Hypnerotomachia Poliphili/XXIII
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Dal quale appresentati fussimo dinanti al sacro sancto fonte cythereo.
POLIPHILO IL MIRABILE ARTIFICIO DIL VENEREO FONTE DESCRIVE NEL CENTRO DILLA THEATRALE AREA EXISTENTE, ET COME FRACTA FUE LA CORTINETTA. ET VIDE LA DIVINA MATRE IN SUA MAIESTATE, ET COME ESSA SILENTIO ALLE CANTANTE NYMPHE IMPOSE. DILLE QUALE TRE PER UNO A POLIA ET A LLUI GLI CONSIGNOE. DAPOSCIA CUPIDINE AMBI DUI GLI FERITE, ET LA DEA CUM L’AQUA DIL FONTE GLI IMBREFECE, ET POLIPHILO FUE REVESTITO. POSTREMO VENENDO MARTE IMPETRATA LA LICENTIA SE PARTIRONO.
Il quale nel mediostimo di questo inhumano aedificamento divinamente constructo et expresso per questo modo. Della nigerrima petra, che sola integramente era tutto il silicato, overamente il pavimento di l’area di essa propria nel mediano di uno murulo sublato pedale, cum egregia politura reducta cum omni ornato opportuno di forma extrinseca heptagono, et della interstitia rotunda. Cum l’ambiente cimasula et socco et arulette, et undiculatione fabrefacte et ordinariamente supposite alle base, sopra il mediano puncto degli anguli, dil quale per ciascuno era superastructa una enthesiata, overo ventriculata columna in numero septe, cum summa exquisitura turbinate. Dille quale due correspondevano aequale ex adverso dell’ingresso. In conspecto di questo ove stavamo proni geniculati. Una dille quale tornatile columne, alla dextera parte cyanava praefulgente di finissimo sapphyro, et dalla sinistra vernava virente smaragdo di praestantissimo colore più lucentissimo che gli affixi per gli ochii al Leone al tumulo di Hermia Regulo. Né tale fu donato da Ptolemaeo ad Lucullo. Né di tanta pretiositate fue il praesentato da Re di Babylonia al Re Aegyptico, né di tanto aestimamento furono quegli dil obelisco nel Tempio di Iove. Né di tanta miraveglia fue la statua nel templo di Hercule in Tyro, quale questo admirando se praestava. Proximo ad questa sequiva una columna di petra turchinia di venusto Ceruleo coloratissima, cum la virtute gratiosamente donata. Et quantunque caeca, niente dimeno illustrissima et specularmente praefulgeva.
Contigua alla sapphyrica columna assideva una pretiosa di petra caeca etiam di iucundissimo colore, quale il Meliloto, et di lustro quale lo interlucido floreo dil vatrachio. Adhaeriva a questa una di Iaspide di colore hyalino, et l’altra di topatio fulgurante colore aureo. La septima sola et singularmente era hexagonia di lympidissimo berillo indico di oleaceo nitore in contrario gli obiecti reddendo. Et questa per medio dille due prime correspondeva, per che omni figura dispare angulare, uno angulo obvia nel mediano dell’intercalato di dui. Dunque il circulo obducto del suo diametro semisse, ivi uno triangulo aequilatero constituito, et poscia dal centro una linea, nel medio dilla linea sopra la circunferentia adiacente deducta, tanto è la septenaria divisione dilla dicta circulare figura.
In medio del scapo della septima columna beryllia, dalla parte intranea era mirificamente della propria petra quasi di scalptura divulsa, uno puerulo Hermaphrodito da uno cotylidone ritinuto. Le tre praelucente columne all’ordine dextero similmente per ciascuna haveano in miro modo uno infantulo capto in certi acceptabuli. Et cusì nel scapo di ciascuna dille pretiose columne sinistre appendeva per ciascuna infixo il foemello sexo. Et questo de artificio mystico nel medio dille columne era naturalmente expresso. Cum tanto scintulamento di lustratione, quale non rende la corrosione dil cotes, overo smirillo cum la lambente Tripolea creta. Le base, gli capitelli, il trabe Phrygio et coronice extavano di mundissimo oro. Gli archi cum tutto il solido tra una columna et l’altra era della subacta petra di una delle columne per ordine ambiente, cioè di saphyro verso il smaragdo et il smaragdo verso la turchinia. Et cusì subsequentemente tutto l’arcuato era mirabilmente constructo.
Negli anguli dilla corona sopra la viva et centrica linea perpendiculare di qualunque substituta columna, una Aruleta, et di supra excitata una imagine di planita cum il suo appropriato attributo promineva. La sua grandecia dal tertio dilla subiecta columna exacta symmetricamente di purissimo oro. Nel fronte anteriore alla dextera il falcifero Saturno assideva, et alla sinistra la noctiluca Cynthia, per ordine incominciando dal primo circinanti terminavano ad Selene. Sotto agli quali nel zophoro in circuito cum maximo exquisito di artificio elegantemente celati vedevase gli duodeci signi zodiaci, cum le superiore impressione, et charactere, cum eximia scalptura expressi.
Il culmo poscia di questo mirabilissimo fonte et tectorio fulgeva di una insolente cupula di optimo et disvenato crystallo mundissimo et perspicuo. Né tale vide Xenocrates, né reperto simile in Cypro, né producto in Asia. Né in Germania, sencia rubigine et scabricie, sencia nube maculosa, né centro sale, né alcuno capillamento vedevasi. Né tale franse Nerone. Ma puro praestante et asyntheto, incincta di una sublata operatura cum aequa convenientia di ligatura di fronde procedente da alcuni monstriculi cum pueruli per quelle ludibundi maravegliosamente implexi. La quale era di egregia corpulentia et convexo. Nel gracilamento del summo cacumine havea infixo uno miraculoso ostentamento in uno aureo et faberrimo Lovo, di uno undique fulgitritio carbunculo di forma ovola et di crassitudine strutiocamela.
Nelle facie dil murulo dilla fuscatissima petra, sopra il quale emusicatamente erano excitate le prompte columne perfectamente excavate furono litere graece veterrime, cum il suo scapo dodrante. In l’alveatura dille quale lucevano di copellaceo argento riportate queste parole. In fronte anteriore solamente se vedevano due litere, cum sotiale emblemature d’oro cum elegante politura intersecte. Et subsequente poscia nelle altre facie trine et trine questo dicevano. HOSPER SPINTHER KELETHMOS.
Tripedale ciascuna facia. Et dalle base auree fina al trabe l’altitudine extava di pedi septe. L’artificio dilla quale cosa mirando et expolitissimo tacendo più aptamente riservata sarà la dignitate sua reputo dunque che penurioso et ieiunamente disertabondo praestarme.
Quivi tra la columna saphyrica et smaragdinea se contineva in orbiculi flexi cum laqueoli innodati una la più bella cortinetta velacea impexa, che unque la foetosa natura ad gli dii cosa più grata di producere excogitato havesse potuto, textile tanto bella et di materia, che io non saperei unque exprimere. Ma di sandalaceo coloramento, cum textura di bellissima floritura, et cum quatro litere d’oro graece subtilemente super ritramate. HYMEN Coelabonda decorissimamente extensula. Ceda meritamente quivi la mirabile cortina mandata dagli Samii a Delphi. Questa summamente appareva come pretiosissimo thesoro gratiosa alla mia Polia. La quale velando occultava la maiestale et divina praesentia dilla veneranda matre. Diqué essendo ambidui Polia et io supra gli vertibili popliti expositi cernui, il divino signore Cupidine, dede alla Nympha Synesia la sagitta d’oro et accortamente gli fece nuto che ad Polia essa la offerisca. Et che ella cum la dicta metuenda sagitta lacere, et sfinda la nobilissima cortina. Ma Polia di ciò quasi dolentise del iusso di tale scissura et fractura, quantunque subiecta si fusse ad quello imperio divino parea inexperta recusando di non assentire. Il signore in quel medesimo momento surridendo iniunse alla Nympha Synesia, quella la dovesse alla Nympha Philedia consignare. Et ella poscia ad me la praesentasse. Et che quello che la mellea et integerrima Polia fare non audeva, che io thelithoro et avidissimo di mirare la Sanctissima genitrice exequire dovesse. Laonde non cusì praesto il divino instrumento tractai. Che di caeca flamma circumacto non ricusando, immo cum urgente affecto proiectissimo la cortinetta percossi. Et nel sfindirsi, quasi che Polia vidi contristarsene, et la columna smaragdina scloppando parve che tutta si dovesse fragmentare.
Et ecco repente che io la divina forma nel salso fonte palesemente vedo exprompta dalla veneranda maiestate, dilla quale omni pulchritudine delitiosamente emanava. Né più presto quel aspecto inexpectato
z divino ad gli ochi mei spirando scorse, che ambi dui da extrema dolcecia excitati, et da novello et da tanto diutinamente concupito piacere impulsi et velitati, cum divoto timore inseme quasi in extasi rimansimo.
Per la quale cosa cusì ritrovantime incomminciai pur ragionevolmente expaventarme alquanto dubitando dilla visione in la valle Gargaphya che hebbe il filio di Aristeo, in uno momento maraveglia et terriculo mi misse.
In medio la divina Venere stavasi nuda nelle perspicue, et limpidissime aquule insino supra ad gli ampli et divi fianchi. Le quale non crasso, non gemino, non disfracto, non breve il cythereo corpo reddendo, ma integerrimo et simplice, quale era cusì in ipso perfectamente se cerniva. Et circumcirca all’infimo grado suboliva uno spumamento che referiva olido musco. Cum tanto numine trasparente il divino corpo, cum praecipua perspicuitate quella maiestate et venerabile aspecto obiectantise. Quanto pretioso et corruscante carbunculo agli solarii radii fulgura. Cum facteze et mirando composito tra gli humani né viduto né unque meditato.
La quale havea, o quanta cum venustate la sua obaurea caesarie amoena et delicatamente compta, supra la lactea et candifica fronte concinnamente irriciatula et concrispulata cum erranti, et inquietuli vertigini, che di extendirsi erano capreolamente impediti. Et dalle rosee spalle, da bellissime undicule alla sua libera effusione decoramente prohibiti. La facia rosea nivante. Gli ochii syderei et luminosi cum amoroso, et sanctissimo obtuto.Le melule gene purpuree. La bucca angustula et purpurissimamente coralicea. Domicilio et praediolo di qualunque fragrante germine. Il pecto più che niveo thesaurizato, cum due tuberule mamillule omni inclinatione reluctante. Il corpo eburissimamente glabello. Divini sembianti. Ambrosio immo di moscamine spirante spirito. Il capillamento decorissimo poscia quale tenuissimi fili aurei syrmati, supra le purgatissime aque, non summergibili, ma in gyro sparsi longissimi supernatabuli. Nel ostento aemuli dil comoso Phoebo nel sudo Olympo, gli illuminanti radii irradiante. Et supra li torcularei crinuli parte dilla venustissima fronte, cum densa sobole et spiroso cumulamine praenitendo anteventuli et umbriculariamente contegenti fina alle exigule aure. Dalle quale pendevano due ostentose margarite, quale ad essa nel Pantheon il dissecto Unione a Roma non pendeva. Né mai tale produsse la Taprobane insula di candore conspicue, ambiva una circinatura, overo strophia implectante di vermiglie albicante et amoene rose verneamente intexta cum gemmule fulgurava.
Et nel ambito internate del sacratissimo fonte, fora dille haesione de gli sumptuosi gradi. Il floribundo et purpureo Adone germinava tra le sue amnice fronde purpurigiante dall’aqua exclusivo. Et al lato sinistro similmente cum le sue pallide uve thelygono floriva. Et alla dextera Arsenogono, spectatissime herbe et sempre floribonde. Et in circo alla dea, alcune candide columbule volitavano, moratamente obsequibile ministrante. Cum gli aurei rostri nelle mundissime limphe immersi. Il cythereo corpusculo mysteriosamente rorefacevano. Le guttule dunque altramente non apparendo supra la traslucida carne, che perle orientale affixe. D’indi Peristeria Nympha ad gli venerei famulitii et ministrato sedulo ad lei stante, cum intento animo procacemente paratissima. Similmente fora dil fonte sopra l’area silicea, quale Peristeria al lato dextro tre altre dive puelle nude ad uno, per questo modo stavano insolubilmente amplexate, che de esse le due Eurydomene, et Eurymone, cum il virgineo aspecto di rimpecto ad nui manifestantise. La tertia Eurymeduse, rivoltata cum le bianchissime spalle ad nui, cum le occultate nate dalla lunga effusione dilla biondissima capillatura. Esse gratiose filie et ancillule, cum prompto effecto della dea matre. Postremamente retiniva, daposcia nelle divine mano una aperta ostrea, stipata di fresche et vernee rose, et nell’altra una facula ardente. Hora dal supremo grado, supra il quale le columne extavano, fina al limito dil fonte sei graduli ancora descendevano di fusco achate, et cusì il piano fondo inundulato dil più bello et gratioso, et vago varicamine lacteo strumantise, et variamente incocleantise, che unque ad gli sensi iucundo obiecto opponere si potesse. L’aqua fontanicia fina al limbo dil quarto grado attingeva, gli altri dall’aqua immuni. Modo supra il superiore grado uno lascivo in specie homo, et Divo Nyctileo ociosamente sedeva. L’aspecto dil quale, di una petulante, et insigne fanciulla se obiectava facetissima. Cum il pecto per il discrimine detecto. Il capo suo cornuto cum una vitea strophiola di intormentati pampini, di saporosi corymbi ornata concincta stringeva. Ad due velocissime Tigre appodiantise. Et alla sinistra parimente una speciosissima et alma matrona, commodamente sedeva, instrophiata tenendo la dilatata, et criniculata fronte di una bionda corolla spicea. Essa inclyta supra dui squammei serpi stavase. Et uno et l’altro una sphaerica pila haveva, di materia tenue et mollicula, ne gli sui gremii tenentila. Cum le quale a tempo pausato, per uno artificioso et fatale orificio papillato. Nel fonte uno dolcissimo spumeo et efficace liquore guttatamente stillavano. Gli quali diligentemente z ii advertivano de intingere nel salso fonte gli sui belluli pedusculi. Gli quali degli prompti digituli più excedente quello indicavano, che propinquo è al magiore. D’indi gli altri gradiculatamente cum venusto moderamine verso il rotundo talo, cum grato ordine alla parte extima declinando minuentise. Per questa divina dispositione dunque la sanctissima maiestate dilla Dea resideva volupticamente nel mediastimo del fonte. Et la parte che del divino corpo tra l’aque stasea, cusì né più, né meno, che radio overo splendore del Sole in expolitissimo crystallo praelucente. Quivi congenulati divotamente perseverando, cum la mente oltra modo, et excessivamente mirato vacillava. Non valendo fixamente el nume divino dovunque spirante mirare. Et la cagione non meno pensiculatamente recogitando, cum quale dolcecia di sorte et fede, cum quale modo et merito, tali mysterii ad me fusse concesso chiaramente di cernere, et cum gli ochii mei ad tale obiecto indispositi. Ma solamente iudicai essere stata degli immortali Dii la libera voluntate, et il benigno consentire di Polia et fidele oratione. Ma supra tutte cose ad me praestavasi displicibile, che tra tante coeleste et dive persone solo contemptibile et exotico, et de gli decoti habiti atriti et frustrati, et di qualunque altra maniera dissimile istava abiectissimo et pauperrimo, et allhora mi sarebbe stato il modo di coprire la mia deformitate quam acceptissimo. Quale Erichthonio per caelare gli viperini pedi. Imperò di incredibile miraveglia stupefacto nell’animo mio summamente la benignitate divina laudava. Che permesso haveva, che terrigeno homo le opere divine et il thesoro dilla fermentosa natura palesemente contemplasse. Per la quale cosa, quelle insigne Nymphe che di sotto le pergule, cum gli sui plausi et cantici et suave harmonia laetabonde festizavano per la victa praeda, che triumphante consequire doveva il pinnato et temerario Cupidine che più perspicace dil Lynceo et di Argo oculeo, era vigorosamente cum l’arme prompto. Diqué parv’hora consumpta dalla dea Matre, ad gli coelesti soni, et cantici alquanto de silentio intervallato ad ambi nui, cum divina facundia et lepore mulcente cum blando affamine tale suaviloquio la sanctissima bucca produsse parole argute et sencia dubio, da soporare et la vigilante custodia adormentare dil fatale thesoro di Colcho. Et da rivocare in benigno effigiato Aglauros filia di Cecrope. Et al grato armento di ristituere Daphni Idaeo, cum la forma humana. Et Cadmo et Hermione dalla sibilante voce rivocare, et dal squammeo corpo, ad Polia cusì dicendo. Pulchella Polia cultrice mia, gli tui sancti libamenti saeduli obsequii, religiosi ministerii propiciantime, te dignificata hanno facto dille nostre dolcissime et fructifere gratie. Et per le tue sincere supplice et illibate litatione et solemne cerimonie commendata alla placatione, et cum votato core, et cum observabile tirocinio precata inclinarme voglio benifica, et favorigiante et munificamente munerabonda sospitatrice. Et che il tuo individuo Comite Poliphilo quivi dil tuo amore candescente astando, parimente annumerato sia tra gli veraci et foelici amatori. Et dille plebee et vulgarie sorde quivi remundato, et da omni spurco impiamento si forsa casitato fusse, dil mio rore perfuso expiato se purifichi, et ad te incessante esso deditissimo sia. Et ad gli tui placidi desii praesto et saedulo et che egli non recusi a qualunque tua voluntate. Et tutti dui aequalmente amantise ad gli mei amorosi fochi ultroneamente, et cum integerrimo consenso servirete, amplificabondi. Et la succisiva vita sotto la mia tutela protegente beati et gloriosi vitulanti. Al praesente acioché il vostro tanto amore sortisca foelice successo, Poliphile, quatro praeclare virguncule donare, et ad te consignare io voglio et dille sue ornate virtute dotarte, al tuo excellente animo, et generoso amore ad decorare molto conforme. Et cum esse tu sii observatore pervicacemente, più che il firmo Pico verso la sua Canente, et di Polia cultore. Et giù sencia morula dalle pergule ad sé chiamata la praestante Nympha Enosina gli dixe. Tolle teco la fanciulla, singulare Monori, et la vigile Phrontida et la sua silente sorore Critoa, et comite siate inseparabile di questo nostro Athleta et servitore amante Polia. Et per mio fatale iusso cagione siate che tutti dui siano aequivalente di mutua dilectione. Et sencia intercalato fora dilla cortice ostrea dui annuli trasse cum una pretiosa gemma violacea inclaustrata anterota in ciascuno et ad Polia uno gli dete et a mi l’altro, cum effabilissimo Imperio, che sempre di tale divino munere decorati devessimo perdurare, et che penitamente sempre delitiscente lo edicto suo servare dovessimo, cum fronte serena, et propiciato vulto commulcente. Et rivoltata in uno momento, ad te Polia dixe. Similmente quatro altre ingenue et scitissime virgine apresento nel tuo consortio indesinente. Le quale debino dignificarte, et in questo tuo celeberrimo amore elegantemente honorarte. Da quello loco chiamate ancora vacando dagli cantici sui et soni. Adiacorista cum le tre ingenue sorore, Pistinia, Sophrosyne, et Edosia gli impose dicendo. Hor non lasciate costei unquantulo di mora sencia vui, aciò che essa, cum aequa legie il suo Poliphilo amando, cum herculano nodo vivi, ornata del più scitissimo, et bellissimo amore, che unque nel z iii suo seculo celebre, et di memorato dignio se sentisse. Al genio indulgendo et nunque defraudando. Offerentise hostia iniuge cum sincera et mera fede verso a lui, et labante firmare, anxio et solicito beneficamente recevere, et gratificabonda, cum tenacissimo vinculo amplexare. Tutte queste dive Nymphe lo imperio dilla suprana dea sencia inducie incominciorono ciascuna il consignato, et credito suo amorosamente cum hianti osculi consaviare in stricti amplexi, cum molti Nymphaei blandimenti et attractive charitie, et promiscuamente alacre, et saepicule praessulamente amplexandone saviate, cum debite et conveniente inclinatione annuendo alla Divina Matre, il credito overo commisso principiorono sedule et cum praecipua comitate a famulare. Et al promptissimo filiolo, non prima quasi le sancte parolette prolate, et finito il divo rationamento, che lui cum genuina licentia procace sencia pietate severo, non della gortiniaca, ma dilla volante sagitta d’oro non dal Ithyreo arco ma divino directa et non più praesto dal impeto dilla rigente cordula lo amento fue expulso, che per medio trasvecta dil mio dissaveduto core repente confixe. Et d’indi properamente cusì cruorosa tincta nel mio inflammato pecto, et dal caldo cruore fumidula uscitene del sagittario vulnere, non risanabile dal trago frutice cretense. Et sencia morula trasfixe, et quello dilla mia pyrrothricha Polia, et nel suo palpitante pecto dilla propria illibata alma retincto, ello la vulnerante et cruentata sagitta riassumpse, et di subito nel materno fonte lavatola la repose. O me che incontinente di sentire principiai essere nelle penetrale, et intime viscere le mellite uredine di una exuberante flammula diffusa, et lernicamente disseminata, et tutto me occupare et d’amorosi ardori obducto tremiculo, et di offuscare gli ochii meii. Et sencia pausula lo incenso pecto reseratose ad sé più harpylatica et mordacemente attraxe, che le anguinee thriche del Polypo, et che il typhone sorbiculabundo l’aqua, et intromisso l’amore pretioso et il divulo effigiato di Polia nunque obliterabile, cum le ingenue caste et dulcissime conditione nel praeparato et amorosamente disposito subiecto informantise, ove aeternalmente dominabonda rimanse, et quel coelico, et inelluibile simulachro firmatissimamente impresso speciosissimo. Quale arefacta et siccissima palea rimasto in subitaneo et violente foco adusta, et come facole di arsibile teda, non servata capillare particula, che d’amorosa flamma non penetrasse. Et quasi ad me parve d’altra forma acconciamente immutarme. Cum grande vacillamento et carivatione dillo intellecto di non valer comprehendere se non per quale assimilitudine che Hermaphrodito cum Salmace nel vivo, et fresco fonte amplexantise advene, quando elli nel promiscuo sexo vedese, in la forma unica transformarse. Né più né meno, che la infoelice Biblis le sue lachryme sentite farle nel liquido fonte dille naiade Nymphe. Dunque morando io già nelle dulcissime flamme nun più vivo che mortuo sencia vivido pulso. Et da non impedito meato, da summa dulcitudine permitteva liberamente et exalare il spiritulo mio pensando che da Epilipsia, cum genu replicato cadendo fusce stato invaso. La pientissima Dea repente cum la diva vola lacunata, deposita la ostrea stringendo la intervallatura degli longiusculi digiti, dille salsule aque exhaurite divinamente supra nui humectando asperse. Non quale la indignabonda Diana, il sfortunato venatore imbrificò dilacerando a cani in belva vertite, ma sencia haesitare per lo opposito imbrefacto transmutando alle sacre Nymphe gratificabondo et amplexando. Né più praesto benignamente facto hebbe, et io di rore marino asperso et delibuto, che in me immediate excitati gli clarificati spiriti furono più intelligibili. Et sencia praestolatione se convertirono nel pristino stato li adusti et concremati membri et me senza fallire di digne qualitate ricentarme sentendo. Conobi veramente per assimile modo Eson rinovato non essere, né altramente in me regresso mi apparve, che alla optata luce il virbio Hippolyto revocato per grande precatione di Diana cum la herba glycyside ad la appetibile vita. Et a me affectuosamente le plebarie toge dalle assignate Nymphe exute, di candida et lautiuscula veste di novo me officiosamente vestirono. Et facti tranquillamente del nostro amoroso et corroborato stato securi, et iucundissimamente rifocillati consolabondi et di gaudio subitario et laetitia commoti et delibuti repente ne feceron cum mustei osculamenti, et cum linguario vibramine suavemente basiare et strictamente amplexare. Et cum simile modo l’uno et l’altro le iucunde et festose Nymphe, nel suo sacro collegio novo tirocinio et officio dilla foecunda natura recevendo nui tutte dulcicule lepidamente ne basiorono. Diqué la Dea genitrice, cum elegantissimo affamine, et placido colloquio et cum maiestale obtuto propitiata ratiocinando, et cum divino flato spirante geniale Balsamo dispensando cose illicite di propalatione et agli vulgari homini, non di relato effabile, dando opera diutine di stabilire, et di fermentare gli nostri accensi amori, et di unire unanimi gli nostri cori sotto alle sue fructuose et dolce legie cum extento aevo, et negli stabili et parili amori magnanimi essere ne fece. Et per tanto sempre pia di porgere et munificamente favore conferire et munimine ad omni occurrente perturbatione ultronea et largamente promisse, et in tale colloquio mitissima la gratia sua lepidissimamente conferendo. Advene dunque che uno viriato milite nell’aspecto divo giù per gli z iiii graduli fora dille forule sotto la prima pergula, valerosamente al sacrosancto fonte adventando, et nella maiestale facia vehemente, et di formidabile ferocitate pectoroso et cordato, cum ample spalle lacertoso et procero, cum gli lumi degli ochii acri et atroci, ma di una veneranda dignitate. Cum adornato sumptuoso, et superbo et divo cum faberrimo clypeo argyraspida, quale non fece Bronte, cum gli compagni all’exule Troiano contecto il capo di fulgente galea, instrophiata di olenii flori. Cum prominente crista et insigne apice aureo sopra il cono induto di thorace d’oro. Quale il divo Iulio di Britannia non portoe, né dedicoe alla genitrice nel suo templo. Né tale unque fece Didymao eximio artifice, cum il pendente Succingulo, overo Balteo transversario incincto, cum sumptuosissima acinace connodulata aurea. Cum tutti gli decorissimi gestamini militari, robustissimamente uno flagello in mano tenendo, comitato era dal suo fremente Lycaone.
bondo di deponere l’armature, et alla dea amata intrare dearmato. Etquivi ello et essa, non cum humani blandimenti et charitie, ma cumdivini gesti et affecto se implicatamente amplexavano cum innodanti abraciamenti. Per la quale cosa le Nymphe questo advertente, cum humile et reverente parlare licentia impetrorono, et io ancora, et la mia activa Polia il simigliante facendo, cum quel modo possibile, che allhora nui potevamo le immortale gratie dicte, ne dispartissemo. Rimanseron dunque solamente cum la divina Matre e cum il filio, et cum li continuamente al fonte circumastanti, et il venuto armigero ad divini et solatiosi oblectamenti abiecti tutti gli amiculi.* * *
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