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gli scorridori del mare | 43 |
tratto un cupo rimbombo si udì nella stiva della nave, poi un’enorme colonna di fuoco, squarciando lo scafo, salì verso il cielo, seguita da uno scoppio spaventevole.
Il Cape-Town non esisteva più. Era balzato in aria sotto l’esplosione della polveriera in fiamme!
Capitolo VIII.
L’EQUATORE
L’equipaggio della Garonna, muto pel terrore, aveva assistito a quella scena terribile di distruzione. Un leggero vento soffiava da est, ma la nave, dimenticata dall’equipaggio, rimaneva immobile. Dal capitano all’ultimo marinaio pareva che non fossero più capaci di staccare gli sguardi dal gorgo che aveva inghiottito l’incrociatore, i cui miseri avanzi, carbonizzati, si dondolavano a capriccio delle onde.
— È orribile!... Orribile!... — esclamò finalmente Solilach scuotendosi. — Quell’orrendo rimbombo non lo dimenticherò così presto.
— Sì, orribile, — disse il secondo, fremendo. — Pensiamo di andarcene, signor Solilach; quel gorgo che s’allarga mi fa paura.
— Ohe! Contrabracciate a babordo! — comandò il mastro.
I marinai abbandonarono le murate ed eseguirono rapidamente la manovra, ansiosi anche loro di lasciare quel triste luogo.
— Quanti uomini mancano? — domandò il capitano, con voce mal ferma.
I marinai si contarono, poi il nostromo disse:
— Venti, capitano.
— Temevo di più, — disse Solilach respirando. — Bisogna dire che siamo stati fortunati.
— E ora aggiustiamo i nostri attrezzi e mettiamo un po’ in ordine la coperta, — disse il secondo. — Quegli indiavolati inglesi tiravan poco ma picchiavan sodo. Guardate, abbiamo quasi tutti i pennoni dell’albero maestro danneggiati.
— Ripareremo subito i danni, — rispose Solilach guardando l’attrezzatura mal conciata dalle palle dell’incrociatore. — Ohe, mastro, al lavoro!
I marinai non se lo fecero ripetere, e sotto la direzione del nostromo si misero alacremente all’opera. Quasi tutti i pennoni dell’albero maestro eran spezzati; il belvedere e il contrabelvedere dell’albero di mezzana erano stati pure infranti dalle palle, e penzolavano ancora, attaccati con alcuni paterassini. Una parte della murata di babordo era stata demolita dall’urto, e così pure le bancacce di maestra e di mezzana.