecla.
Mentre chiacchieravano sui futuri progetti, la Shannon correva verso la costa, speronando dei piccoli ghiacciuoli appena formatisi e che le contro-ondate spingevano al largo.
Muoveva diritta verso una vasta insenatura cosparsa d’isolotti e difesa da una lunga penisola che s’incurvava verso il sud, formando parecchi fiords assai profondi.
Tutta quella costa era alta assai e cadeva a picco.
Non si vedeva alcuna pianta, nè un pino, nè un abete, nè alcun animale appariva sulla candida superficie nevosa. Vi erano invece due grandi ghiacciai incassati fra una doppia fila di altissime rocce e dai quali cadevano, di quando in quando, con immenso fragore, dei blocchi enormi che s’inabissavano nelle acque della baia, sollevando mostruose ondate.
Bande numerosissime di uccelli, delle vere nubi, si alzavano dalle sponde delle isolette e volavano or qua ed or là. Vi erano certi momenti che se ne levavano così tanti, da oscurare l’orizzonte.
– Sono urie, disse mastro Tyndhall a Charchot, che lo interrogava. Cucinate sapientemente con una salsa di acciughe, sono buonissime.
– Ecco una cena guadagnata senza fatica. Con poche scariche se ne possono gettare a terra delle centinaia.
– Ho un po’ di piombo minuto e non lo risparmierò, te lo assicuro. Ohe!... Attenti a virare ed a calare l’áncora.
La Shannon entrava allora nella baia, passando dinanzi ad una mezza dozzina di ice-bergs che si trovavano addossati ad una specie di penisoletta.
Il mastro evitò le isole e gl’isolotti che erano ormai riuniti fra di loro da uno strato di ghiaccio che pareva assai solido, e diresse la barca verso un piccolo seno semi-circolare, dove l’acqua era perfettamente tranquilla.
– Giù le áncore! comandò.
L’áncora mezzana e l’ancorotto scesero, facendo scorrere rumorosamente le catene attraverso le cubie, mentre le vele venivano ammainate in coperta.
Mastro Tyndhall con un rapido sguardo ispezionò le sponde della baia, crollando più volte il capo.
– Bisognerà risalire più al nord, mormorò. Il Polaris deve aver cercato di ritirarsi attraverso lo stretto di Lancaster. Però... chissà!... Se ha naufragato lassù, i suoi marinai dovrebbero aver approdato alla Terra di Baffin per tentare di raggiungere la baia di Hudson. Giacchè rimangono ancora alcune ore di luce, andiamo a dare uno sguardo a questa terra. Ehi!... Charchot, fa’ calare la baleniera se vuoi mangiare delle urie.
La scialuppa fu subito messa in acqua e il mastro vi prese posto assieme a tre compagni. Si era armato di due fucili da caccia a doppia canna e si era munito di parecchie cariche di pallottole.
Le urie non si erano affatto spaventate per la comparsa della piccola nave. Volavano a milioni passando sopra il capo dei marinai, schiamazzando a piena gola, inseguendosi, precipitandosi in acqua o innalzandosi fino sulle più alte coste.
Un grande numero nidificava sugli ice-bergs, assieme a parecchie strolaghe ed a non poche oche bernide.
La scialuppa, abbandonata la nave, filò lungo gli ice-bergs e si diresse verso un punto della costa ove si vedeva una profonda spaccatura, un antico letto di qualche torrente, pel quale si poteva salire.
Mastro Tyndhall e Charchot aprirono il fuoco facendo piovere attorno alla baleniera intere dozzine di uccelli, senza che i superstiti si spaventassero troppo per quelle stragi e quelle fragorose detonazioni.
Bastarono poche scariche per assicurarsi la cena per parecchi giorni.
– Vi sarebbe qui da nutrire, e per parecchie settimane, l’intera popolazione di Discko disse Charchot. Che non conoscano la potenza delle armi da fuoco, questi volatili?
– È probabile rispose Tyndhall. I pochi balenieri che si mostrano su queste spiagge hanno ben altro da fare che di occuparsi delle urie e gli esquimesi che vengono qui a cacciare, durante la buona stagione, non posseggono fucili.
– Mastro Tyndhall, se la continua così, le provviste della Shannon non scemeranno mai.
– È vero, Charchot, senza contare che cibandoci di carne fresca terremo lontano lo scorbuto. Ma la cattiva stagione non tarderà a sopraggiungere colle sue furiose nevicate e allora non troveremo più nè foche, nè morse, nè uccelli.
– Rimangono gli orsi bianchi.
– Ma sono rari, Charchot.
– Qualcuno spero che lo troveremo.
In quell’istante la baleniera urtava contro la spiaggia.
Tyndhall ed il suo compagno presero i fucili, s’armarono di due bastoni colla punta ferrata e balzarono a terra.
La spaccatura, prima notata, si apriva dinanzi a loro. Era un canale profondo, dirupato, pieno di neve e di frammenti di ghiaccio rotolati dall’alto, ma non di difficile salita.
I due cacciatori di foche si misero a salire aiutandosi l’un l’altro, e puntando fortemente i bastoni ferrati. Le sponde di quell’antico letto del torrente erano occupate da miriadi di lumme intente a covare, ma non pensarono a fuggire, limitandosi a protestare contro quella violazione di domicilio con grida discordi.
Sotto alcune rocce riparate dai gelidi venti e che erano rimaste scoperte dalle nevi in causa della loro inclinazione, si vedeva qua e là spuntare ancora timidamente un po’ di vegetazione, ma che non doveva tardare a scomparire. Erano piccole macchie di magri licheni neri chiamati dagli esquimesi zuppe di roccia o trippa di roccia perchè li adoperano per fare una specie di zuppa; piccoli papaveri dai petali d’oro ma che già si ripiegavano sugli steli semi-gelati; delle sassifraghe rosse, bianche o gialle e boschetti di salici ma così piccini che sarebbe bastato un cappello per coprirli!...
Dopo mezz’ora di salita, mastro Tyndhall e Charchot giungevano sull’altipiano da cui potevano spaziare gli sguardi sulla desolata Terra di Baffin.