Guida della Val di Bisenzio/Parte seconda/3

3. Al Monteferrato (Per i Monti a ponente)

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3. Al Monteferrato (Per i Monti a ponente)
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PER I MONTI A PONENTE


AL MONTEFERRATO (422. m.)


itinerario n. 3.

ore minuti
Da Prato alla vetta detta il Chiesino 1 50
Una vettura per i Galceti L. 3 00
Volendo mangiare sulla vetta del Monteferrato bisogna provvedersi di cibo a Prato. Non si trovano sorgenti d’acqua che poco sotto il colle delle Croci sul lato orientale1.

Vicino al M. di Iavello, anzi a lui strettamente congiunto, è il Monteferrato, così diverso per tante cagioni dagli altri monti della Val di Bisenzio e delle altre valli limitrofe (V. a pag. 12). Sorge a quattro chilometri circa da Prato verso tramontana, fra il torrente Bardena a levante e il torrente Bagnolo a ponente, elevandosi 422 metri sopra il livello del mare. Forse ebbe il nome dalla sua tinta [p. 58 modifica] scura-ferrigna; l’aspetto cupo e tetro, la desolante nudità delle sue rocce, oggi in gran parte vestita, destarono nell’immaginazione del volgo sospetti di diavoli e di streghe, di folletti e di fate; e dalla supposta ricchezza del monte ne nacque forse la chioccia coi pulcini d’oro, che le nostre nonne favoleggiavano trovarsi sulla vetta.

Il Monteferrato fa parte di quel contrafforte che si stacca dal Monte d’Iavello tra le Cave d’Albiano e la Collina. Si compone di tre alture rotondeggianti, che hanno denominazioni differenti, come ne è differente l’altezza; la più alta è il Chiesino, (422 m.) conosciuta più comunemente col nome di Monteferrato; la seconda è M. Mezzano (400 m.); l’ultima è M. Piccioli (354 m.), al quale si congiunge quel tratto di poggio che scende da Iavello e si chiama M. Lopi.

La scienza rivolse di quando in quando la sua attenzione al Monteferrato sia per studiarne la geologica struttura, sia per investigarne le ricchezze metallifere, sia per tentare ed estendere il suo rimboschimento e la sua cultura, ma non si ebbe mai un lavoro completo e importante se non in questi ultimi tempi.

Il Governo dette incarico all’Ing. Cav. Celso Capacci, di studiare minutamente questo monte così importante per la scienza e darne la carta geologica. Il lavoro pregevole per dottrina, per accurata osservazione scentifica, per esecuzione precisa e lodevole fa onore al valente Ing. Capacci, al quale andiamo debitori, se finalmente il nostro monte ha la sua monografia scentifica e la sua carta geologica. A questo lavoro possono rivolgersi coloro che volessero notizie estese e precise sulla natura delle roccie di cui è [p. 59 modifica] formato2; io invece dirò qualche parola sulle sue piantagioni di pini.

Oggi tutta la pendice del monte, che dalla vetta detta il Chiesino scende sino alle Prataccia da levante e fino alla Villa Geppi da ponente, è coperta di pini: quarant’anni fa tutto era deserto e nudo. Il primo a tentare d’imboschire il monte fu il benemerito e dotto agronomo Scarpettini, Pievano a Montemurlo, che seminò la pineta dalla parte occidentale e ne ebbe subito i frutti. Poi Gaetano Benini di Prato che dopo aver piantato olivi e gelsi, da oriente, ai piè del monte, ne volle seminar di pini domestici (pinus pinea) la pendice sin quasi alla cima. Fu gridato allora che erano spese inutili; oggi una bella foresta di conifere rallegra l’occhio e ravviva quelle rocce scabre, sulle quali solo il falco andava un tempo a posarsi per divorar la preda o a dar la caccia agli uccelli che vi traversavano di volo, perchè nessuna specie di volatili vi albergava tranne il gufo, il calcabotte e la nottola. Se gli altri proprietari di terreni sul Monteferrato seguissero l’esempio di coloro che fiduciosi gettarono la sementa su per i fianchi del poggio e ne videro spuntare il germe, crescere il fusto e farsi albero, a poco a poco si sarebbe vestito anche il rimanente di questo monte, che ha fin qui destato un senso di tristezza e di orrore a cagione della sua inospite apparenza.

Il botanico vi ha poca messe da raccogliere: pur nonostante la natura in mezzo a quelle rocce granitiche e serpentinose gettò il seme di poche pianticelle [p. 60 modifica] alcune delle quali proprie del luogo, tanto perchè sulla terra non vi fosse zolla che non avesse il suo fiore: dove l’acqua permise un disfacimento di suolo e si fece un pugno di terra vegetale nacquero le eriche a piccoli cesti, addossate alle roccie: e dove le fresche sorgenti scaturirono, crebbero le giuncaie dai fiorellini delicati e graziosi. Una specie di felce piccolissima l’acrosticum marantha vegeta tra i sassi, e quà e là si trovano la viola di lepre (dianthus diminutos) ed altre poche piante erbacee, fra le quali merita il primo posto la bella stipa pinnata, volgarmente detta lino delle fate, la quale si è resa sempre più rara, dacchè la mano dell’animale ragionevole, più terribile del morso della capra, ha cominciato a sperperare la vaga pianticella.

È comune opinione che le acque del Monteferrato siano ferrugginose e molto salubri. Per togliere dalla mente questa erronea credenza riferisco le opinioni che sopra dette acque manifestava il Dott. Paolo Emilio Alessandri in un suo lavoro tuttora inedito sulle Acque potabili della Val di Bisenzio e dei dintorni di Prato.

«Il Monteferrato è ricchissimo di sorgenti d’acqua perenne, freschissima e molto aereata, le quali scorrendo lungo i suoi fianchi alimentano in gran parte la Bardena dal versante oriente e meridionale e il Bagnolo dal versante occidentale. Alcune si riversano nella sottostante pianura e formano i pozzi ed un piccolo lago presso il convento dei Galceti che ha fama di contenere acque ferrugginose.

«Io ho esaminato nel 1879 tutte le acque sorgive di questo monte e senza dilungarmi di troppo accennerò sommariamente i risultati delle mie ricerche. [p. 61 modifica]

«1.° Le acque del Monteferrato sono tutt’affatto dissimili per la composizione dalle acque dei poggi circostanti.

«2.° Sono molto aereate, ma non contengono che esigue quantità di anidride carbonica che tanta influenza ha sulla domestica economia.

«3.° Non contengono che poche tracce di sali di calce, come carbonato (marmo) e solfato (gesso), ma in compenso sono ricchissime di materiali silicei e in specie di silicato di magnesia.

«4.° Le acque del Monteferrato a parer mio non appartengono alla categoria delle buone acque potabili, ed anzi dovrebbero essere escluse affatto nell’alimentazione.»

Sebbene il Monteferrato s’innalzi poco sopra il mare (422 m.), pure chi salga alla sommità in una mattina serena di primavera o sul tramonto d’un chiaro giorno d’estate godrà d’una veduta estesa variata, pittoresca. Coloro che riguardano i monti con sacro orrore e credono che a salirne le cime sia un attentare alla propria vita o sopportare una fatica improba, facciano questa gita del Monteferrato, vadano a sedersi sopra uno dei massi che incoronano la vetta e poi volgendo lo sguardo intorno dovranno convincersi che lo spettacolo che vi si gode, vale la pena della salita.

Itinerario. — Da Prato si può andare al piè del Monteferrato presso il Convento di Galceto, per due strade; l'una (a) per le vie traverse, l’altra (b) per la provinciale; le descriveremo tutte e due, perchè nell’estate è preferibile la prima alla seconda.

Via a. — Da Porta a Serraglio si volta a sinistra e percorso quel sobborgo della città chiamato [p. 62 modifica] Bachilloni si segue la via provinciale montalese, sinchè non si trova a dritta una stradicciuola che va su a nord fra i campi e laddove fan capo tre strade, dietro la Villa Mannelli, si volge a sinistra e giunti ad un quadrivio presso due case coloniche, vi dicono il Ciardo, si piglia la via a sinistra, la quale quasi in linea retta conduce al torrente Bardena, che si passa sopra massi più o meno disagevoli per il passaggio, e dopo poco si giunge al piè del monte, al contadino del Geppi. Chi non si volesse arrischiare sulle passaiuole, volga a destra e può raggiungere in 7 minuti il ponte che si trova più in alto. In estate però il torrente non ha acqua.

Questa via è da farsi nell’estiva stagione per evitare l’afa e il polverone della via maestra.

Via b. — Da Porta al Serraglio si prende la provinciale sino a S. Martino; e qui la via volge a sinistra e poi a destra; più avanti passa il piccolo cimitero di Coiano e dopo una piegata a sinistra, già si mostra il Monteferrato in parte riccamente vestito di pini, in parte ancora povero e nudo.

Alla Croce di Pacciana, di contro la villa Ciardi,3 una delle più belle e deliziose per la sua amenissima posizione, la strada volta a manca e si giunge in 12 minuti al ponte della Bardena; passatolo si mostra a destra, in fondo ad un bel viale, la romita Villa Novellucci-Banci e poi; di faccia, il Convento di Galceto eretto non è molto a piè del monte in luogo ridente ed ameno, e seguendo la via ecco la casetta [p. 63 modifica] del contadino, alla quale si accede per una viottola che attraversa una bella vigna4.

Di qui è facile trovare una croce posta sopra uno zoccolo in muratura in mezzo ad un viale che viene dal Convento e prosegue diritto verso ponente. Da questa croce una via principia subito a salire leggermente, e con frequenti giravolte va sin presso la cima di Monteferrato, detta il Chiesino, 422 m. sul mare.

Salendo si incontrano altre strade che s’incrociano, guidando qua e là per il monte. Chi vuole andare alla sommità in breve tempo ha da tenersi sempre sulla destra.

Inutile il dire che quanto più si sale, tanto più appare la bellezza dello spettacolo; la pianura si mostra in tutto il suo splendore e la città vicina ne accresce l’incanto.

Presso la vetta, la strada finisce: ma è facilissimo raggiungere la sommità pianeggiante che è prossima; 8 minuti di cammino.

La vetta è una bella spianata tagliata ad angolo dal muro a secco fatto erigere per segnare il confine del possesso del Cav. Geppi.

Nel mezzo sorgeva una cappelletta, della quale restano appena pochi avanzi di muro e da essa forse ebbe nome questa fra le tre alture del Monteferrato. In altri tempi il dì dell’Ascensione saliva lassù di buon’ora il popolo di Figline col parroco, che vi [p. 64 modifica] celebrava la messa e da quella vetta benediceva alle sottostanti pianure.

Volgendosi al nord, quella montagna selvosa incoronata di piante d’alto fusto è il M. d’Iavello, da cui si stacca più in basso il contrafforte di M. Lopi, che per M. Piccioli e M. Mezzano si unisce all’ultima sommità (il Chiesino) del Monteferrato e separa i due valloncelli di Capraia e di Bagnolo. La chiesetta che biancheggia alle falde d’Iavello è Albiano; a sinistra sull’altura e in mezzo a bella prateria è la fattoria d’Iavello de’ Marchesi Covoni di Firenze, e dietro le vette appenniniche di M. Bucciana, del passo di Logomano, i pascoli della Cascina di Spedaletto, e fra questi e la punta del M. Acquifreddula, le pasture e le selve della antica Badia a Taona; poi i monti dell’Orsigna, il Corno alle Scale; e il picco a pan di zucchero che si scorge a sud del Corno è il M. Cupolino. Seguitando coll’occhio verso ponente e mezzodì chiudono la vallata Poggiobello, Montebersano e più lontane le Pizzorne, e il Colle di Serravalle, e sovr’esso mostrasi ad incoronare il poggio Montecatini alto; la giogaia di M. Albano si prolunga verso mezzogiorno inalzandosi 641 metri e poi digradando per Pietramarina sino alla Villa di Artimino, che si vede torreggiare, quasi vedetta sull’una e l’altra vallata, ed alle colline popolose di Signa, dove l’Arno s’apre la via fra i massi della Gonfolina, di là della quale risorgono poggi e colli sino a confondersi colle vette più sublimi di Pratomagno.

Continuando il giro invano si cerca Firenze, poichè la punta di Poggiosecco, contrafforte della Calvana, lo toglie alla vista lasciando solo scoperta quella [p. 65 modifica] parte che forma il Sobborgo di Porta S. Frediano. Da Poggiosecco lo sguardo risale verso tramontana lungo il crine e i fianchi della Retaia, la gola di Valibona, M. Cagnani, il M. Maggiore e la crina della erbosa Calvana sino al paesetto di Montecuccoli, dietro il quale s’alza una vetta isolata, a cono, è il Sasso di Castro, poi la catena dell’Appennino di Montepiano che va a nascondersi dopo i Faggi d’Iavello. Se dai monti si abbassa l’occhio al piano, la Valle appare in tutta la sua bellezza: poche vallate possono presentare una coltivazione più mirabile di quella. Quasi al piè del Monteferrato è Prato, di cui si riconoscono ad uno ad uno tutti i principali edifizi; e più vicino, a destra, la Rocca di Montemurlo sopra un colle di querci e di cipressi; alla fine della Valle è Pistoia. Quella striscia bianca che si stacca dalle falde del monte e va quasi in linea retta sino ai poggi di sotto è il torrente Bardena, che entrato in pianura piglia il nome di Fosso d’Iolo; quella selva di grossi alberi framezzata da praterie laggiù in fondo, presso i monti di Carmignano, sono le Cascine del Poggio a Caiano, e aguzzando bene la vista si scorge elevarsi sopra un collicello il palazzo reale, Villa un tempo de’ Medici e residenza prediletta di Bianca Cappello, che vi ebbe fine così miseranda.

Poco discosto dalle rovine del Chiesino, lungo la parete interna del muro di cinta, a levante, è una piccola croce di ferro infissa sopra un quadrello di serpentino: quivi fu trovato morto nel 1867 un povero fanciullino di circa tre anni, figliuolo di contadini che stavano in quella casetta «I Pianali» la quale si vede dalla cima del Monteferrato, là in una [p. 66 modifica] insenatura del poggio sul versante occidentale del M. Mezzano.

Questo fanciullo andato com’era suo costume ad incontrare sulla sera un suo fratello, che badava alle pecore sul monte, e non avendovelo trovato, pare si smarrisse e lo colse la notte: sebbene la sera stessa si facessero molte ricerche, non fu possibile rinvenirlo nè udir la sua voce per un fortissimo vento di tramontana che soffiava impetuoso. Dopo un mese una pecora che non voleva staccarsi da un certo punto, indusse il piccolo pastore ad andare a vedere quel che vi fosse e riconobbe lì in terra il suo fratellino in un cadavere essiccato dai cocenti raggi del sole di luglio.

Vie di ritorno. Via a. Chi non vuol salire le altre due cime, può ritornare a Prato scendendo per la costa orientale del Monte attraverso la pineta Benini, oggi Carradori e venendo a far capo a Galcetello e alla strada ruotabile di Figline (40 min.) Non v’è sentiero, ma non c’è pericolo di smarrirsi.

Via b. Chi vuole far una via poco più lunga, non meno però dilettevole, scenda giù per la costa nuda e rocciosa del monte dalla parte di ponente, con Montemurlo in vista e la magnifica Villa del Barone a destra. Giunto ad un piccolo spianato, detto le Porticciuole, che ha tutto l’aspetto di un varco, dal lato meridionale verso la pianura comincia una strada per carri da montagna; quanto più si discende, tanto più si fa migliore entrando in una bellissima piantagione di cipressi: sembra di essere in un bosco signorile: poco appresso s’entra in un vigneto e si giunge alla Villa Droutskoi, disegnata è fama, da Michelangelo Buonarroti. Quivi si incontra la Via Montalese, che [p. 67 modifica] passando per Maleseti e la Chiesa Nuova va a Prato (1,10 min.).

Si può prendere invece la via a sinistra, la quale lungo le falde del Monte passa sotto la Villa Geppi, attraverso il bosco di cipressi e di cerri e presso il Convento di Galceto ritrova la strada descritta a pag. 61.

Note

  1. Presso il fabbricato del Tiro a Segno esiste un’osteria detta del Papucchio ove gli escursionisti possono provvedersi o rifocillarsi convenientemente.
  2. Sulle cave del marmo verde, vedi a pag. 69 e sulle cave del granitone, vedi a pag. 71.
  3. Oggi di proprietà del sig. Cav. Finelli il quale renderà quel possesso un luogo delizioso.
  4. In questa ridente località fu costruito nel 1888 il Campo di Tiro della Società Mandamentale del Tiro a Segno Nazionale di Prato costituitasi nel 1884. Il Campo è lungo 300 m. largo 30: fu inaugurato il dì 8 settembre 1889. I tecnici lo ritengono uno dei migliori Campi di Tiro. La Società conta oggi 480 soci.