Guerino detto il Meschino/Capitolo XVI
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CAPITOLO XVI.
Il Meschino si confessa, poi seguita il suo viaggio,
e giunge alla città del prete Janni.
Dopo partiti di Dragonda cavalcando cinque giorni giunsero a una città molto grande nella quale entrarono. In quella città molta gente veniva per veder il Guerino, e così come in Europa si corre per veder un di loro, corrono eglino a vedere un dei nostri, e vedendolo così armato e li suoi compagni, rideano. Guerino dimandò perchè ridevano: risposero li compagni: «Costoro dicono che mai non videro la maggior maraviglia, perchè tu sei tutto armato». Queste genti tutte sono negre, e vestono panno di lino molto sottile; alcuni vestono panno di lana di color bianco cioè d’aria, alcuni altri di seta alessandrina. Vide molti fondachi d’ogni ragion di mercanzie, e parevano più di cento, e molti mercadanti, e vide molte femmine vestite di panno di lino tanto sottile che traspaiono le loro membra. Giunti che furono in su la piazza, vide molte genti armate con mazze ferrate, e con archi assai.
Dimandando Guerino perchè tanta gente era qui adunata, rispose una delle guide: «Sono mossi i Cinamoni, e fanno gran danno e guerra nell’ultime parti di questo paese». Dimandò Guerino: «Chi son questi Cinamoni?» Uno rispose: «Son uomini molto feroci, pastori di bestiame che per la grande abbondanza, e buoni terreni che hanno, si levano in superbia, e abitano l’altro regno di là dal fiume Nilo verso le parti Austriali». Entrati in palazzo, in un gran cortile smontarono, e legarono i loro cavalli a certi anelli d’argento, che son connessi nelle mura, come sono in Grecia gli anelli di ferro. Poichè ebbero legati i cavalli andarono alla scala per montar sul palazzo: questa scala era tutta di alabastro, e le sponde del lato dorate, con pietre preziose; le pareti del muro erano lavorate di mosaico istoriato, di sopra tutto ancora di mosaico, e di color d’aria a stelle d’oro. Domandò il Meschino: «Come può essere tanta ricchezza in questo paese?» Dissero la guida, per quattro cose: la prima il non aver guerra, nè pagar soldati: secondo il gran tributo, che gli danno i Saraceni per non perder l’acqua del Nilo: terzo il gran passar delle genti allo stretto del Mar Rosso, dove il prete Janni ha tre città, con bellissimi porti, e sicuri: quarto tutte le mercanzie di questo regno pagano il cento alla camera del prete Janni. Or pensa la grand’entrata e la poca spesa per tanti centinaia d’anni se gli debbano esser gran ricchezze: e perciò è chiamato questo paese terra di verità!
In capo della scala era una maravigliosa sala, lunga sessanta braccia, larga quaranta. In mezzo v’erano due colonne d’oro massiccio, i quattro cantoni del muro d’alabastro, e solamente del lato della fredda tramontana erano quattro, o cinque finestre tutte adornate intorno d’oro.
In mezzo di ciascuna finestra v’era una sedia tutta di oro infinitamente ornata di pietre preziose. Il tribunale aveva sette scalini per ogni scalino eravi scritto di lettere nere un peccato mortale. Il primo scalino della sedia era d’oro fino, e le lettere dicevano: fuggi l’avarizia, il secondo d’argento, e le lettere dicevano: fuggi l’accidia; il terzo di rame, fuggi l’invidia dicevano le lettere; il quarto di ferro, le lettere dicevano: fuggi l’ira; il quinto di piombo, le lettere dicevano: fuggi la gola; il sesto di legno intarsiato con alcune fiamme, che pareva ch’ardessero, le lettere dicevano: fuggi la lussuria; il settimo scalino era di terra e le lettere dicevano: fuggi la superbia. In su la sedia era un bel vecchio con panni sacerdotali vestito, e aveva in capo una mitra papale; d’ogni lato aveva sei sedie con quattro scalini di marmo, per li quali s’andava a queste sedie, in su ciascuna delle quali siede un sacerdote con cappello in capo, che aveva sette parole scritte sopra il capo: fortezza, giustizio, temperanza, prudenza, fede, carità, e speranza. Sopra il capo del maggior sacerdote v’era una croce adornata di molte pietre preziose, o sopra questa croce il nostro Dio in croce, e dietro alla sedia v’era una vite che andava sino al cielo della sala, e spandeva e copriva tutto il cielo della sala ch’era tutto d’oro e d’argento smaltata: pareva che fosse l’uva naturale. La maggior parte delle uve erano pietre preziose, e sopra il capo di questo gran sacerdote erano fatti i sette doni dello Spirito Santo. Il primo diceva, temi Dio e sprezza la superbia. Il secondo diceva, abbi pietà del prossimo e disprezza l’invidia. Il terzo diceva, obbedisci a Dio, e disprezza l’ira. Il quarto diceva, confidati nella fortezza di Dio, e disprezzerai l’accidia. Il quinto diceva, consigliati con Dio, e disprezzerai l’avarizia. Il sesto diceva, abbi l’intelletto a Dio, e disprezzerai la gola. Il settimo diceva, studia la sapienza di Dio, e disprezzerai la lussuria. Questi sono contro i peccati mortali, i quali erano scritti nei sette scalini. Il primo di questi sette scalini più basso è d’oro, perchè l’oro è il desiderio dell’avaro, e cosa temporale e la più vile cosa che sia a farsi soggetto alle cose terrene, perchè poco durano: il secondo è d’argento, e rappresenta la luna, che è pianeta freddo, e così l’uomo accidioso è sempre freddo, e umido e di nessuna cosa si rallegra: il terzo di rame, perchè l’invidioso sta sempre tra la povertà e la ricchezza, porta invidia al ricco per la ricchezza, e al povero per la sanità, e per l’allegrezza che vide in lui come il rame che vuol esser oro per l’invidia che porta all’oro, poi si vuol far argento e non può, onde s’ingegna per invidia di contraffarsi. Il ferro, che è il quarto, rompe, spezza ed uccide; così fa l’ira che non racchiude in sè limite veruno. Il quinto è di piombo, il qual è il più basso metallo; è fatto secondo che dicono gli Alchimisti di quel pianeta, il quale ha nome Saturno: che è infermo e grave, e così è il peccato della gola, che fa perder l’anima, e tanto l’aggrava che la manda in profondo, e fa perder il corpo per le molte infermità che la produce, e dice il filosofo, che molti più ne uccide la gola, che il coltello. Il sesto è il legno col fuoco; il fuoco col legno non può durar lungamente, che l’un e l’altro è consumato, e così la lussuria arde il corpo e l’anima del lussurioso. L’ultimo è la terra, la quale riceve tutte le cose, e la superbia vorrebbe far ancora come la terra, e non si avvede l’uomo superbo ch’egli è di terra, e in terra ritornerà, e secondo che perde l’anima, o il corpo, sarà lodato e biasimato dalle creature. Tutte queste cose vide il Meschino, ed era tanto pieno di maraviglia, che quasi era mezzo fuori di sè.
Quando Guerino giunse al prete Janni, s’inginocchiò tre volte avanti che giungesse a’ piedi suoi, i quali baciò. Era sopra la sala molta gente, e molti baroni, e mettevano mente al Guerino detto Meschino. Allora tre volte disse: miserere mei. Egli gli diede la benedizione col segno della santa croce, e fece un cenno a un barone, il quale lo prese per la mano e levollo dritto, menollo in una bella stanza, e al Meschino coi compagni gli fece far colazione, e disse che il suo signore non poteva attendere ora a lui. Onde egli aspettò, rinfrescossi, e poco stette che fu ricondotto dinanzi al prete Janni, perchè la calca della gente se n’era andata; egli era levato da sedere, e andava passeggiando per la sala.
Il Meschino gli s’inginocchiò dinanzi, ma egli lo fece levare dritto, preselo per la mano, e menollo per la sala, dimandando ch’egli fosse, ciò che andava facendo, e s’egli era cristiano e di qual paese. Il Meschino rispose in greco quanto era conveniente. E quando egli ebbe inteso il suo essere, chiamò dodici consiglieri, a’ cui disse quanto quel cavaliere andava cercando, e i molti e strani paesi da lui veduti, e i grandi pericoli passati, e disse: costui merita grande onore. I due compagni, e le guide tornarono indietro al loro ammiraglio, e il Meschino sempre mangiava a suo tempo col prete Janni.
Nota come le lor tavole son fatte, le quali sono in un’altra sala non men bella che la prima, proprio fatta come quella. Erano nove tavole, otto di marmo, e quella dinanzi alla sedia era tutta d’oro, e tanto basse che quando sedevano per mangiare tenevano le gambe distese. Chi tagliava innanzi stava in ginocchioni. Queste tavole le tengono così basse per il fresco, perchè il paese è molto sotto il sole, e sente grandissimi caldi. Alla prima tavola che era d’oro, stava il prete Janni, all’altre due che eran per testa, stavano i dodici sacerdoti, sei per tavola. Il più delle volte non stavano a mangiare, perchè avevano le lor abitazioni ricchissime. Questi son come a Roma i cardinali col papa. Alle altre sei tavole, ch’erano molto maggiori, mangiavano gli altri baroni e prelati; a questa sedeva il Meschino coi gentiluomini, e stette in questo modo cinque dì, e ogni dì parlava col prete Janni.
Passati cinque giorni da che il Meschino era arrivato alla città di Dragonda, il sesto dì vennero male novelle, come i Cinamoni avevano passato il fiume detto Stapar, e avevano assediata una città chiamata Gaconia, ch’è in sul detto fiume. Per questo fu fatto capitano un d’Europa, il qual partì con cento mila persone, e con trecento elefanti armati, e andò contra i Cinamoni. Il Meschino voleva andar con lui, ma il prete Janni non gli volle dar licenza. Al Meschino parve che quel capitano mandato non fosse troppo ben uso nell’arme, difatti egli andò in campo, e in capo di ventotto dì vennero novelle come lui era morto, e l’oste era sconfitto, e morti più di quarantamila cristiani. Per questo venne tanta paura nel regno che pareva che niuna speranza li confortasse, tutti aspettando d’esser morti dai Cinamoni. Onde il meschino andò dal prete Janni, e confortollo dicendo: «Ah santo padre, non temete, ma mandate per i regni vostri, e raccogliete la vostra gente che per il vero Dio ho ferma speranza che avrete vittoria contro loro». Molto gli piacque il parlare del Meschino, e fe’ scrivere per tutto il suo paese prima in Assianilia dove sono le montagne dette Camerata, e da loro chiamate monti Camestri, e quivi è la porta di ferro che serra il gran fiume Nilo. E mandò alla ragione di Traliau detta Thaveoi, e nel regno Sucientar, e mandò all’Isola detta Moreone, e per il regno di Barbaries in Asia per radunar gente da cavallo e da piedi. In questo mezzo venne novella che la città di Gaconia era stata presa e uccisa quanta gente vi era dentro, grandi e piccoli, e avevano fatto un signor chiamato Galafar, che era il più forte che fosse tra loro. Quella novella aggiunse paura sopra paura, ma il Meschino confortava il prete Janni tanto ch’ei prese speranza di vittoria, e fecelo capitano di tutta la sua gente. E per farlo da tutti ubbidire si cavò un anello di dito in presenza di tutti i capitani, e lo mise in dito al Meschino, e comandogli che fosse ubbidito come la sua persona, e fu messo sopra un carro che pareva tutto d’oro, e fu menato per tutta la città facendo festa, e tutta la gente d’arme da cavallo, e da piedi seguitando il carro con le bandiere, ch’eran messe sopra, e tutti gli istrumenti, come era usanza per il nuovo capitano, facevagli quella riverenza che esigeva il prete Janni. Ritornato al palazzo il Meschino come capitano comandò che s’apparecchiasse quel che faceva mestiero al fatto d’arme, e dimandò molto della condizione dei Cinamoni, e sentendo che gente era, ordinò molti arcieri, e alcune balestre ma poche, molte saette e molto medicame da avvelenare il saettume, onde in poco tempo radunata gran gente e provvisto a tutto questo che bisognava per andar al campo, andò sopra la riva del Nilo, e quivi fece la mostra, e trovaronsi duecentomila tra a cavallo ed a piedi. Di tutta questa gente tolse il Meschino cento mila e non più; cioè tutti quelli della montagna di Camerata più franca gente da battaglia che gli altri. Con questi, e con la grazia di Dio si partì dalla città di Dragonda e con la benedizione del prete Janni, e su per le rive del fiume Nilo andò cinque giorni, e trovò una gran città chiamata Aurona. Il prete Janni stava il più del tempo in questa città. Quando il Meschino vide la città inestimabile, e i casamenti del prete Janni, si fece beffe della Grecia, di Soria, d’Italia, d’Europa, di Egitto e di Africa; perchè non vide mai i più belli casamenti nè città, e tanto ricchi uomini di ricchezze mondane e temporali, e gente che conservasse meglio la sua fede, che persona dell’universo mondo. E non trovò mai la più virtuosa gente, nimica delle bugie, e son tenuti molto peggiori i bugiardi, che in Grecia gli usurari, e non sanno che cosa sia usura, e gran giustizia fanno de’ malfattori, e massimamente di quelli che contra la fede di Cristo facessero. Nè si trovano in questo paese eretici come sono in Grecia, e in Italia». Partiti da Aurona andarono costeggiando le montagne di Garbesten e in molte giornate arrivarono al fiume detto Stapar, il quale esce nel collo di Gaconia, e qui ebbe per ispie come i Cinamoni venivano verso loro. Ebbe notizia che i Cinamoni avevano poche arme, e manco n’avrebbono se non fossero quelle che avevano acquistate. Per questo volle vedere il Meschino quant’arcieri erano nel campo, e si trovò averne quattordicimila. Allora molto si confortò in quel giorno, ordinò spie le quali dissero come avevano dette le prime: ma dissero come per le ricchezze acquistate avevano più niuna ragione in loro, e non curavansi più di Dio, nè de’ Santi, ch’ogni legge contaminavano per la gola, per la lussuria, in modo che il padre stava con la figliuola, i figli con la madre, e il fratello con la sorella, e peggio ch’erano entrati in peccati contra natura, senza freno, e facevano molti peccati scellerati. Per questo lor timor di Dio, disse il Meschino; «a me pare aver vinta questa battaglia», e congregò il suo consiglio. E sparse in pubblico questa infamia per il campo, confortando i suoi, che Dio s’era adirato contro i Cinamoni, come al tempo del diluvio si corrucciò per simili peccati contro l’umana natura. E comandò che il campo s’inviasse contra i Cinamoni, e andò appresso a loro una giornata, e sempre dietro il fiume.