I cacciatori di foche della baia di Baffin/5. Una lotta mostruosa
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CAPITOLO V.
Una lotta mostruosa.
Mastro Tyndhall, vivamente contrariato da quegli ostacoli che si frapponevano fra la sua piccola nave e la costa che era ormai così vicina, si sfogava in sorde imprecazioni. Era salito sulle griselle e di là spaziava i suoi sguardi su quei vasti campi irradianti una vivida luce biancastra che faceva male agli occhi e cercava di scoprire un canale che gli permettesse di lanciare innanzi la Shannon.
– Siamo adunque proprio fermati, mastro? chiese Charchot.
– Lo temo!... Questi dannati banchi sono così uniti, che pare siano stati spinti appositamente gli uni contro gli altri per sbarrare il passo.
– Ma non c’è nemmeno un canale?
– Ma... forse... chissà!... Vedo laggiù un’apertura, ma non posso distinguere se si prolunga attraverso ai banchi o se si arresta subito.
– Può passarvi la Shannon?
– Mi pare che sia abbastanza larga.
– Allora andiamoci.
– E se il canale più innanzi fosse chiuso?
– Ma qualche ice-berg può tagliarci la ritirata e resteremo presi in trappola. Non è ancora il tempo di lasciarci prendere e il nostro campo di svernamento è lontano ancora.
– E volete rimanere qui in eterno? Al nord ed al sud dei banchi si scorgono delle centinaia di ice-bergs e spero che non avrete l’intenzione di tentare il passaggio fra quelle pericolose montagne galleggianti.
– No, Charchot. Verremmo di certo schiacciati.
– Cosa decidete adunque?
– Di andare a esplorare il canale. Vedo dinanzi a noi un bacino aperto nel banco e che mi sembra riparato. Andiamo ad ancorarci laggiù, poi metteremo in acqua la baleniera.
La Shannon si avvicinò prudentemente al banco per tema di urtare contro qualche punta di ghiaccio subacquea, e si ormeggiò dinanzi ad un ice-berg che dovevasi essere saldato al pack da molto tempo, forse da qualche anno.
Ammainate le vele, i marinai calarono in mare la baleniera, una svelta imbarcazione, leggera ma solida, per poter trascinarla, all’occorrenza, attraverso ai ghiacci e che portava un piccolo alberetto smontabile e una piccola randa.
Mastro Tyndhall e cinque marinai vi presero posto, lasciando a bordo della Shannon solamente Mac-Chanty, non essendovi, pel momento, alcun pericolo in vista.
– Animo, ragazzi disse il mastro. Vogate lungo e forza di braccia. Bisogna far presto o il canale può venire chiuso prima d’aver terminata l’esplorazione. Avanti!...
La baleniera partì guizzando agilmente sulle onde, costeggiando l’immenso banco. Le sponde di quel colosso polare erano tutt’altro che lisce: portavano le tracce degli sforzi poderosi fatti per aprirsi il passo attraverso lo stretto di Smith e delle terribili battaglie sostenute contro gli urti immani degli ice-bergs.
Qua e là aveva delle fenditure profonde cosparse di ghiacciuoli, frammenti di chissà quali altri banchi o di quali montagne galleggianti; più oltre i margini erano diroccati come se avesse subìta una pressione irresistibile e si vedevano, dispersi confusamente, pezzi di colonne, di guglie, di arcate, di cupole, poi altre fenditure, poi altre rovine, ma il grande banco si estendeva infinitamente, saldo ancora, potente, inattaccabile e procedeva verso il sud sgominando sul suo passaggio tutti gli ostacoli, tutto travolgendo colla sua massa enorme.
Quindici minuti dopo, la baleniera giungeva dinanzi al canale prima scoperto dal mastro. Era una profonda insenatura che si allungava attraverso il pack con lunghi serpeggiamenti e che pareva si estendesse per molte miglia. Proprio dinanzi a quella specie di fiord, galleggiava uno smisurato ice-berg, irto di punte, di guglie, di creste merlate, di torricelle e sotto s’apriva una vôlta immensa, sotto la quale avrebbe potuto passare comodamente anche la Shannon.
Quel ghiaccione aveva tutta l’apparenza di un castello galleggiante.
– È la porta del canale disse Charchot. È ben difesa, a quanto pare, questa spaccatura. Che ci siano degli alabardieri dietro quei merli o in quelle torricelle? Speriamo che non ci neghino l’ingresso.
– O che sia il castello degli orsi? disse Thorn.
– Che brutta guarnigione!...
– Eccellente, messa allo spiedo.
– Zitti, per Bacco! disse Tyndhall. Non bisogna svegliare i guardiani! Potrebbero farci piombare addosso qualche merlo o qualche guglia.
– Armate il fucile, mastro dissero i marinai ridendo.
– È già pronto, rispose Tyndhall. Avanti, ragazzi, e state attenti alle teste.
La baleniera passò rapidamente sotto quel bizzarro castello galleggiante, senza che dalla grande arcata si staccasse alcun frammento.
Il canale aveva una larghezza di ottanta a cento metri ed era sgombro di ghiacci, ma pareva che l’acqua non dovesse tardare a diventare solida, poichè era cosparsa di piccoli frammenti.
Sulle due sponde non si vedevano animali d’alcuna specie; solamente poche gazze marine schierate sulle creste come tanti soldatini e perfettamente immobili guardavano malinconicamente la baleniera e, contrariamente alla loro indole chiassosa, non aprivano i becchi.
Mastro Tyndhall, in piedi sul banco di poppa, spingeva lo sguardo più lontano che poteva, cercando di vedere fin dove si estendeva quella grande squarciatura, ma non riusciva a vederne la fine, poichè il canale continuava a serpeggiare ed il banco era interrotto da alte barriere di ghiacci.
Ad un tratto, quando la baleniera si era internata già d’un paio di miglia, credette di udire in lontananza come una nota acuta, che aveva qualche cosa di metallico.
– Alto!... comandò.
– Cosa succede? chiese Charchot, mentre i suoi compagni alzavano rapidamente i remi, lasciando che la baleniera si avanzasse pel solo impulso ricevuto.
– Ascoltate!
L’istessa nota metallica echeggiò bruscamente, ma più potente e più distinta. Pareva che uscisse da una immensa tromba di bronzo o di rame ed aveva avuto la durata di otto o dieci secondi.
– L’urlo d’una balena in furore! esclamarono i marinai.
– Sì confermò mastro Tyndhall.
– Che vi sia qualche nave baleniera laggiù? chiese Charchot.
– È impossibile rispose Tyndhall. Le navi baleniere hanno lasciata la baia di Baffin da due buoni mesi.
– Ma questa è la nota che lancia quando ha ricevuto il colpo di rampone.
– Lo so; ma dico che i balenieri non vi sono più.
– Che sia stata ferita da qualche ice-berg piombatole addosso? disse Grinnell.
– Lo sapremo presto: avanti ragazzi.
I cinque remi si tuffarono con ammirabile accordo e la baleniera continuò la corsa attraverso il canale. Le note formidabili della balena echeggiavano sempre e di tratto in tratto si vedevano alzarsi, a circa un chilometro di distanza, due getti di vapore biancastro, spesso, i quali si disperdevano dopo d’aver formato una specie di V gigantesco.
Qualche tremendo dramma doveva avvenire all’estremità del canale. O qualche montagna di ghiaccio era piombata improvvisamente sulla balena fracassandole forse la spina dorsale o qualche nemico formidabile assaliva il più colossale mostro della creazione.
I marinai, che erano in preda ad una vivissima curiosità, arrancavano con crescente lena e mastro Tyndhall si alzava più che poteva, per cercare di distinguere la balena, ma il canale era sempre tortuoso ed i ghiacci avevano margini alti assai. Dovevano però essere vicini al teatro della lotta o della disgrazia, poichè le note metalliche echeggiavano a breve distanza e nel canale si precipitavano delle ondate furiose, irte di candida spuma.
– Adagio! gridò Tyndhall, respingendo la barra a tribordo, per evitare un’onda che minacciava di prendere la baleniera di traverso.
Il canale faceva un brusco gomito e al di là si vedeva un vasto bacino, un wacke come i balenieri chiamano i bacini rinchiusi fra i ghiacci, il quale era separato dal mare da un’istmo di ghiaccio largo appena trenta o quaranta metri.
In mezzo a quel bacino, che aveva una circonferenza di mezzo chilometro, si dibatteva furiosamente una balena franca, uno dei più enormi cetacei che si trovano in mare.
Quel mostro era lungo non meno di venti metri e doveva pesare, a guardarlo dalle forme, sessanta o settanta tonnellate.
Questi cetacei, che sono così rapidi, malgrado la loro mole, da fare il giro del mondo in soli quarantasette giorni seguendo l’equatore e da andare da un polo all’altro in ventiquattro, hanno la forma d’un immenso cilindro irregolare, che termina in una testaccia, il cui volume eguaglia il quarto e qualche volta anche il terzo dell’intera massa.
Le loro pinne pettorali hanno una lunghezza di tre metri e una larghezza di due e la loro coda, che è di forma conica, formata di muscoli d’una robustezza eccezionale, termina in una grande pinna triangolare larga non meno di sei metri, e dotata di tale potenza da sfondare, con un solo colpo, anche i fianchi d’una grande nave.
La bocca poi è un’apertura enorme, capace di contenere due uomini l’uno sull’altro, essendo alta ben quattro metri e lunga tre. È priva però di denti e solamente la mascella superiore è fornita di settecento laminette lunghe quattro e più metri, nere o variegate, curvate come la lama d’una falce e sono precisamente quelle che dànno le così dette ossa di balena.
Il cetaceo, che si trovava dinanzi alla baleniera, pareva in preda ad una violenta collera. La sua possente coda sferzava le acque sollevandole burrascosamente; le sue pinne si agitavano febbrilmente e l’immane corpo, dalla pelle nera e untuosa, che aveva i riflessi dell’acciaio, s’alzava e si tuffava con grande impeto.
Note formidabili uscivano dalla bocca, spandendosi lontane lontane sul grande banco e dagli sfiatatoi uscivano, con sordo rumore, getti sempre più densi di vapore, il quale poi ricadeva in forma di goccioline oleose.
Talvolta la balena si scagliava contro l’istmo di ghiaccio che separava il canale dal mare e lo urtava a gran colpi di testa, staccando pezzi grossissimi.
– Cosa può avere quella balena? si chiese mastro Tyndhall, che aveva accostata la scialuppa al banco, per tema che venisse rovesciata dalle onde. Si direbbe che è impazzita.
— Che sia ferita? chiese Charchot. Mi pare di vedere del sangue fra la spuma delle onde.
— È vero, disse Grinnell.
— Ma io non vedo alcuna ferita sul suo corpo, disse Tyndhall.
— Quel sangue le esce dalla bocca.
— Ah! Guardate! I bricconi le divorano la lingua!...