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158 | guerino. |
gran danno e guerra nell’ultime parti di questo paese». Dimandò Guerino: «Chi son questi Cinamoni?» Uno rispose: «Son uomini molto feroci, pastori di bestiame che per la grande abbondanza, e buoni terreni che hanno, si levano in superbia, e abitano l’altro regno di là dal fiume Nilo verso le parti Austriali». Entrati in palazzo, in un gran cortile smontarono, e legarono i loro cavalli a certi anelli d’argento, che son connessi nelle mura, come sono in Grecia gli anelli di ferro. Poichè ebbero legati i cavalli andarono alla scala per montar sul palazzo: questa scala era tutta di alabastro, e le sponde del lato dorate, con pietre preziose; le pareti del muro erano lavorate di mosaico istoriato, di sopra tutto ancora di mosaico, e di color d’aria a stelle d’oro. Domandò il Meschino: «Come può essere tanta ricchezza in questo paese?« Dissero la guida, per quattro cose: la prima il non aver guerra, nè pagar soldati: secondo il gran tributo, che gli danno i Saraceni per non perder l’acqua del Nilo: terzo il gran passar delle genti allo stretto del Mar Rosso, dove il prete Janni ha tre città, con bellissimi porti, e sicuri: quarto tutte le mercanzie di questo regno pagano il cento alla camera del prete Janni. Or pensa la grand’entrata e la poca spesa per tanti centinaia d’anni se gli debbano esser gran ricchezze: e perciò è chiamato questo paese terra di verità!
In capo della scala era una maravigliosa sala, lunga sessanta braccia, larga quaranta. In mezzo v’erano due colonne d’oro massiccio, i quattro cantoni del muro d’alabastro, e solamente del lato della fredda tramontana erano quattro, o cinque finestre tutte adornate intorno d’oro.
In mezzo di ciascuna finestra v’era una sedia tutta di oro infinitamente ornata di pietre preziose. Il tribunale aveva sette scalini per ogni scalino eravi scritto di lettere nere un peccato mortale. Il primo scalino della sedia era d’oro fino, e le lettere dicevano: fuggi l’avarizia, il secondo d’argento, e le lettere dicevano: fuggi l’accidia; il terzo di rame, fuggi l’invidia dicevano le lettere; il quarto di ferro, le lettere dicevano: fuggi l’ira; il quinto di piombo, le lettere dicevano: fuggi la gola; il sesto di legno intarsiato con alcune fiamme, che pareva ch’ardessero, le lettere dicevano: fuggi la lussuria; il settimo scalino