Gli scorridori del mare/14. Il brigantino inglese
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CAPITOLO XIV.
IL BRIGANTINO INGLESE
All’alba, cento marinai armati di picconi, salirono su quattro lance e prendevano terra per incominciare il faticoso lavoro. Il capitano Parry assieme al secondo aveva già tracciata una via piuttosto tortuosa, larga tre metri, la quale dal basso saliva sino alla piattaforma dell’isolotto.
I marinai si distribuirono sui posti assegnati, e afferrati vigorosamente i picconi cominciarono a battere furiosamente la roccia, facendo volar intorno nuvoli di schegge.
Per ben un mese intero la roccia fu assalita con febbrile furore, ma gli sforzi dei pirati trionfarono. Ormai una comoda gradinata, che girava attorno al cono tronco, conduceva dalla riva della baia alla spianata superiore.
Fu solamente allora che sbarcarono i materiali di costruzione. Quei centocinquanta uomini, a prezzo d’impagabili fatiche e di sudori, riuscirono a trasportare quasi tutto il carico della nave sulla vetta dell’isolotto, ma non intrapresero i lavori che nel mese di giugno, poichè la stanchezza aveva finito per indebolirli.
Per cominciare il forte il capitano segnò sulla spianata un circolo che aveva una circonferenza di trecentocinquanta metri, il quale doveva servire di traccia per la costruzione della cinta; entro questo cerchio ne tracciò un secondo della circonferenza di cento metri. Questo doveva comprendere le stanze dei marinai, degli ufficiali, i magazzini e le polveriere.
Il 21 giugno di buon mattino i marinai si misero al lavoro per compiere quell’opera gigantesca ideata dal genio infernale del capitano Parry.
Dal primo all’ultimo si convertirono in muratori e si diedero a lavorare indefessamente da mane a sera, cominciando dapprima ad innalzare il fabbricato interno.
Quel casamento costruito a tutta prova di solidità, costò loro un mese di lavoro, ed altri due ne furono necessari per l’innalzamento della cinta coi relativi bastioni.
Per ultimarla essi furono costretti a strappare a forza di braccia i sassi dalla roccia e dovettero minare alcuni scogli, raccogliendo i rottami in fondo al mare a prezzo d’impagabili fatiche.
Quella cinta aveva oltre un metro di spessore e qua e là erano stati aperti dei fori per puntarvi i cannoni, numerose fuciliere pei tiratori.
Nei giorni seguenti gli otto cannoni da trentasei furono trascinati sulla spianata e messi sui bastioni in modo che colle loro bocche micidiali dominassero tutto all’intorno l’oceano. Le botti delle munizioni furono pure trasportate lassù e rinchiuse nella polveriera situata nella parte più meridionale del forte, e così i viveri e le armi che vennero rinchiuse nei magazzini.
Ultimati quei diversi lavori, cento marinai presero dimora nel forte. In quanto agli altri cinquanta furono incaricati di rimanere a bordo della Garonna onde essere pronti a difenderla, nel caso che venisse scoperta la baia da parte di qualche nave nemica.
Dopo un riposo d’un paio di settimane, la mattina del 22 dicembre il capitano e cento marinai fra i quali Banes e Bonga, s’imbarcarono sulla Garonna per andar in cerca di qualche bel vascello dalla pancia rigonfia, proveniente o dall’India o dall’Australia.
Parry lasciò cinquanta uomini al comando d’un ufficiale a guardia del forte, quindi diede subito l’ordine della partenza.
Toste le vele furono spiegate e mentre i cannoni del forte tuonavano in segno di saluto, la Garonna, colla bandiera inglese sull’albero di maestra, usciva dalla baia, lanciandosi sulle onde azzurro-cupe dell’oceano Pacifico.
Il mare era calmo; però una leggera brezza spirava dal sud, e gonfiando le vele della leggiadra nave, la spingeva abbastanza rapidamente verso la costa australiana.
Il capitano, dopo di aver fatto caricare tutti i cannoni ed armare tutto l’equipaggio, attese pazientemente la comparsa di qualche nave dal ventre rigonfio. Passarono però alcuni giorni senza che nessuna vela comparisse all’orizzonte. Già l’equipaggio cominciava ad impazientirsi ed a mormorare, volendo costringere il capitano a forzare la nave verso il nord, in direzione dell’oceano Indiano, luogo più atto a farvi ricche prede, essendo più frequentato, ma Parry, che non voleva subire pressioni da parte di chicchessia, mantenne ostinatamente quella rotta, certo di fare, presto o tardi, qualche fortunato incontro.
Verso la sera di quello stesso giorno, il capitano vedendo Banes passeggiar solo sul ponte, gli si avvicinò e battendogli sulla spalla con fare amichevole, gli disse:
— Orsù, mio bravo brasiliano, dimmi cosa ti pare del nostro forte? Davvero che non ti sei mostrato finora entusiasta.
— A me lo chiedete? — rispose Banes con voce sarcastica. — Io non ho mai fatto il pirata per dare dei giudizi sui covi degli schiumatori del mare.
— Ah! E credete voi, signor negriero, che il vostro defunto capitano sarebbe stato capace di far tanto?
— Giammai, — esclamò con violenza, il colosso, — giammai! Il capitano Solilach non era un pauroso per costruirsi dei ricoveri entro i quali nascondersi alla prima comparsa di una nave da guerra.
— Eh! Vi sta sempre a cuore il vostro capitano!
— Sì, signor Parry.
— Preferivate fare il negriero, eh?
— Quello almeno era un mestiere onesto.
— Uh!... Onesto!...
— Ci si guadagnava di più anche.
— Hai troppa fretta di riempire le tasche.
— V’ingannate poichè l’oro guadagnato rubando agli altri non lo desidero, — rispose Banes.
— Indiavolato negriero! — gridò il capitano, facendo un gesto minaccioso. — Taci o ti faccio mettere ai ferri.
Banes non osò irritarlo maggiormente e gli volse le spalle dirigendosi verso prora, mentre Parry seguendolo collo sguardo corrucciato, mormorava:
— Maledetto brasiliano; non farà mai volentieri il pirata.
Per tre giorni ancora la Garonna continuò a navigare dirigendosi ora verso il nord e ora verso l’ovest, senza mai fare alcun incontro. Anche il capitano cominciava, al pari dell’equipaggio, a perdere la pazienza.
— Sembra impossibile che non si incontri una nave in questi paraggi, — disse al secondo. — Se fra due giorni non vediamo una vela, saliremo verso il nord-ovest fino a incontrare l’arcipelago della Sonda.
— Anche a me la cosa sembra molto strana, capitano, — disse Walker.
— Eppure questa non è una regione abbandonata del tutto dai navigatori. Pare che il diavolo avverta i naviganti che un pirata scorrazza queste coste.
— Purchè non ci mandi invece qualche nave da guerra. In tale caso, cosa fareste capitano.
— Carico più che posso la mia nave di vele e prendo precipitosamente il largo. Colle navi da guerra, munite di becco e di artigli, non bisogna scherzare.
— Si potrebbe invece tentare un abbordaggio, prendere il bastimento, cannoni e attrezzi e venderlo in qualche luogo?
— Oibò! Vendere un bastimento! Affare pericoloso. Presto o tardi si accorgerebbero che quella nave è stata predata, e allora tutti i cacciatori di pirati e gli incrociatori volgerebbero la loro attenzione verso questi mari. Non mi garba andare a danzare sulla cima di qualche pennone di pappafico.
— E dei vascelli mercantili che prenderemo, che cosa ne farete?
— Come fanno gli altri pirati. Si vuota la stiva, si getta in mare l’equipaggio e s’incendia la nave.
— Non commettiamo simili atrocità, capitano. Accontentiamoci di saccheggiare le navi.
— Lo si vedrà più tardi, — rispose Parry.
Poi interrompendosi bruscamente fissò il suo sguardo su un punto dell’orizzonte. Guardò per alcuni istanti, poi stringendo fortemente il braccio del secondo, disse:
— Credo che fra poco il cannone parlerà! Guardate laggiù, — e gl’indicò un punto bianco, appena percettibile, perduto nell’immenso orizzonte.
— Una vela! Una nave! — gridarono in quell’istante i marinai delle crocette.
— Non mi ero ingannato, — disse Parry, lietamente. — Quel punto bianco indica una nave, ma non sappiamo ancora a quale classe appartenga.
Ciò dicendo puntò il cannocchiale che gli porgeva un marinaio e guardò attentamente.
— Rallegratevi ragazzi, — diss’egli con voce giuliva. — Abbiamo da fare con una «nave dal ventre rigonfio».
— Sia la benvenuta! — gridarono i marinai.
— Miserabili! — grido una voce lugubre, che parve uscisse dalla stiva.
— Chi è stato? — chiese Parry, divenendo livido per la collera e girando nell’intorno uno sguardo feroce.
I marinai stupiti e attoniti si guardarono l’un l’altro con diverse espressioni, gli uni con paura, gli altri con stupore misto a collera.
— Maledizione, guai se scoprirò colui che si permette simili scherzi. Parola da capitano che lo faccio impiccare sull’albero di maestra, — continuò Parry con rabbia concentrata.
Nessuno osò parlare, d’altronde tutti avevano rivolta la loro attenzione verso la vela segnalata, la quale ingrandiva a vista d’occhio.
— Caricate i cannoni e spiegate tutte le vele possibili; poi ognuno al suo posto di battaglia, — comandò il capitano, con un tono di voce da non ammettere replica.
I marinai si recarono ai loro posti, ma Banes e Bonga si recarono nella sala d’armi colla scusa di prendervi un fucile migliore.
— Hai udito quel grido? — chiese Banes scoppiando in una risata.
— Sì, — rispose il negro, mostrando i suoi denti magnifici.
— Sono stato io; bada però di non parlare con chicchessia poichè temo che il furfante abbia dei sospetti su noi, — disse il brasiliano, avviandosi verso le scale.
— Aspettate, — disse Bonga fermandolo per un braccio. — Prenderete parte anche voi al combattimento.
— Sì, ma invece di sparare sull’equipaggio nemico manderò le mie palle altrove, a meno che non mi si offra l’occasione di sbarazzarmi di qualche pirata.
— Ed io cercherò d’imitarvi, — disse Bonga, con un sorriso feroce.
Quando giunsero in coperta, la nave segnalata era già visibilissima; pareva, dalla sua rotta, che venisse da Melbourne, dalla Tasmania. La Garonna intanto carica di vele le correva incontro per tagliarle la via. Quando non fu che a sole quattro miglia, il capitano Parry puntò ancora il cannocchiale.
— Siamo fortunati, — disse al secondo. — Quella nave è un bel brigantino di bandiera inglese, e se non erro della portata di cinque o seicento tonnellate.
— Certamente il suo equipaggio non sospetta che dei suoi compatrioti si preparano ad attaccarlo e derubarlo, — disse il secondo ridendo.
— Eh via, faremo loro grazia della vita, — rispose allegramente Parry.
— Badate! Fugge! Fugge! — gridarono in quel mentre i marinai, vedendo il brigantino virare bruscamente di bordo, coprirsi di tela e cambiare rotta, come se avesse voluto appoggiare verso la costa australiana.
— Morte del diavolo! Fuori i coltellacci e gli scopamari e issa la bandiera nera! Lesti, braccia a babordo a prora, barra sottovento! — comandò Parry.
I marinai della manovra si slanciarono sugli alberi per eseguire gli ordini. Pochi istanti dopo i coltellacci e gli scopamari venivano spiegati al vento, mentre la bandiera nera, l’emblema dei pirati, saliva sul picco, al di sotto della bandiera inglese. Allora la Garonna coperta di vele affrettò la corsa, lanciandosi dietro al fuggiasco.
Il brigantino inglese era un buon camminatore, ma aveva da fare con una nave da corsa dalla carena stretta, e ben presto s’avvide che perdeva terreno a ogni istante.
— Diavolo! Il poveretto ha da fare col falco dell’Oceano armato di rostro e di artigli! — disse il secondo.
— È vero, ma a bordo deve avere un capitano che se ne intende, un vero lupo di mare. Però per quanto faccia, fra due ore e forse meno, lo avremo raggiunto.
— La Garonna è troppo buona veliera per lasciarsi vincere da un brigantino, — disse il secondo.
Infatti la Garonna guadagnava rapidamente, divorando la distanza che la separava.
Ben presto non si trovò che a seicento metri dalla nave inseguita. A poppa di quest’ultima una trentina di uomini si affacendavano dietro a quattro cannoni che ornavano i babordi del cassero.
— Peuh! Trenta uomini! — disse Parry con sprezzo.
In quell’istante si vide il capitano del brigantino portare un portavoce alle labbra, poi alcune bandiere segnali furono issate sugli alberi.
— Chi siete? Nemici o amici? — chiedevano quelle bandiere.
— Fermatevi, — segnalò il pirata.
Per tutta risposta due spari risuonarono a bordo del brigantino e una palla, passando rasente il capo di banda, abbattè un uomo della manovra, mentre l’altro forava la vela di parrocchetto.
— Maledizione! Fuoco! — urlò il pirata.
Otto spari fecero tremare il bark e otto messaggieri di morte andarono a tempestare il brigantino, uccidendogli due uomini, recidendogli alcune manovre e spezzando due o tre pennoni, i quali rovinarono con fracasso sul ponte.
Subito due lampi balenarono a poppa del brigantino e presero d’infilata, da prua a poppa il ponte della Garonna.
I quattro cannoni da trentasei della nave corsara avvamparono tosto, massacrando le murate e le vele del brigantino.
Un istante dopo la bandiera inglese della povera nave fu ammainata, fra le grida di gioia dei pirati.
Tosto le vele dei due navigli furono imbrogliate, e la Garonna, avanzando pel solo impulso dei suoi flocchi, andò ad abbordare la nave avversaria. I grappini furono gettati, ed i due legni vennero saldamente ormeggiati, l’uno all’altro.
I pirati, armati fino ai denti, si scagliarono sul ponte del brigantino, con urla spaventevoli. Il capitano inglese, ancora sorpreso per quella inqualificabile aggressione non avendo ancora scorto la bandiera nera, si fece innanzi coi suoi marinai e fermandosi a pochi passi dal capitano Parry.
— Che cosa volete? Cosa chiedete da noi inglesi che siamo vostri compatrioti, avendo la stessa bandiera? — chiese.
— Al diavolo gl’inglesi! Non avete veduto ancora la bandiera nera spiegata sotto quella inglese? — ghignò il pirata.
Il capitano del brigantino fece un balzo indietro e armò il fucile che teneva in mano, imitato da tutto l’equipaggio, ma Parry con una pistola in pugno gli balzò sopra e lo rovesciò sul ponte, mentre i suoi marinai si scagliavano sugli altri.
— Se fai un gesto e se non ti arrendi, ti ammazzo come un cane, — disse Parry, puntandogli una pistola sulla fronte.
— Pirata! — urlò l’inglese, dibattendosi.
— Dateci le merci.
Il capitano mandò un’imprecazione e tentò di ribellarsi al pirata, ma questi, appoggiandogli un ginocchio sul petto lo rovesciò, puntandogli la fredda canna della pistola sulla fronte.
I marinai inglesi si azzuffarono coi pirati, per cercare di porgere aiuto al loro capitano, però furono subito sopraffatti e legati solidamente agli alberi.
Allora i pirati, armati di accette, si scagliano sul boccaporto e lo spezzano, guardando avidamente il contenuto della stiva.
Essi non si erano ingannati; il ventre del brigantino riboccava di preziose merci provenienti dall’India. Colà vi si trovavano alla rinfusa balle di cotone, di seta e di oppio, sacchi di caffè, botti di zuccheri e casse di stoffe indiane.
— Ah! Il bel bottino! — disse il pirata. Poi alzando la voce:
— Suvvia, ragazzi, divertitevi e alleggerite questo bel brigantino del suo inutile carico.
Il capitano inglese mandò un urlo di rabbia, mentre i pirati, senza farselo dire due volte, si mettevano subitamente all’opera. Tutto fu gettato sottosopra, tutto fu portato sul ponte e caricato a bordo della Garonna.
Quei bricconi lavoravano con un’attività senza pari! Cinquanta di loro caricavano a bordo del brigantino, mentre gli altri cinquanta scaricavano a bordo della Garonna, gettando pei due boccaporti aperti, nella sottostante stiva, valanghe di stoffe, di balle di cotone, di sete, di oppio, di caffè e di zucchero.
In sole sei ore la stiva del brigantino fu completamente vuotata. Il capitano e l’equipaggio della nave predata, avevano assistito a quel saccheggio fremendo di rabbia impotente.
Il capitano Parry aveva stimato le merci da uomo che se ne intende e quando il saccheggio fu terminato, si rivolse verso i marinai, dicendo:
— E non vi pare una bella somma ottantamila dollari guadagnate in sole sei o sette ore?
— Evviva il capitano! Evviva la pirateria! — urlarono in coro tutti i marinai.
— Grazie, ragazzi miei! Ed ora divertitevi alle spalle di questi disgraziati che ebbero la mala sorte di farsi prendere, — disse il capitano e per dare l’esempio si recò nella cabina del comandante inglese onde impadronirsi della cassa di bordo.
Allora a bordo del brigantino successe una scena feroce: tutti quei furfanti si scagliarono sui marinai inglesi, maltrattandoli e minacciandoli di morte se non indicavano ove tenevano nascosti i loro denari. Tutto fu messo a ruba, tutto fu messo a sacco. Trovata la dispensa dei liquori si diedero all’orgia più sfrenata; spezzarono i barili di rhum e diarak, mandarono all’aria le provviste, poi non contenti, fracassarono le brande, le casse, tagliarono gomene e guastarono attrezzi.
Il capitano Parry, completamente ubriaco, minacciò più volte di appiccare il capitano inglese all’albero di maestra e di dar fuoco alla nave.
Tutta la notte quei furfanti si divertirono a bordo del brigantino e non lo abbandonarono che verso il mattino. Giunti sul ponte della Garonna, il capitano, che era ancora ubriaco, voleva che si sfasciasse il brigantino a colpi di cannone, ma Banes e Bonga rovesciarono gli artiglieri, pure completamente ebbri, sui loro pezzi, mentre gridavano ai marinai inglesi di spiegar le vele e di recidere gli ormeggi. Il secondo però, accesa una torcia, cercava di salire a bordo della povera nave per incendiarla.
Banes lo vide e gridò:
— Bonga, aiutali a recidere gli ormeggi e lascia che il brigantino se ne vada.
Bonga con un’accetta recise gli ormeggi. Allora il brigantino, ricevendo il vento di fronte, cominciò a muoversi. Il brasiliano intanto si era slanciato sul secondo.
Approfittando della confusione che regnava a bordo, lo afferrò pel collare e datogli un vigoroso pugno in pieno petto, lo precipitò in mare. Per alcuni istanti lo vide agitarsi alla superficie, poi sparire nei neri flutti dell’oceano.
— E uno, — mormorò egli, volgendosi per vedere se nessuno l’avea scorto.
I pirati non si erano accorti di nulla. Bevevano le ultime bottiglie degli inglesi, ballando, saltando, urlando come se fossero impazziti.
Intanto il brigantino, libero dai grappini, s’allontanava.
In sul principio la nave predata andò lentamente, poi le vele già spiegate si gonfiarono sotto il vento del sud e in breve sparve fra le nebbie del mattino.