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capitolo vi — l'urto della balena | 171 |
boccone però, per quei cetacei voracissimi, essendo quella lingua lunga otto metri, larga tre e delicata.
La povera balena doveva averne perduta una parte, perchè i marinai della scialuppa vedevano ormai distintamente il sangue colare in grande copia attraverso i fanoni.
Impotente a difendersi, spaventata, pazza di dolore, cercava di sottrarsi ai morsi dei nemici, assalendo l’istmo di ghiaccio per guadagnare il mare libero.
Avrebbe potuto tuffarsi e passarlo per di sotto, ma forse temeva di venir attaccata con maggior furia dai suoi implacabili nemici, o di essere costretta ad aprire la bocca al suo ritorno alla superficie, per rinnovare la sua provvista d’aria. Fors’anche sperava, sfasciando i ghiacci, di ferire i persecutori o di spaventarli.
– Mastro, disse Charchot, a cui rincresceva la disgraziata fine dello sfortunato cetaceo. Mandate un po’ di piombo a quei brutti ghiottoni.
– No, rispose Tyndhall.
– Volete forse impadronirvi del grasso del cetaceo?
– Non saprei dove metterlo e poi perderei troppo tempo.
– Volete che i delfini lo uccidano? Quel colosso può essere più utile a qualche baleniere che a quei divoratori crudeli.
– No, ma aspetto che la balena sfondi l’istmo per aprire la via alla nostra barca. Il canale finisce qui e se non si spezza quella barriera, noi non potremo guadagnare la Terra di Baffin.
– È vero, dissero i marinai. È una fortuna aver incontrata questa balena alle prese coi delfini.
Intanto il cetaceo raddoppiava i suoi urti contro l’istmo, ora adoperando il capo ed ora la coda, ma il