Gli scorridori del mare/7. L'abbordaggio

7. L'abbordaggio

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Capitolo VII.

L’ABBORDAGGIO


Il capitano Solilach, udendo quelle parole, aveva provato un lampo d’inquietudine, però con un tono di voce che pareva tranquillo, aveva risposto:

— Fra tre ore saremo pronti a riceverlo.

L’equipaggio si schierò rapidamente in ordine di battaglia e si tenne pronto a ricever gli ordini del suo comandante.

Solilach prima di tutto spiegò tutte le vele possibili, poi volgendosi verso i marinai gridò con voce maschia:

— Cannonieri, ai vostri posti.

Venti robusti marinai, all’appello del comandante si recarono ai loro pezzi, mentre gli aiutanti andarono a mettersi accanto ai mucchi di palle di già disposte nelle batterie. [p. 38 modifica]

— Fucilieri, alla murata di babordo, — gridò poi il comandante.

I marinai armati di fucili, di pistole e di scuri, si precipitarono ai loro posti.

I dieci uomini che ancor rimanevano, furono distribuiti ai bracci delle vele, pronti a manovrare durante il combattimento e ad aggiustare i cavi danneggiati dalle palle e dalla mitraglia del nemico.

Disposti tutti gli uomini il capitano Solilach fece portare sul ponte dei barilotti di polvere, e delle piramidi di palle e di granate pronte a esser lanciate a mano.

Terminati i preparativi di difesa, il capitano e il secondo indossarono due corazze di pelle di bufalo, d’uno spessore tale da ripararli, se non dalle palle dei fucili, almeno da quelle delle pistole.

Sul capo invece si misero elmetti d’acciaio, di quelli usati dai lanzichenecchi1 e alla cintola si appesero una larga sciabola di arrembaggio.

Compiuto l’armamento, Solilach salì sul ponte di comando, col megafono in mano, e il secondo accanto. L’ufficiale fu messo a fianco del pilota onde sorvegliasse quel posto così importante e per curare che nell’abbordaggio non avvenisse alcun urto. Anzi per evitare maggiormente dei danni possibili, il capitano fece mettere lungo i fianchi del bark dei parabordi grossissimi che dovevano ammortire il colpo nel momento dell’attacco.

Il Cape-Town intanto avanzava rapidamente; a poco a poco guadagnava via sulla Garonna, quantunque questa fosse una delle migliori veliere dell’Atlantico. Il capitano Solilach ormai non si preoccupava molto di quell’attacco.

Egli conosceva troppo bene la sua nave, ed aveva fiducia nei suoi marinai, gente abituata a combattere quanto a navigare. È vero che il Cape-Town aveva cento uomini d’equipaggio ma cos’erano quaranta combattenti di più per dei guerrieri decisi a tutto? I cannoni della Garonna avrebbero d’altronde ristabilito l’equilibrio. Però Solilach decise, nelle tre miglia che ancora lo separavano dall’incrociatore, di cercare tutti i mezzi per schivare un combattimento.

Con un colpo di fischietto chiamò l’attenzione dei dieci marinai destinati alla manovra e gridò:

— Spiegate i coltellacci e scopamari.

Alcuni minuti dopo le vele supplementari si gonfiavano al vento. Tosto la Garonna prese un’andatura più rapida e parve guadagnare un po’ sull’incrociatore.

Poco dopo si udì il secondo a prorompere in una imprecazione.

— Cosa avete? — domandò il capitano volgendosi verso di lui. [p. 39 modifica]

— Quelle canaglie ci hanno imitati. Guardate i marinai che spiegano i coltellacci e gli scopamari.

— Decisamente quel dannato capitano vuole raggiungerci a qualunque costo, — disse Solilach stizzito.

— E ci raggiungerà presto, signore. Il Cape-Town è il più potente dei vascelli dopo l’Orient, — disse il secondo.

I coltellacci dell’incrociatore erano stati appena spiegati che un mormorio di rabbia s’alzò fra l’equipaggio della Garonna. La nave nemica correva più rapidamente di prima.

— All’abbordaggio, dunque, — disse il capitano. — Abbiamo il vantaggio d’aver cannoni più grossi, ma lo svantaggio di esser sotto vento.

— Credete voi, — domandò il secondo, — che l’essere sopravvento sia una grande fortuna?

— Sì, poichè la nave che si trova sopravvento può determinare il momento e la distanza dell’attacco, rimane colla carena più sommersa e quindi meno esposta alle palle, ed il vantaggio esser meno incomodata dal fumo e di non correr pericolo d’infiammare le cariche dei suoi cannoni.

— Sia ciò che si vuole, gliele daremo, — disse il secondo.

— Sì, e non più tardi di un’ora. Ormai ogni speranza di fuga ci è tolta; venga adunque l’abbordaggio e allora...

S’interruppe poi, si battè la mano sulla fronte e mandato un grido di gioia, esclamò:

— Ah! E io che mi dimenticavo...

— Che cosa? — gli chiese il secondo.

Il capitano invece di rispondergli si volse verso i marinai dicendo:

— Non abbiamo noi a bordo alcune botti di spirito?

— Sì, due, — risposero alcuni marinai.

— Portatele subito in coperta.

Alcuni minuti dopo le due botti furono issate sul cassero.

Allora Solilach abbandonò il ponte di comando e le fece attaccare a due paranchi e sospendere all’altezza del capo di banda di poppa.

Poi volgendosi verso i marinai della manovra, disse:

— Quando ci abborderanno, mentre noi respingeremo l’attacco, afferrate le botti, spingetele sul vascello nemico, spaccatele e incendiate il liquido. Quando le fiamme scorreranno, dateci l’avviso.

— Quale sarà il segnale? — domandarono i marinai.

Ramba, — disse il capitano.

— Noi vedremo quel dannato Cape-Town in fiamme, — esclamò il secondo con gioia feroce.

— Ma cos’è questo fragore? — domandò Solilach tendendo gli orecchi. [p. 40 modifica]

— Si batte il tamburo a bordo dell’incrociatore, — disse il secondo.

— Prepariamoci per l’arrembaggio allora.

I grappini furono messi a posto per esser lanciati contro l’incrociatore, la santabarbara venne aperta, poi, i coltellacci, gli scopamari e i pappafichi furono imbrogliati. Gli uomini della manovra si disposero ai piedi degli alberi, i fucilieri dietro le murate, e gli artiglieri ai loro pezzi.

Il Cape-Town allora non si trovava che a seicento metri. Solilach potè vedere gl’inglesi schierati lungo le murate, pronti per l’abbordaggio.

Passarono ancora alcuni minuti: la Garonna fuggiva sempre, perdendo a ogni istante terreno e la distanza scemava sensibilmente.

Ad un tratto una nuvola bianca coronò la prora del brik. Due detonazioni scoppiarono, e due palle andarono a spezzare il pennone di pappafico dell’albero di maestra della nave negriera.

Il capitano Solilach aveva seguito attentamente, cogli sguardi, la manovra degli artiglieri nemici.

— Animo, figliuoli, quel dannato incrociatore comincia la musica! — gridò. — Attenti ai vostri colpi; mirate giusto e picchiate sodo. Suvvia, fuoco!

I due cannoni di poppa tuonarono nel medesimo tempo, e poco dopo un urlo di dolore s’innalzò a bordo del brik: sei uomini che erano schierati presso l’albero di trinchetto erano stati massacrati da una palla.

Un hurrà prolungato scoppiò a bordo della Garonna; i primi colpi erano stati tirati e solamente quelli del negriero avevano colpito giusto.

La corsa continuò ancora per alcuni istanti, poi la prora del brik avvampò di nuovo, delle detonazioni scoppiarono e dei messaggieri di morte tempestarono la nave negriera, forandole le vele, e spezzandole parte della murata di babordo.

Solilach mandò un urlo di furore. Si slanciò giù dal ponte come toro ferito, e precipitandosi in mezzo agli artiglieri, gridò con voce irata:

— Dannazione! Fuoco! Fuoco!

Nel medesimo istante i sei pezzi della batteria di babordo della nave negriera tuonavano con orrendo frastuono, lanciando un turbine di ferro sul vascello nemico. Una parte del castello di prora volò in scheggie e due o tre pennoni, infranti dalle palle, rovinarono sul ponte.

Poco dopo la moschetteria incominciò a farsi udire.

Allora il fracasso divenne spaventevole. I tiri dei cannoni, i fischi delle palle che spezzavano gli attrezzi, le grida e i gemiti dei feriti, i comandi, le imprecazioni formavano un baccano assordante. [p. 41 modifica]Alcuni minuti dopo il Cape-Town, avvolto in mezzo al fumo e coronato di lampi, si trovava a soli pochi metri dalla Garonna.

Il capitano Solilach lo vide a tempo e slanciandosi nella batteria, urlò:

— A mitraglia!...

I cannoni della nave negriera tuonando insieme spazzarono il ponte del brik rovesciando tutto, mentre la moschetteria tempestava i cavi della manovra e gli uomini disposti sulle coffe. Un feroce urlo di rabbia e di dolore si levò a bordo dell’incrociatore, poi avvenne un urto formidabile, che le palle di canape intrecciato riuscirono appena ad attutire, quindi i grappini di arrembaggio vennero gettati tanto da una parte che dall’altra, e le due navi si trovarono saldamente agganciate.

Allora i negrieri, senza perdere tempo, si slanciano sul vascello nemico, arrampicandosi su per le griselle e, non curandosi della moschetteria, si precipitano sulla coperta.

Il capitano Solilach, con la spada nella mano destra, e la pistola nella sinistra, si avventò addosso al capitano inglese e gli spaccò la gola gettandolo insanguinato al suolo, poi come un leone si precipitò in mezzo ai nemici, seguito dai suoi negrieri.

La zuffa diventò feroce. Inglesi e negrieri combattono coi fucili e coi coltelli, e gettano granate che facero strage d’uomini.

Gli inglesi con uno sforzo violento, si avventano alla loro volta sui negrieri, incalzandoli e cercando di scacciarli dal vascello. Solilach però riuscì ancora a ributtarli, mentre i due cannoni da caccia mitragliano a bruciapelo i nemici.

Le grida dei combattenti, le detonazioni dei fucili, i fischi delle palle e il tuonar dei cannoni si confondevano in un fracasso spaventevole, mentre le vele, avvolte in mezzo a quel fumo, cadevano inerti lungo gli alberi: le due navi stavano immobili come se il vento fosse improvvisamente cessato. I negrieri, addossati alle murate, col capitano e il secondo alla testa, lottavano accanitamente, tenendo fermo ai ripetuti assalti degli inglesi più numerosi di loro. Parecchi cadaveri ingombravano già il ponte, e parecchi feriti, resi furenti pel dolore si trascinavano sui ginocchi tagliando le gambe ai nemici.

I marinai della manovra, incaricati di appiccar fuoco alla nave, visto la poppa del brik un po’ libera, ne approfittarono. Fecero oscillare le due botti sospese ai paranchi, poi le gettarono sul vascello nemico e con pochi colpi d’accetta le sfondarono. Il liquido si sparse, guadagnò la poppa, lambì il boccaporto e incendiò la stiva. Un istante dopo una nube di fumo salì mescolandosi a quella bianchiccia dei cannoni.

Ramba!, — urlano i gabbieri.

A quel grido i negrieri si slanciarono sulle murate e cercano d’abbandonare la nave nemica. Ciascuno aggrappandosi alle griselle [p. 42 modifica]e ai paterazzi si mette in salvo sulla Garonna. Solilach fu l’ultimo ad abbandonare la nave. Gli inglesi alla loro volta si slanciarono alle murate per salire a bordo della Garonna, ma i negrieri colle accette spezzarono i grappini, mentre altri riprendendo le armi, aprirono un fuoco d’inferno.

Intanto i marinai della manovra allontanavano le due navi.

La Garonna, obbedendo al timone ed al vento si staccava lentamente dal Cape-Town.

I cannoni ripresero quasi subito l’infernale musica.

Gli inglesi, ancora ignari del pericolo che li minacciava, sparavano furiosamente, mentre i marinai della manovra si slanciavano alle vele per abordare di nuovo il negriero.

Ad un tratto un grido terribile risonò a bordo del brik: gli inglesi si erano accorti del fuoco che ardeva nel ventre del loro vascello. Abbandonarono le artiglierie, e gettando grida di terrore, si precipitarono alle pompe. I negrieri dal canto loro non cessano di cannoneggiare i nemici.

L’albero di maestra, spaccato sotto la coffa, cadde sul ponte del brik, ingombrandolo di cavi e di vele; il bompresso, pure spaccato, cade in mare, mentre la mitraglia finì di sterminare l’equipaggio.

Fu allora che il capitano Solilach ebbe pietà di quei disgraziati.

— Basta adunque! Basta!

Gli artiglieri, però eccitati dal secondo, finsero non udire e si misero a tirar più rapidamente.

— Fermatevi! — gridò il capitano con voce imperiosa.

— Lasciateci sterminare quelle canaglie, — disse il secondo puntando un cannone.

— Non vedete che sono già quasi tutti morti? — urlò il capitano, fermandogli il braccio. — Basta!

I cannonieri ubbidirono di mala voglia.

Un fumo denso e nero s’innalzava dal boccaporto di poppa del brik, malgrado gli sforzi delle pompe.

Poco dopo una enorme lingua di fuoco irruppe, rischiarando sinistramente quella scena orribile. I marinai alla improvvisa comparsa del fuoco il quale già guadagnava gli alberi, avevano abbandonate le pompe, cercando di salvarsi nelle imbarcazioni, ma queste, forate dalle palle, erano inservibili. Un immenso urlo di disperazione e di rabbia risuonò sul brik, mentre il fumo si faceva più denso e le fiamme più vive.

Ormai tutta la tolda era preda del fuoco.

I marinai atterriti, correvano pel ponte, si arrampicavano sugli attrezzi e gettavano grida rauche, supplicando i negrieri di salvarli.

Il capitano Solilach aveva già fatte calare in mare le scialuppe per andare a raccogliere quei pochi superstiti, quando tutto d’un [p. 43 modifica]tratto un cupo rimbombo si udì nella stiva della nave, poi un’enorme colonna di fuoco, squarciando lo scafo, salì verso il cielo, seguita da uno scoppio spaventevole.

Il Cape-Town non esisteva più. Era balzato in aria sotto l’esplosione della polveriera in fiamme!



Note

  1. Terribili soldati di ventura resisi celebri per le loro crudeltà e per il Sacco di Roma.