Guerino detto il Meschino/Capitolo XV
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CAPITOLO XV.
Guerino partito da Persepoli riporta grandi vittorie d’uomini e di fiere selvagge, e uccide un gran dragone.
Poi si partì di Gerusalemme, vide il monte Libano ed il monte Calvario, passò Palestina e Ascalona, che allora era nella città; poi prese la Rufa, poi un’altra città chiamata Brofeta, e così di tutta Soria scacciò i Turchi. Essendo a Brofeta, comandò che tutta la gente persiana e tutto l’oste tornasse indietro, e li rimandò pregando i baroni che lo raccomandassero all’Almansore soldano di Persia, e lagrimando montò a cavallo tutto armato, e soletto si partì di Brofeta, e andò al monte Sinai.
Avendo patito cinque dì gran necessità d’acqua, ne cominciò a trovar verso il monte Sinai, ed essendo smontato per rinfrescarsi vide uscir d’un vallone dove correva l’acqua, un uomo armato di corame cotto, che aveva uno scudo al braccio, ed un gran bastone in mano, e gridò: «sta saldo, cavaliero, se no tu sarai morto per mia fè». Disse il Guerino: «Per uomo morto non mi voglio rendere», e prestamente imbracciò lo scudo, e prese la lancia sotto mano, e voltossi contra costui, il quale era grande e di fortezza smisurata, e menò il bastone per dargli su la testa; ma il Guerino gli ruppe la lancia sullo scudo, e tagliogli ambe le braccia, e le mani rimasero attaccate al bastone. Quando il gigante si vide tagliate le braccia, si volse per fuggire, ma il Guerino si era avveduto del fatto, e si mise addosso di lui, e diedegli un colpo nella coscia diritta che la tagliò ben mezza, per modo ch’egli cadde, e nel cader gittò un gran grido. Il Guerino gli levò il capo dalle spalle; ed appena l’aveva ucciso che un altro simile a quello uscì dal medesimo vallone, e con gran minaccie assalì il Guerino.
Aveva egli nella mano manca un gran bastone ferrato, e nella diritta due dardi, e quando giunse al Guerino lanciogli un dardo, ficcoglielo nello scudo fino all’usbergo, e subito pigliò l’altro, ed il Meschino stava avvisato non senza gran paura, perchè costui pareva di maggiore grandezza e possanza del primo. Il Saraceno mise una voce e disse: «Se tutti gli dèi ti volessero campare non potrebbero, poichè hai ucciso il mio compagno». Il Guerino non gli rispose, ma accostossi a lui coperto dello scudo. Poichè il Saraceno vide il tempo opportuno lanciò il dardo nello scudo del Guerino, glielo passò, e gli venne appresso col bastone. Ruppe il dardo con la spada; ma non potè schivar il colpo del bastone, e se lo scudo non lo avesse coperto. Il Meschino si sarebbe trovato a mal partito, perchè il gran colpo lo fe’ inginocchiare in terra, e quando il gigante lo vide inginocchiato mise un gran grido, e disse: «Or tu ti rendi», ed aperte le braccia e lo scudo, gli andò a lato per abbracciarlo, ma il Guerino gli volse la punta della spada, che gli entrò per mezzo il petto, tanto, che gli uscia di dietro, e come l’ebbe ferito volle fuggire, ma non andò dieci passi che cadde. Il Meschino mezzo sbalordito, non si rinfrescò, ma montò a cavallo, temendo che in quel vallone non fossero altri giganti, ed andò al monte Sinai, e partito dal monte prese la via verso Arabia, dove trovò una città, detta Malattia, appresso le montagne di Arabia felice, e stettevi tre dì. Queste genti sono grandi e portano gran barba; colà sono più belle donne che in paese dove fosse stato. Partissi da Malattia, ed andò verso le montagne di Arabia felice, ed il giorno che vi giunse compì l’anno ch’egli era partito da Antinisca.
A Guerino, passate le montagne d’Arabia, venne in mente la regina Saba che aveva profetizzato molte cose, e come era venuta in Arabia. Ancora gli venne a mente i tre Magi che seguitarono la stella della natività di Cristo. Onde s’immaginò di trovar in Arabia qualche consiglio della sua generazione. Passando le Alpi trovò molte castella e molte ville. Poche case vi erano in quelle vie, e trovò che si portavano vasi pieni di carne cotta e pane che buttavano in certe concavità fatte nel sasso della montagna, dal lato dove batteva più il sole. Domandò a loro Guerino perchè facevano questo, e’ dissero che davano da mangiare alle anime de’ morti.
E quello che a lui pareva impossibile a credere, vide venire molti serpenti ed alcuni draghi, e ogni ragione di brutti vermi. Penò a passare quattro dì per queste montagne, e giunse a una città chiamata Ramma, dove si riposò tre dì, e fece ferrare il suo cavallo. Partito da Ramma prese il cammino per l’Arabia felice, passando molti paesi abitati e disabitati, vide il monte Blimar, sul quale trovansi gli alberi che fanno la mirra fina, la quale è una cosa da conservare i corpi umani. Sono alberi verdi alti cinque braccia, e fanno la mirra per le crepature come fa il pino. Di là entrò nel regno di Saba. E la prima città di questo regno fu Turaint, e la seconda Amano, la terza Saba, la quarta Terminar; questa città è tra questi monti ricchi. Andò al mare, ch’è tra la Persia e l’Arabia, chiamato da quelli di Arabia Sagacobites, e da’ Persiani Pericon, e sopra lo stretto dove esce il Mar Indico detto Tropico Paralicon. Da questa parte di Arabia pure in questa regione sono cinque città sul mare, dove si fanno le maggiori bellissime navi che navigano tutto il Mar indico e per tutto il Mar rosso. Queste città sono Gorminar, Andras, Maredeche, Tarta e Giara; questa è appresso la regione di Arabia felice, nella qual regione egli vide molte belle città. Partito di qui entrò nel regno Dabborre, e andato verso il Mar rosso, andò alla città detta Saba, donde vennero i tre magi Gaspare, Melchior e Baldassare. Questa città è ricca, ed appresso il mare una giornata, ed in mezzo di tre poggi, uno verso levante detto Babubatras, l’altro verso il mar dimandato Passion, l’altro verso ponente chiamato Orelisi; questo è lungi da Saba una giornata, gli altri mezza giornata. Partito da Saba andò a Buffar, e poi vide Menabrefa, e tornò al porto di Buffar, il quale è sullo stretto di Turbin donde viene l’acqua del Mar indo, che fa il Mar rosso. E lungo questo stretto cento miglia, il Mar rosso è lungo settanta miglia, e giunge nelle piazze di Egitto, e viene presso Babilonia cinque miglia, e per questo stretto Turbin passano le spezierie che vengon dall’India maggiore, e di Persia e di Arabia.
Partito Guerino detto Meschino di Arabia, passò lo stretto di Turbin, onde viene il Mar rosso, e giunse nelle riviere del prete Janni in India minore, e smontò ad una città detta Ancona ad un bel porto nel quale erano molte navi le quali si chiamano Argon e Attizon, cioè navi grandi e navi piccole, come tra noi conche e galere, e qui si pagano passaggi di tutte le mercanzie, che passano per lo stretto, ed entrano nel Mar rosso. E son tre porti del prete Janni: l’uno è su l’entrare del Mar rosso, ed ha nome Mosi, e quel ch’è nel mezzo dello stretto dove egli arrivò ha nome Ancona, ed è una bella città, e l’altro porto ch’è nell’altra, entra nello stretto sul Il Meschino dal prete Ianni. Mare indico, il quale fa una piazza che si chiama mare Barbans Jebicon, che viene nel reame del prete Janni, nel qual reame è una città sul mar Melo, dove molto si diletta di stare il prete Janni, che ha nome Areccio. E nota, che di questi tre porti ne cava il prete Janni tante ricchezze che non si potrebbe dire. Egli fu presentato ad un ammiraglio che gli fece grande onore, e per interprete gli domandò di che nazione era. Disse Guerino ch’egli era allevato in Grecia, di nazione cristiana; e di questo se ne fece grande allegrezza, perchè sono tutti cristiani quelli di quel paese, e d’India minore.
Ancona era molto popolata d’uomini: sono negri, e vestono panni celesti, di lana agnellina, e quelli di bassa condizione vestono panni di lino, e hanno corti i capelli. Dimandogli l’ammiraglio dove voleva andare; rispose, dal prete Janni: l’ammiraglio gli dette due guide, e partissi il Meschino di Ancona. Passata questa region vide la città di Conordia e Cologna, e la città di Saldin, ed una gran montagna detta Gerbaston, molto doviziosa d’acqua e bestiame, piena di molti castelli e ville; e sonovi molti cavalli che in tutta l’India minore non n’aveva veduto più. Vide assai, cavalli, asini, pecore, capre, vacche, buoi e andando ragionando con le due guide che eran interpreti, lor dimandò molte cose, e dimandò se andando al diritto si poteva andare in Affrica; eglino se ne risero, dicendo: «O gentiluomo, voi non potete andare in Affrica d’Egitto se non toccate il Cairo e Babilonia d’Egitto, imperocchè qui dritto è Libia, l’Etiopia remota, dove è il gran mare di Sabia, e abitasi poco paese dal Nilo in là; verso ponente comincia il gran mare d’Etiopia, cioè il mare della Rena, e dura dal Nilo fino al Mar oceano». Disse il Guerino che quando egli sentì questo, fu mal contento esser andato in Arabia, essendo stato a Palestina così appresso all’Egitto. Questi dissero che nella Libia erano molti leoni, dragoni e serpenti, che assai volte avevano passato il Nilo, e venivano per questo paese dove allora passavano, e dissero ancora le guide; se noi ne trovassimo alcuno, e lo lasciasse andare per la via, e andassimo per i nostri fatti non darieno impaccio; e sono stati veduti elefanti selvatici, e molte strane fiere, e che dal fiume del Nilo uscian certi dragoni, ch’erano buoni da mangiare, ed eran molto grandi, chiamati coccodrilli, e molte altre cose parlando dissero fra le quali che il prete Janni era a una città del regno Tiocco, la qual ha nome Ericonda, e lì era il fine della montagna.
Quando lasciarono la montagna entrarono per una pianura, e trovarono un vallone, largo circa quaranta miglia. Una delle guide che era innanzi un tratto di mano, volse il cavallo per fuggire. E quando Guerino il vide fuggire si fe’ gran maraviglia. Egli gridò vedere un gran dragone, che era un gran verme, e cominciarono a fuggire tutti e tre, e quando credettero avere passato il pericolo, egli gli era alle spalle. Cominciarono a stringer i cavalli, e il dragone gli correva dietro. Il Guerino che si vergognava di fuggire, smontò, e prese la spada in mano, e imbracciò lo scudo, tornò verso il verme, là si appiattò, e stava in agguato.
Quando gli giunse appresso, ei se gli gittò addosso, trasse le zampe, pigliò lo scudo, e con la bocca l’elmo, e con la coda il cinse a traverso. Il Meschino gli diede un gran colpo con la spada, ma niente gli fece. Se con le branche gli pigliava le braccia, il Guerino sarebbe morto, ma egli buttò via la spada, e tolse il coltello, e diedegli nella pancia tra le levate scaglie, e lo ferì per modo che il drago morì, e di là levossi il legame, che il serpe aveva fatto con la coda; e come fu lungi dal serpente a circa cinquanta braccia, cascò in terra, e si raccomandò l’anima a Dio. Ivi credette morire tanto era sbalordito, e quando si riebbe si trovò lungi un miglio, con intorno ben trenta persone di una villa lì vicino. Le guide lo avevano spogliato, e unto con certe unzioni, che si fanno contra il veleno di que’ serpenti, e vedutagli la crocetta, che egli aveva al collo, con gran divozione l’adorarono, per la qual crocetta fu campato da morte. Ognuno faceva grande allegrezza della vittoria avuta, e dissero che quella bestia aveva divorato, e guastato molto bestiame, e fanciulli, e per esse erano disposti di abbandonar la villa: onde gli fecero grand’onore, e in poco di ora vennero più di mille persone di quelle ville circostanti a veder il morto dragone. E ne portarono la testa alla villa e appiccaronla sopra la porta del tempio di quella villa. Poi fecero scrivere il nome del ed appicandola sopra la porta del tempio Meschino in questa forma. «Il Meschino chiamato Guerino cercando la sua consanguinità negli anni del nostro Signor Gesù Cristo 740 arrivò quivi, e uccise questo dragone, e lasciò questa ricordanza». E stettevi otto giorni, tanto che si purgò dal veleno.