Gazzetta Musicale di Milano, 1872/N. 50

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[p. 407 modifica]Si prega di rinnovare l’abbonamento pel 1873 in tempo per evitare ritardi nella spedizione del giornale. Tnr^XXVlfGAZZETTAMVÌUSiCALE^ Numero 50, DIRETTORE G. RICORDI. Esce tutte le domeniche. REDATTORE S. FARINA. Le prove date di costanza nel migliorare in tutti i modi la Gazzetta perchè risponda sempre meglio alle favorevolissime accoglienze che le vengono fatte dal pubblico, ei dispensano dal farci noi patrocinatori di noi stessi e da verbose promesse. La Gazzetta continuerà ad essere pubblicata nello stesso formato, colla stessa carta, e colle medesime condizioni d’abbonamento, vale a dire: PER UN ANNO»LIRE 20 Semestre in proporzione. — Non si fanno abbonamenti trimestrali^ — Per V estero si aggiungono le spese postali. Gli associati annui riceveranno in dono i seguenti premii: PREMIO RIVISTA MINIMA diretta da XNTONIO GIIÏSLAXZO^I. COLLABORATORI: Giorgio Arcoleo, A. G. Barrili, Vittorio Bersezio, A. Boito, Prof. G. Coloria, Edmondo De Amicis, Salvatore Farina (Redattore), Vittorio Imbriani, D. Marazzani, Prof. F. Martini, Luigi Matteucci, E. Navarro della Miraglia, Giulio Ricordi, E. Torelli-Viollier, ed altri. La Rivista Minima, a cui si aggiungono col nuovo anno tanti cari nomi della giovine letteratura, conserva gli intendimenti del passato anno e li migliora. Si occuperà di lettere, di politica, di arte, di drammatica e di scienze in apposite riviste; pubblicherà racconti, studi critici, e articoli di varietà; sarà insomma una vera rivista della quindicina e come il complemento della Gazzetta Musicale. Escirà due volte al mese in ottavo grande in sedici pagine di due colonne ciascuna, colla massima regolarità. SECONDO PREMIO ALBUM DI AUTOGRAFI Il successo di questa pubblicazione di nuovo genere è sempre crescente. Negli anni scorsi la difficoltà di raccogliere gli autografi ingenerò qualche lentezza; nel 1873 1a pubblicazione sarà più regolare e in maggior numero le tavole date agli associati. Queste tavole conterranno fac-simili degli autografi rari dei più grandi compositori, con un breve cenno biografico. Vf Album riesce cosi un interessante Dizionario Musicale. Le tavole d’autografi non si trovano in commercio, e sono riservate ai soli associati della Gazzetta; i nuovi associati che vogliano avere le tavole già pubblicate aggiungano L. 2 al prezzo d’abbonamento. Gli associati annui possono scegliere uno fra i seg l.° Il nuovo Album ^vocale di G. Palloni: Misteri delatore. 2.° Il nuovo Album vocale di F. Campana: Ricordo di Milano. 3.° Il nuovo Album vocale di A. Guercia: Una primavera a Roma. 4.° Il nuovo Album vocale di F. Schira: Dalla vetta delle Alpi. 5.° 30 Etudes-Poésies pour Piano par H. Berens. 6.° Heginellct - Opera di G. Braga, ridotta per Pianoforte, elegantissima edizione. nti premii musicali: 7.e Un volume della Biblioteca Popolare delle Opere complete per Pianoforte e Canto. 8.° Un volume della Biblioteca Popolare delle Opere complete per Pianoforte solo, ed un Fascicolo della Biblioteca tascabile. 9.° Tre Fascicoli della Biblioteca tascabile delle più celebri Sinfonie per Pianoforte solo. IO.0 Tre Fascicoli della Biblioteca tascabile delle Danze più popolari degli Strauss di Vienna. 11.0 Otto fotografie d’artisti. (a scelta fra i tre numeri) E f ^lanzonf. L;n V01,unle di 400 (recente PMlicazione). to P BP™™*1™’ Raccolta di Poesie Liriche per Musica da Camera 3. CRONOLOGIA degli spettacoli dei RR. Teatri di Milano dal 1778 al 1872, redatta da P Cam biast. — Magnifico ed interessante volume. ’ aa ± • Inoltre in ogni numero della Gazzetta e della Rivista Minima saranno pubblicate una o più Sciarade a premio a cui potranno aspirare quattro fra gli associati che ne manderanno la soluzione esatta. Sono in tutto non meno di 304 pezzi di musica che si offrono agli associati. Ogni trimestre verranno pubblicate varie Sciarade e Rebus eoi premio straordinario di uno spartito per Canto e Pianoforte solo a scelta. Gli artisti di canto associati alla Gazzetta avranno diritto a far inserire gratuitamente gli annunzi delle loro scritture e disponibilità nella copertina. Potranno inoltre far pubblicare quattro volte all’anno il loro repertorio. I soli associati annui hanno diritto a tutti i premii. Gli associati semestrali ricevono soltanto il primo premio. Non si daranno i premii se non dopo il pagamento dell’intero prezzo annuo d’associazione. Si spedisce gratis un numero completo di saggio della Gazzetta Musicale e della Rivista Minima, una tavola dell"Album di Autografi, più il programma coll’elenco particolareggiato dei premii a chi ne fa richiesta al R/. Stabilimento Ricordi. — IMEilaixo. L’AMMINISTRAZIONE. [p. 408 modifica]410 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO PRONUNCIATO DAL DIRETTORE DEL NOSTRO CONSERVATORIO DI MUSICA IN OCCASIONE DELLA DISTRIBUZIONE DEI PREMI fi per l’anno scolastico 1872-73 h;h! LLi • A J (Continuazione e fine. Vedasi il N. 48).

i! Un altro serio desiderio degli amatori serii sarebbe quello che il Conservatorio offrisse di quando in quando qualche.grande e classico lavoro, non a sola educazione degli alunni, ma a quella altresì di questa colta popolazione, che ne’ giudizii musicali tiene, è giustizia il rammentarlo, uno dei primissimi seggi. I nostri Regolamenti, a dir vero, fanno anzi di questo desiderio una legge. Ma di fronte alle strettezze finanziarie dello Stato, ai molteplici bisogni dell’istituto, questa legge, che ad essere osservata, importerebbe anch’essa spese ragguardevolissime, s’è dovuta da qualch’anno porre in dimenticanza anche dal mio illustre predecessore; al quale si sono più volte dovute esecuzioni grandiose, stupende e accuratissime. Si aggiunga che queste esecuzioni a masse relativamente colossali, adoperandovi contemporaneamente l’intero personale cosi dei professori, come degli alunni, venivano ad interrompere per un tempo indefinito l’insegnamento in pressoché ogni classe, cagionando un grave ritardo ne’ progressi degli alunni medesimi. Certo, che se la città non offrisse a tali musiche se non l’arringo del Conservatorio, l’istituto nostro non potrebbe esimersi dall’allestire di quando in quando questi imponenti concerti, che i Regolamenti appellano di educazione. Ma dacché una cittadina Società fiorente e benemerita, la Società del Quartetto, mira a consimile scopo, ed egregiamente lo raggiunge, la necessità per il Conservatorio di accingersi a questa bisogna è diminuita d’assai. E vero che il carattere sino ad ora quasi esclusivamente sinfonico della Società del Quartetto lascia una grave lacuna che dovrebbe colmarsi colle esecuzioni a grandi corpi vocali; ma siccome è nostro intendimento ordinare quandocchessia su vasta scala una scuola corale, retta dal Conservatorio, ma applicabile eziandio ai teatri, alle Società musicali, e via dicendo, così è lecito il ripromettersi che anche le musiche basate sopra siffatti elementi potranno in non • lungo volger di tempo risuonare o in questo recinto, od in altri, senza recare al Conservatorio gl’inconvenienti notati. Quanto agli esami privati intorno alle numerose materie, musicali e letterarie, di cui va ricco, più che qualsiasi altro, il Conservatorio nostro, diremo che li abbiamo posposti ai Saggi pubblici, a motivo che la preoccupazione di questi stornava negli alunni l’attenzione e l’interesse di quelli. E crediamo anche di esserci bene apposti riducendo il periodo di codesti esami a sole due settimane, senza nulla torre per altro alla loro importanza. Abbiamo udito sollevarsi tuttavia qualche lagno sulla soppressione degli esami pubblici: ma l’esperienza ei convinse che, di codesti esami pubblici, i frequentati non erano che quelli di canto e strumenti: negli altri tutti gli scanni destinati al pubblico rimasero sempre letteralmente deserti. Ravvi di più: il pubblico che v’interveniva non parve il più calmo all’uopo: si abbandonava di buon grado a un tale sistema di fragorosi applausi, confondeva molte volte nei plausi medesimi siffattamente il mediocre col buono, che non solo lo scopo non era raggiunto, ma le commissioni esaminatrici stesse ne rimanevano gravemente sturbate, a tale che la serenità del giudizio correva rischio d’offuscarsi. Per massima generale, nemmen io sarei lontano dall’istituire un controllo, una guarentigia; sebbene la specchiata probità del nostro corpo insegnante li renda superflui affatto. Ma, d’altro canto, rimane pure indubitato che se v’ebbe talvolta indulgenza, e indulgenza soverchia, essa si verificò precisamente quando da noi si schiusero le porte ad un pubblico non invitato, e ciò non ostante singolarmente ottimista. Nè giammai difatti come allora i premii, le onorificenze piovvero in così grande abbondanza sul capo de’ nostri alunni, e più ancora delle nostre alunne. Nell’anno che si chiude, le onorificenze si numerano in misura alquanto minore, e andranno scemando, io credo, e spero, di più in seguito. Tuttavia ridurle a quei minimi termini che alcuni vorrebbero ad ottenere che una distinzione sia tale non solo di nome ma anche di fatto, non la mi pare cosa gran che agevole, avvegnaché in uno Stabilimento di questa natura, dove le ammissioni non sono libere, ma invece subordinate alla distinta disposizione dell’aspirante, è evidente che le nullità ed anche le mediocrità non possono costituire che un’eccezione. Ciò non ostante, e su questo tema e sul precedente, Consiglio, Professori e Direzione convengono che qualche riforma è desiderabile; ed è loro fermo pensiero occuparsene di proposito. Ma sono questioni delicate; e conviene andare a rilento; perchè distruggere è facile, ma riedificare non lo è. Collo scemare delle onorificenze diminuirà pure in proporzione il numero delle pensioni che vi sono di diritto annesse, costituite, come è noto, dal fondo altre volte stanziato per i posti gratuiti nel Convitto. Già fin dall’anno scorso si potè operare un risparmio in questa categoria, che unitamente ad altri diversi varrà a porre in misura il Conservatorio di procacciarsi mille cose di cui si deplora la mancanza. Del resto s’è di questi giorni assai esagerato, duplicato, triplicato quasi, l’ammontare di codeste pensioni, che partono dalle 10 lire per salire al maximum di lire quaranta mensuali. Anche qui s’è provveduto dal Consiglio passato che le pensioni, anziché versarsi mese per mese, si accumulassero in un fondo, destinato a sovvenire l’alunno a compiuto corso di studii nell’arduo inizio di sua carriera. Cosi si innalzerebbe pure un argine ad impedire che i giovani escano immaturi dall’istituto; fatto che pur troppo s’avvera di frequente. E parlando di riforme, abbiamo veduto espresso un desiderio giustissimo; cioè che nelle nostre scuole venga accordata una maggior importanza all’insegnamento di lettura musicale ed a quello di basso numeralo. Senza discendere a maggiori particolari accenneremo che il primo non ha mai potuto ben ordinarsi, a cagione che si cumularono per ragioni economiche in alcuni professori, del resto valentissimi, disparate funzioni, al cui contemporaneo disimpegno manca un orario commisurato. Quanto alle classi di basso numeralo, noteremo che gli era stato in parte sostituito il metodo orale d’armonia che s’usa in Francia e altrove, metodo che non manca di pregi, ma che appunto congiura tanto quanto a far negligere quello tradizionale della scuola italiana. Il Consiglio Accademico intorno a ciò prevenne il pubblico voto, e sin dal maggio scorso invitò la Direzione a provvedere.

Non soltanto il frequente parlare delle cose nostre per parte della stampa locale; non soltanto l’accorrere crescente di eletto pubblico a qualunque dei nostri Saggi, ei è testimonianza dell’affetto che in generale la città nostra porta a questo nostro prediletto Istituto; ma ce ne porgono anche indubbia fede i doni splendidi che non pochi generosi vanno offrendo al Conservatorio. Quest’anno medesimo possiamo contare una triplice offerta, una più cospicua dell’altra. Un eccellente violino, dono del signor Finzi di Venezia, viene ad aumentare la collezione nonispregevole dei nostri strumenti d’arco; uno stupendo pianoforte di Erard a due meccaniche, appositamente commesso dal signor Francesco Lucca, verrà per disposizione del donatore a rendere più attraenti gli sperimenti dei nostri giovani pianisti. Il signor cav. Giulio Ricordi non cessa mai dall’incoraggiare a maggiori progressi i nostri alunni di qualsiasi classe, regalando gran numero d’opere, opere sempre egregie per istile, e spesso preziose per bellezza d’edizione. Nel corso dell’anno può ben calcolarsi ad oltre un migliaio di lire il valore complessivo di codeste edizioni. Taccio per brevità di un’infinità di altri presenti minori, dovuti a donatori diversi, fra i quali alcuni professori nostri: i quali doni se pur meno importanti, non riescirono men graditi. [p. 409 modifica]DON CARLO GAZZETTA MUSI Non potrei chiudere il presente sguardo sui fatti che più toccarono davvicino il Conservatorio senza ricordare un tema doloroso. senza consacrare una mesta ma dovuta commemorazione a un gruppo di colleglli che morte ei ha furati nel volgere di pochi mesi. Se da un canto il Conservatorio s’arricchì di due insigni nuovi docenti, l’Andreoli e il Guenzati, dall’altro ben tre furono gli eccellenti professori che nel corso di quest’anno lasciarono per sempre colleglli ed allievi amatissimi, e dai quali erano altrettanto riamati. Francesco Almasio, uomo probo, peritissimo suonatore d’Organo, si spegneva alla metà del novembre. Ai primi del dicembre lo seguiva Francesco Pizzi, anima integerrima, soavissimo flautista. Da pochi giorni poi ei abbandonò pure, Giano Brida, il più giovane di tutti i nostri professori. Nel Brida io perdetti un esimio allievo, un angelico amico; il Conservatorio un docente venerato per la scienza sua vasta, per T impareggiabile rettitudine d’animo. Fra gli altri distinti professori vi fu chi chiese d’esser collocato a riposo, chi sciaguratamente per ostinato malore non potè assistere nè punto nè poco i propri allievi, e chi anche noi potè in parte per onorifici incarichi affidatigli da tale a cui un rifiuto sarebbe riuscito, a dir poco, un’irriverenza, Il fatto irregolare, del resto, non si rinnoverà. Queste sventure, queste anormalità non ebbero però alcuna influenza rilevante nè sul regolare corso delle lezioni, nè sulla bontà dell’insegnamento. Volonterosi maestri, forniti di largo sapere, fra cui alcuni celeberrimi, coprirono con raro zelo le cattedre vacanti: nè i risultati ottenuti in codeste scuole speciali potevano riuscire più soddisfacenti. Rimarrebbe a dire della disciplina: ma è tutto detto in una parola. Per merito così del personale insegnante come del personale di sorveglianza, e direi per merito degli alunni stessi, non solo nulla ebbesi a lamentare da tale aspetto, ma l’accordo e il rispetto reciproco fra gli alunni, come la subordinazione verso i superiori lo furono quanto poteva desiderarsi. Uno o due fatti piuttosto gravi, puniti irrevocabilmente, nulla tolsero all’armonia dell’assieme, all’ordine che presiedette cosi nel quartiere dei maschi come in quello delle femmine: le cui scuole rispettive procedono parallelamente sì, ma affatto separate, salvo nelle rare circostanze di qualche musicale esigenza. Nè il regolare andamento si ottenne colle minaccie, coi castighi, colle pene, salvo rarissimi casi: bensì colla persuasione, col ragionamento, col non disvoler mai ciò che una volta s’è voluto. I nostri alunni sanno d’esser chiamati ad una nobile missione, a quella cioè d’essere i sacerdoti della più grande e più educatrice fra le arti. Sanno che dalla disciplina scaturisce l’ordine, dall’ordine l’accordo, dall’accordo de’diversi elementi la loro convergenza in un tutto armonico. Sanno che T armonia del congegno non è solamente simbolo, ma condizione di ogni armonia artistica, di quella dei suoni principalmente. Sanno insomma che ordine è condizione di bellezza, e la bellezza condizione di ogni educazione intellettuale, morale e civile. I nostri alunni queste cose le sanno. Laonde da una gioventù animosa che è penetrata della verità di codesti postulati è lecito sperar molto. Ed io mi riprometto infatti giorni migliori per l’arte: e nel paese nostro un più giusto apprezzamento dell’alto ufficio suo. A NAPOLI. A pubblicare tutti i giudizi! entusiastici che furono scritti dalla stampa di Napoli, ei mancherebbe lo spazio. Non sappiamo però resistere alla tentazione di riprodurre, aggiungendo un supplemento alla Gazzetta, due articoli critici che ei paiono dettati con molto acume: i nostri lettori non vi CALE DI MILANO 411 troveranno una lode banale, ma considerazioni che ne fanno la lettura interessante, Ciò che segue si legge nel Piccolo: Caro G. Z. Ho riascoltato iersera il Don Carlo per potermi persuadere che avevate ragione-, e, se me ne fossi persuaso, non risponderei alla vostra lettera pubblicata ieri, che dichiarandolo francamente. Ma qualche dissenso fra noi perdura ancora; nè svanirà, credo, che quando voi avrete riudito il Don Carlo. Colgo intanto con piacere quest’occasione per dire qualche altra mia idea su questo melodramma; e ciò ad evitare che il pubblico, se i giudizi del dilettante saranno diversi, confonda il gindizio interamente personale di lui, con. quello della direzione del Piccolo che gli lascia piena libertà di dire quel che vuole. D scorrendo con voi, che intendete l’arte come pochi la intendono, è inutile ch’io dica che cosa sia il dramma musicale. — Ma se questo è dramma, ed è bello, non è dunque bella la Norma e la Traviata? Tacete, non dite spropositi (rispondiamo insieme a tali interruttori), ogni cosa ha il suo stile e lo scrivere la storia con stile diverso da quello degli Inni di Manzoni non vuol dire che gli Inni debbano essere scritti con lo stile di Macaulay. Voi avete detto benissimo che il gran merito di Verdi consista nell’avere compreso il dramma musicale, nell’avere compenetrato in esso l’armonia dei tedeschi e la melodia degl’italiani. Il canto non è più solamente il peno ufficialmente annunciato, e che cammina co’ passi cadenzati. Come abbiamo sbandito dalle assemblee e dal foro l’orazione con voce grossa e gesti alla Camuccini, come abbiam sbandito dalla letteratura la rettorica e l’arcadia, e dalle scene del teatro di prosa la declamazione di Marchionni, di Monti, della Pieri, ecc., cosi il pezzo ufficiale ei ha seccato; il pezzo appaia per impeto dell’animo, inaspettato, naturalmente, non per convenzione; si svolga il tema, il concetto, non il pezzo con forme prestabilite. Tutto il nostro desideratum lo vediamo nel Don Carlo; ma esso, voi dite, è una elaborazione più che un lavoro; svolge completamente il tema dell’amicizia, non quello della tirannide di Filippo, nè delle lagrime di Fiandra, che, tormentosamente elaborati, restano immaturi, oscuri, talvolta troppo lunghi e ripetuti. E però, dite, il Don Carlo non diverrà popolare e non sarà pienamente accetto al pubblico. Scusate, a me pare che in quest’opera Verdi sia giunto ad impadronirsi della forma e farla cosa talmente sua, ch’ella talvolta ha tutta la forza e la vita del concetto, Dov’è l’elaborazione, ivi è sempre l’inceppato, il pauroso, il titubante, il rigido; nel lavoro che succede all’elaborazione già stata pienamente assimilata, avete invece la sicurezza, la forza, l’ardimento, l’eleganza. Tutta la poesia che precede e accompagna Dante è impastoiata; era elaborazione; Dante si libera; compie un lavoro. Fra gli epici, giunge ad essere elegante l’Ariosto, perchè il suo Orlando non è un’elaborazione; è il fatto dell’assimilazione d’un mondo; è il risultato e non il principio del lavoro. Le tragedie del Manzoni hanno i piè di piombo; la prudenza e la trepidazione le chiudono in un cerchio popiliano, perchè sono un’elaborazione; e là dov’egli è sicuro, dove il verso erompe da una coscienza compiuta, dove la forma non gli fa paura, là dove Manzoni riabbraccia la lirica, nei Cori, ecco una sicurezza ed un ardimento nuovi, ecco l’eleganza. Quando T elaborazione è compiuta, le incertezze allora finiscono, la rigidità scomparisce, spunta il fiore dell’eleganza: l’artista non ha paura della forma, scherza con essa, o ne usa senza sforzo, senza travaglio, senza esagerazione. Così la donna è impacciata, quando non è usata a portar belle e ricche vesti; è sicura di sè, svelta, padrona d’egni suo movimento quando è usata alla veste che porta ed allora può essere elegante. L’eleganza è quindi il segno che mostra finita l’elaborazione e cominciato il regno dei lavori compiuti di arte. Ora io non oso supporre che voi mi neghiate l’eleganza del Don Carlo. Verdi lo vedete in quest’opera così padrone della tecnica, che egli affronta e vince le più grandi difficoltà d’armonia e fa parerle facili con quella serenità’ che è scolpita in Apollo saettante il serpente Pitone. Non v’è funzione di strumento e di voce, della quale egli non abbia piena coscienza e di tutta si avvale con somma naturalezza, e voi uon ve ne accorgete, dove invece la musica tedesca spesso ve ne fa accorgere. Tutto qui è semplice così che la parte meno intelligente del pubblico non si avvede punto che Verdi scherza ora coi terzini, ora colle trombe, ora col violoncello, ora con tutta l’orchestra come se fosse con un solo strumento. Ebbene, questa è l’eleganza; questo è il segno che l’elaborazione era già finita. Verdi quando scrisse il Boccanegra, quando scrisse il Ballo in Maschera non avrebbe osato quello che ha osato nel Don Carlo. Nel Boccanegra lo tentò, fece i primi passi, e vi si vede la, rigidezza, la trepidazione, l’incertezza. Nel Ballo in Maschera tenne in sè la elaborazione e si affidò più alla sua prima maniera çhe sfugge le difficoltà tecniche, che alla seconda rivelatrice dell’elaborazione faticosa. Ora ecco la eleganza, ecco dunque il lavoro. E lavoro tedesco, mi dice qualcuno. Ma direte voi brutta una bella donna se tedesca? Sia pure scandinava; se bella, è fatta per essere amata. E che s’intende poi per musica tedesca? Quella che è povera di canto, dicono. Eh ma il Don Carlo sovrabbonda di canto; non è canto con inquadratura di chitarra ma è canto vero, canto di tutti, delle voci umane, del violoncello, dell’oboe, del violino, del flauto, del fagotto, della tromba. Cantano tutti! Non lo sentite in un punto là dove comincia il ballo, il canto dei contro-bassi? Cantano tutti qui, perfino la gran cassa ed i piattini. E questo non far servire l’orchestra di accompagnamento periodico e convenzionale ad un canto [p. 410 modifica]412 G A Z Z E T T A M U S I C A L E D I M I L A N 0 anch’esso convenzionale, questo far fremere in orchestra ciò che la parola parla, questo mutare la strumentazione in rivelatrice dell’intimo pensiero di chi canta, sì che mentre l’uno parla F altro piange o ride, o freme, o atterrisce, se pure non piangono, non ridono, non fremono l’uno e l’altro insieme, questo è effetto della calma superiore dell’artista che concepisce l’equilibrio e l’armonia fra tutte le parti che debbono cospirare ad uno stesso scopo, questo è il segno che egli già si sottopose e si assimilò la lunga elaborazione sua e del suo tempo e che la forma è sua schiava. Io non voglio qui noverare i moltissimi zampilli di freschissima lirica che si innalzano qua e là nell’opera, nè le quattro o cinque grandi sorgenti di melodia. Farei opera lunga e forse anche inutile, perchè iersera, seduto nella mia poltrona, sentivo a destra, a manca, dinanzi e alle spalle gli abbonati che sentivano per la seconda o terza volta il Don Carlo dive ogni istante: Senti qua che bellezza! Come è sublime questo! Quanto è caro! E udivo il pubblico che chiamò fuori il Verdi più volte che nella prima e nella seconda sera, applaudire a queste bellezze che cominciano ad essere gustate, applaudire davvero. Quando si applaudisce che il pezzo non è ancora finito, quando si chiama il maestro fuori a metà della scena, l’applauso non è di convenienza, non è fidinolo di stima; viene dal cuore. E poi. uscendo dal teatro, sentivo chi cantare «Carlo sommo imperatore,» chi» Mio fedel, fratello d’affetto, «chi «Dio che nell’alma infondere, «chi le famose battute, chi la marcia, chi la canzone del velo, chi il walzer, chi «No. tu sei la mia speranza» chi il coro dei frati al terzo atto, chi la romanza del baritono.. Eh e dicono che non ha canto abbastanza! L’Ebrea di Halèvy non fa lo stesso effetto a chi l’oda una volta sola? Voi credete svolto pienamente solo il tema dell’amicizia: gli altri vi paiono immaturi, oscuri, talvolta lunghi. Riudite il Don Carlo. Quando leggeste la prima volta i Sepolcri di Foscolo, ne capiste assai? E avete voi la potenza di comprendere le bellezze d’un inno di Pindaro dopo una prima lettura? A me, dopo averlo riudito, il Don Carlo ha fatto questa impressione: ch’esso svolga il tema dell’amicizia e che questo sia tutto il dramma musicale, ma che questo dramma si svolga in un ambiente e fra episodii parimente svolti con perfezione. La tirannide è un tema interamente svolto; ha il suo punto culminante nel monotono annuncio che Filippo fa sulla soglia del tempio: Nel posar sul mio capo la corona, Popolo, al ciel giurai, che a me la dona, Dar morte ai rei col fuoco e con Tacciar. Filippo in tutta l’opera non ha che questa voce senza sentimento; la ha, quando tutti lo circondano, chiedendo grazie per le Fiandre; quando parla col marchese di Posa; quando si vede tradito e dice adultera la moglie; quando delibera la morte del figliuolo; quando lo consegna in mano dell Inquisizione. Solo qualche istante si vede il barlume della commozione; ed essa risente sempre del carattere generale della parte; — nella romanza per esempio del 4.° atto. Talvolta il cuore del tiranno si muove, ma egli non ne dà segno; ce lo dice l’orchestra che. nel duetto tra Filippo e la moglie, accompagna con pianto di violini le parole di lui, che mostra essa 1 interna commozione del tiranno nel dialogo di lui col conte di Posa, e in quello con l’Inquisitore. Ora, in quest’assenza di sentimento è il sentimento della tirannide: e questo tema è perfettamente sviluppato. Trova un certo riscontro al carattere di Filippo, quello della regina. La passione disperata è, per natura sua chiusa, concentrata, agghiacciante. E voi non udrete mai uscire dalla bocca della regina quelle note che vengon fuori dalla Eboli; fin nell’ira hanno diversa faccia; ricordate ciò che la Eboli dice a Carlo ed al Posa, il modo come ella contraffa la regina, l’intemperanza dell’ira sua: e ponetela a raffronto di quel luogo dove la regina, saputo il tradimento della Eboli, le impone il bando o il chiostro e le soggiunge: Siate felice! E il tema dell’inquisizione anco mi pare pienamente sviluppato. Nasce in orchestra, quando i frati si avanzano prima deWauto-da-fè, si serba eguale a sè stesso nell’incitamento dei frati contro le Fiandre, nel canto del grande inquisitore, nella consegna di Carlo all’inquisizione: ed ha i suoi punti culminanti nella Voce angelica e nel coro finale d’anatema. Questo tema non si determina e non compie l’ufficio suo di atterrire col ripetere o svolgere una stessa frase, perchè ciò, familiarizzandovi con esso, velo renderebbe dilettoso ed amico, ma si afferma mostrando per più visi un aspetto stesso che in un sol punto genera il sereno della bellezza: e la bellezza splende sulla vittima, — la voce angelica. Vi direi mille altre cose: ma temo aver già annoiato voi e gli altri lettori. Ammaino dunque le vele. E, mentre le ammaino, vi dico che a parer mio quel confondersi delle proporzioni che circondano la delicatezza e la soavità dell’amicizia, quel giungere a voi non so quale senso di oscuro infinito tra il lugubre e il disperato, quell’accozzo d’indeterminato poetico e di determinato monotono vi dipinge la corte di Filippo, vi compie T ufficio del dramma, vi dà il colorito di tempo e di luogo. Senza quello, il dramma peccherebbe d’anacronismo. E, se volete ch’io vi dica, quali sono per me i difetti del Don Carlo, vi dirò, poiché siamo in fine, brevemente che, a mio avviso, son tre: E una bellezza complessa, quindi non facile ad essere ammirata, bellezza più poetica che musicale; ma, se è difetto che il dramma musicale sia vero dramma, bisogna decretare la morte del melodramma storico. Seconda pecca — dura cinque ore; e questo per un’opera da teatro è come l’adulterio pei mussulmani, il peccato inespiabile. Terza e sola pecca sostanziale mi pare sia questa: Il dramma, secondo me, finisce con la morte di Posa. Il dramma di Schiller è l’amore fra Don Carlo e la regina; il dramma di Verdi è l’amicizia fra Don Carlo e Posa; questo è il dramma musicale, questo è l’affetto che nella musica vola, come aquila, su tutti gli altri; questo solo è l’interesse drammatico; questa è la figura principale del quadro, nel quale tutto il resto è fondo, è colore, è tono, è accidente. Morto il marchese di Posa, udita l’ultima reminiscenza delle bellissime battute dell’amicizia, funebremente accompagnata da strumenti d’ottone, è morto il protagonista vero del dramma, cioè l’amicizia; il quinto atto non ha più ragione d’esistere; è un’altra cosa, staccata affatto dal dramma; è il racconto che si fa a chi, non contento d’aver saputa la fine d’un dramma o di un romanzo, come fanno le donne e i bambini, domandi: E poi? e degli altri che se n’è fatto? Con tutto ciò ch’io v’ho detto, non credo, ottimo amico, d’avervi persuaso. Lego ad un’altra udizione che farete del Don Carlo concertato dall’autore, il mandato di persuadervi. E addio. z. Ecco ora l’articolo della Gazzetta di Napoli: Abbiamo fatto promessa di ridire le impressioni prodotte in noi dal Don Carlo, ed eccoci a scioglierla. Le nostre impressioni si compendiano in una parola: entusiasmo; ognuno intenderà quindi come e quanto ei sia difficile l’esprimerle. L’entusiasmo si sente ma non si descrive e, quando si voglia pur tentarlo, si rimane sempre assai di sotto a ciò che si sente, poiché la parola è sempre impari alla commozione dell’animo, sempre troppo sbiadita per ritrarre le immagini che vi popolano la mente, sulla quale si riflette l’ombra dell’opera d’arte che vi ha affascinato. Diremo tuttavia alla meglio e senza, nessuna pretensione quel poco che potremo. A noi il Don Carlo è parso l’azione, la vita vera, il mondo reale, l’apoteosi dell’arte che, nella imitazione del vero, ha superato il vero abbellendolo, ha superato sè stessa divenendo razionale. Verdi del Don Carlo e Verdi del Rigoletto, della Traviata e del Ballo in Maschera, ma che infrena la fantasia, misura gli affetti, tempra i colori nei limiti del reale; che raccoglie tutta la potenza del suo genio e della sua dottrina, e crea in Italia il dramma musicale: il Don Carlo è la sintesi delle altre maniere da lui seguite con sì splendido risultato, è la più perfetta di tutte. Esaminate le sue opere, specialmente quelle che segnano il culmine di ciascuna fase del suo corso musicale, e vedrete una tendenza sempre progrediente a drammatizzare; uno sferzo perseverante di spastoiarsi dal convenzionalismo e di avvicinarsi al vero, al reale; un presentimento profondo ed indistinto, che va man mano determinandosi, del cammino fatale dell’arte italiana in una via nuova. L’arte è eterna, ma, se vuol essere umana, se vuol conservare il suo dominio nel mondo, dee secondare i tempi che traversa, le inclinazioni ed i costumi dei popoli, che si modificano sempre e si rinnovano. Da Paisiello a Rossini e da Rossini a Verdi, abbiamo avuto — generalmente parlando — ■ la lirica; il medio evo della musica, ei si permetta l’espressione. Era venuta l’ora della riforma. E impossibile forse determinare con precisione quale sia il legame tra l’arte e le altre discipline del mondo e il mondo stesso, ma è certo che un legame esiste; come esiste quello che imparenta l’una all’altra le facoltà umane, come esiste quel vincolo inesplicabile pel quale l’anima è avvinta al corpo ed ha commercio con esso: e poiché tutto s’è modificato, e il sentimento prevalente del tempo — quello diremmo che rappresenta l’istinto di ciascuna età — è l’azione, la realtà; l’arte — pena la decadenza, pena l’isolamento — dovea appressarsi a questa per salvare sè stessa, per salvare il genio dal bieco cinismo del positivismo. Ed ecco nasce il dramma musicale in Italia e, creato da Verdi, nasce gigante. Fu un tempo che noi italiani non si aveva teatro — dicevano — mentre in quella vece i nostri vicini della Senna si credevano, in questo, insuperabili; ma il vanto di tanti anni, la superiorità conquistata per lunghi studii proprii e per indolenza e pigrizia altrui cadde in un giorno; quel giorno che un uomo volle, potentemente volle esser poeta: Alfieri. Il medesimo è avvenuto ora nella musica: i tedeschi, che per l’indole loro primi si diedero al dramma e gli trovarono le forme, sono stati raggiunti col Don Carlo e con VAida, nel congegno, diremmo quasi, dell’opera drammatica, nello sviluppo dell’azione, ma lasciati sempre di tanto indietro di quanto erano già lontani da noi nella fecondità del genio che crea la melodia, indispensabile alla bellezza, all’efficacia dell’opera drammatica, non meno che a quella della lirica. E una falsa opinione, è un pregiudizio il credere che nella nuova maniera non entri la melodia; pregiudizio di chi, vedendo questa forma dell’arte prima adottata dai tedeschi nei quali è minima al paragone dei nostri la facoltà creatrice di melodia, argomenti che ora che noi ei siamo dati a seguir quella forma dobbiamo diventare aridi, evirarci, seppellire il genio. Lirica o drammatica, l’ispirazione è sempre quella; diversa la direzione, altre le proporzioni, altro il modo di manifestazione, — ma l’ispirazione è sempre la medesima. Il dramma di* Verdi è musica italiana, è una creazione puramente nazionale che non ha altro di comune con la straniera che il principio da cui muove, il quale, benché attuato prima da questo che da quello, non è nè di questo nè di quel paese, ma assoluto, universale come la verità, come il bello. 11 Don Carlo è pieno di melodia, ricca, svariatissima, conveniente, cioè, adatta al soggetto che informa, alle circostanze nelle quali si rivela; il Don Carlo anzi è tutto una melodia, tutto un canto, perchè vi cantano le voci, [p. 411 modifica]GAZZE T T A MUSI vi canta l’orchestra e sono un canto perfino le più dotte combinazioni armoniche. L’armonia completa, la melodia, l’orchestra, le voci, e queste e quelle aspirano ad uno scopo: ad unificare l’azione, a trarsi in mezzo ad essa, in médias res come diceva Orazio, il massimo dell’effetto cui pissa aspirare l’arte drammatica; e ei riescono. Ne volete una pruova di fatto? Ebbene! quell’entusiasmo che vi trascina tutti profani e cultori dell’arte, in quelle 8 battute che sono alla fine della prima parte del terzo atto; queste poche note che vi strappano l’applauso, che vi agitano, che vi elettrizzano fino al punto che voi durate pena a rimaner seduti, ad obbedire a certi riguardi sociali, vi commuovono soltanto forse per la loro bellezza ritmica, pei’ la grande sonorità? Questi sono accessorii. La ragione vera è che quel punto è tutta la sintesi del dramma, il sommo della parabola che il soggetto principale, il tema ha percorso — l’amicizia — e la divinazione della sua discesa fino al sacrifizio, fino alla morte. Quelle note sublimi sono l’ultimo tocco del gran pennello che compie il ritratto di quei due amici che voi avete imparato ad amare in tutto lo svolgimento dell’azione precedente: — Carlo, dall’accento passionato, che ama fino alla disperazione ed è troppo infelice perchè talvolta il dubbio non gli corra alla mente e troppo sincero perchè non gli prorompa sul labbro; Rodrigo, dalla fede immutabile, dalla parola franca e leale, ritrattavi con quel canto sempre affettuoso ma piano, sempre tenero ma calmo e sensato, con quella frase larga, determinata, schietta. Quella ispirazione è il più alto concetto dell’opera: più audace di Michelangelo che percuoteva il saio Mosè perchè parlasse, Verdi non chiede la parola a quei due caratteri, ma rapisce loro il pensiero e dà la favella all’orchestra che lo rivela. Se Verdi non l’avesse fatto, vi pare che voi lo avreste sottinteso — tanto quell’idea in quel punto era opportuna, necessaria, fatale; ed il vederla espressa ed a quel modo vi commuove perchè la verità è al colmo, perchè quella idea è vostra in tutta la sua estensione, perchè l’artista vi invade l’anima e la sua si confonde con la vostra, e voi partecipate all’azione, vi sentite quasi artisti voi pure. Questa efficacia, proporzionatamente, la vedete in tutte le altre parti dell’opera che, man mano che si svòlge, va sempreppiù determinandosi, ed allora la frase melodica si spiega pili larga, più spiccata, l’istrumentazione diviene più distinta, piglia la potenza della parola; e l’una e l’altra v’incalzano, vi perseguitano quasi, vi trascinano nel più forte della evidenza drammatica. — Esempi: il terzetto tra Eboli, Carlo e Rodrigo; tutta la parte seconda del terzo atto, e specialmente la grandiosa scena dov’entrano i fiamminghi; tutta la parte prima del quarto atto; la scena della carcere e l’ultima della maledizione. Questa luminosa evidenza risulta dalla verità dei caratteri, dalla convenienza delle circostanze. Don Carlo è come un quadro maraviglioso, dove tutto è nella sua vera luce, tutto è proporzione, tutto è varietà ed armonia. Non c’è una nota, una sola nota che esce dal carattere preso a ritrarre. Ed ogni carattere è compiuto, perfetto. Vedete, per esempio, la dolce, onesta, affettuosa ed infelice Elisabetta, che è segno alle più delicate cure di Verdi; che carattere finito, perfetto! tutta la vita di lei, l’amore, i dolori, le virtù, i dubbi, le speranze, il passato, il presente e l’avvenire — tutta questa variatissima epopea è riassunta nelle soavissime e melanconiche melodie della scena prima del quinto atto, temperate e compiute dal concorso di uno strumentale che sembra lavoro di cesello. Questi personaggi, queste figure, fatte vere, viventi, questi caratteri che o da soli o raggruppati si avvicendano nello svolgimento dell’azione, una pel tema che imperiosamente la domina sempre, varia per tendenze, per affetti, per contrasti di passioni, condotta con una robustezza di concetto che vi sbalordisce, con una tecnica disinvolta e padrona di tutte le risorse, di tutti i colori, di tutte le più diverse gradazioni e sfumature che possano trovare la fantasia più feconda, il gusto più corretto, più fino, più puro, più elegante, con la splendida ricchezza di una strumentatura impareggiabile, tutto questo tesoro di bellezze vi dà quella realtà, quella vita, quella luce, quel mondo artistico che dicevamo cominciando e che ei ha commossi fino all’entusiasmo, che ei fa udire che il dramma italiano è nato grande, che il Don Carlo di Verdi è pari in altezza al Don Carlo di Schiller.

★ ★ Non è nostro intendimento lo scendere ora ai particolari. Quando pure volessimo, sarebbe difficile di farlo con esattezza, dopo udita una sola volta una musica come il Don Carlo, e sarebbe tema di maggior lena che non sia un solo articolo di giornale. Ma, dette le impressioni nostre, vediamo un poco quelle del pubblico. Si dice da alcuni che la nuova maniera, questa nel Don Carlo, non piace alle moltitudini italiane; non è compresa, non piace a Napoli: dunque non è bella. Si può rispondere che l’artista quando crea non può guardare ai gusti delle masse; se il facesse, l’opera sua nascerebbe corrotta, malata di quei difetti e di quei pregiudizi! che sono nel volgo. L’artista vero, il genio, è appunto tale perchè si leva su quello: egli intuisce i bisogni, le tendenze dei suoi tempi, ne precorre lo sviluppo, ne divina e ne dirige il pensiero — è il vates; impone e non si fa imporre, forma e corregge il gusto. Se la nuova maniera ò difficile perchè non compassata in ritmi scanditi con tale uniformità che un’aria, una cabaletta vi rimanga nell’orecchio appena udita, vorrete dir per questo che sia più naturale, più vera, più reale, codesta forma di quest’altra, che, sciolta da quella misura e da quella siCALE DI MILANO 113 metria, studia a procedere spigliata e franca come la parola nel discorso, come la frase del dialogo famigliare, cercando la sua forza nella espressione più profonda del concetto? Non si ritiene forse più facilmente a mente una sestina di settenari! di altri piccoli versi e massime se rimati! che non una sestina di versi sciolti? e perchè più vi piace quel metro e la rima, diventerà forse quel genere di versi più adatto alla tragedia, al dramma che non sia il verso sciolto? e si potrebbe sostenerlo oggi che in un dramma che vuol essere vero, di buon gusto, nè il verso endecasillabo sciolto, nè martelliano devono essere ammessi, perchè non è naturale, perchè non è vero che tutti parlano in versi, ed è invece vero, è reale il contrario? Non si può dunque ritenere per solo bello tutto quello che piace, non si può ritardare il progesso dell’arte, quando appunto il tempo è giunto di progredire, per non dispiacere alle moltitudini; questo gusto ha bisogno di essere riformato e l’artista dee farlo, preparando la transizione ma senza smagarsi per difficoltà che incontri tra via. Qual’è la riforma, quale il progresso che non ne trovi ingombro il suo cammino? A chi oppone poi che la nuova maniera di musica, che il Don Carlo non si comprende dai più, si può rispondere che questo può esser vero fino ad un certo punto per chi, abituato a vedersi l’opera spartita in tanti brani, sminuzzata in tanti pezzi, dura fatica a seguire la nuova maniera che tira diritto secondo detta il tema, come avviene di certi lettori cui non regge l’animo d’ingollare un capitolo di un libro, sia pure ameno, se non centellinandolo in paragrafi di IO a 20 righe l’uno. Ma un po’ d’attenzione ei vuole in tutto; costa sforzi e fatiche anche il piacere. Ed anche non negando che il dramma musicale esiga un po’ d’attenzione maggiore che la musica che diciamo lirica, se ne ha compenso, e ad usura, nella più forte impressione che si riceve e nel diletto prodotto da quei canti distinti, spiegati che, senza le strettoie di forinole e di artifici! convenzionali, sgorgano liberi e potenti, come nel Don Carlo, dal naturale svolgimento dell’azione... e si comprendono — si rassicurino gli oppositori, e se ne vogliono una prova, vadano a S. Carlo. Ma poi, hanno forse compreso mai codeste moltitudini, delle quali si ha tanta tenerezza, i vecchi recitativi, i legami, gli attacchi, tutte le transizioni da una scena all’altra, da questo a quel pezzo? eppure non ei sono stati sì lungo tempo e non ei sono ancora? La questione dunque non è se l’opera piaccia o no, ma se meriti di piacere; quanto all’intendere, un po’più amore per l’arte e un po’ meno sobillazioni interessate sono il miglior maestro e la migliore scuola. Del resto, non mancano argomenti di fatto. Or fanno 41 anno, la sera del 26 dicembre 1831, fu rappresentata la prima volta alla Scala di Milano la Norma di Bellini, dalla Pasta, dalla Grisi, da Donzelli e da Negrini. Di quella sera memoranda Pacini scriveva ad un amico:» Ho veduto piangere Bellini dopo la rappresentazione del suo capo d’opera. „ E sapete perchè, su questo che a giudizio di Pacini era un capo d’opera, piangeva il cigno catanese? La risposta è in queste parole che togliamo da una lettera scritta da lui la sera stessa dello spettacolo, appena uscito di teatro, al carissimo amico suo, l’egregio maestro Fiorimo, archivista di S. Pietro a Maiella: «Carissimo Fiorimo, Milano, 26 dicembre 1831. «Ti scrivo sotto il peso del dolore, di un profondo dolore che non posso esprimere qual sia, ma che tu solo sei capace di comprendere. Vengo dalla Scala. Prima rappresentazione della Norma. Lo crederai tu? Fiasco! fiasco! solennissimo fiasco!» Il fiasco della Scala ha forse impedito che la Norma, che tra tutte le opere di quella maniera è la più drammatica, se non ei si vuol concedere addirittura che sia la prima, ha impedito che sia stata riconosciuta davvero e sia rimasta il capo di opera di Bellini? Ora, 41 anni dopo, qual’è l’insuccesso toccato in Italia al Don Carlo che, in fatto di colore drammatico, sta alla Norma appunto come il dramma sta alla lirica? Nessuno. Applaudito su tutti i teatri d’Italia e stranieri, lo fu anche in Napoli due anni sono, quando lo si era disformato, mutilato, contraffatto, ed ora procura ogni sera agli artisti ed al maestro ovazioni straordinarie. Ebbene — anche volendo conceder tutto — sopprimete gli applausi; rimarrebbe sempre il dramma non applaudito ma non disapprovato. E non è questo un progresso al paragone dell’infelice accoglienza toccata alla Norma? e questo progresso non dimostra per lo meno che già il gusto italiano si è modificato, che la nuova creazione risponde ai bisogni presenti e piace, non foss’altro, alla parte più eletta della società ch’è destinata a condurre, a dirigere le masse? Ma piace, infine, anche a queste: è questione di pili o men presto; ma chi va a San Carlo ogni sera, vede che Don Carlo piace, sempre più, a misura cha meglio s’intende. Ammettiamo però la grande difficoltà della nuova maniera perchè, a noi pare, che per piacere debba essere perfetta e che la mediocrità della esecuzione sia in essa meno tollerabile che in qualunque altra, almeno fino a che lo spirito che la informa entri negli artisti chiamati ad eseguirla. La difficoltà della composizione deriva da ciò che questa maniera compendia in sè e fonde tutte le altre che bisogna conoscere appieno, ed esige indubitabilmente più forza d’ingegno e maggior copia di dottrina e maggiore sperienza. La difficoltà della esecuzione esige più vasti studii negli artisti ed una certa tinta di coltura generale; esige che non calchi la scena chi non comprende, chi non sente quel che dice, e gabella la crassa ignoranza e l’asinità del core col dono immeritato di una bella voce. I cantanti tedeschi appunto perchè hanno educato il sentimento dalla coltura che in Germania è generale — benché concediamo che vi abbia la sna [p. 412 modifica]414 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO parte l’essere più adatta all’indole del paese e già vecchia per loro la musica drammatica — riescono meglio nella nuova maniera. La potenza di quelle anime di foco che sono la Stoltz e la Waldmann, ne sono la prova più eloquente. E poiché abbiamo toccato delle due grandi artiste che sono tanta parte della perfettissima esecuzione del Don Carlo, dovremmo ora scendere ai particolari di questa. Ma sarebbe ricominciare dove dobbiamo finire: ei contenteremo dunque di accennare che l’esecuzione è ammirabile da parte di tutti i valenti cantanti che entrano nel Don Carlo, ottima da parte dei cori. Quanto all’orchestra poi, è quel miracolo della più corretta precisione, della più squisita finitezza, della più elegante leggiadria che sa diventare l’orchestra del S. Carlo quando vuole rilevarsi all’altezza della fama che la disse in altri tempi la migliore di Europa. f- fiIl venerando Omnibus cosi parla delle posteriori rappresentazioni: La terza recita non riuscì meno lieta della prima e della seconda, sia per continue appellazioni all’illustre Verdi, sia per gli applausi ancor più vivi e sentiti del pubblico verso i cantanti. È indubitato che più si sente più si gusta questa elaboratissima musica, ed ogni sera più si rivelano in essa canti sublimi e soavi melodie come si chiamano con le voci antiche, ma che veramente sono stupendi trovati inerenti alle diverse posizioni ed ai differenti affetti

Il Don Carlo la quinta sera, cioè domenica, con teatro pieno ebbe maggior successo delle precedenti Vero è che ora i cantanti, l’orchestra, le masse, rassicurati dalla inevitabile titubanza delle prime sere, procedono non solo con grande sicurezza, ma vanno ogni sera più raffinando quella difficile esecuzione. Difatti i cantanti principali, la Stoltz, la Waldmann, Collini e il Miller, la quarta e la quinta sera stavano così bene di voce da deliziare i 4 o 5 mila dell’uditorio, e gli applausi e le chiamate ai soliti pezzi furono sempre più calorosi. E tutto il pubblico troverebbe esser questo il capolavoro di Verdi se non fossero circa cinque ore di musica. L’illustre maestro, che per le sue profonde convinzioni dal Nabucco all’Àida modificò, ma non mutò mai il suo sistema, pel quale giunse a tanto lustro, non vorrà mutarlo oggi, e si dee gradire uno spettacolo così complesso come egli ce l’offre. Dal nostro egregio corrispondente di Berlino riceviamo in risposta alla rettifica del signor Mendel una controrettifìca di cui per debito d’imparzialità riportiamo i punti principali, esprimendo il desiderio che così abbia termine per lo innanzi ogni polemica. «Mi preme di correggere due errori importanti in cui è caduto il signor Mendel. 1. Egli non è mai stato presidente del Tonkuenflewerein (come dimostrano gli statuti stampati), ma semplice segretario (schriftfuhrer). 2. I signori Taubert, Kiel, Biilow, Killer non sono che sodi onorarti della detta Società di cui non frequentano mai le riunioni, e molti artisti celebri, fra cui Carlo Tausig, pianista, hanno rifiutato quest’onore.» Continuerò a dire schiettamente le mie opinioni ed a svelare le molte miserie del nostro mondo musicale, poiché ho per bandiera la schiettezza. E a ciò m’incoraggia vie più il vedere che sebbene la vostra Gazzetta non sia in Germania molto diffusa, le sue parole pesano tanto da impensierire i nostri cultori della musica; l’ira con cui mi si assalisce dopo le parole scritte nella mia corrispondenza mi inorgoglisce. I lettori oramai mi conoscono - e mi basta». Rivista Milanese Sabato, 14 dicembre. Tendete l’orecchio: non s’ode più una stonatura. Milano melodrammatico è in vacanza. Il teatro Dal Verme ha chiuso le sue porte l’altro di colla quarta rappresentazione dei Promessi Sposi del maestro Boncinelli, il Carcano ha fatto altrettanto. Pel maestro Boncinelli la rappresentazione di chiusura del teatro del Verme fu una specie d’apoteosi; la fama del trionfo della sua opera in ventiquattr’ore aveva fatto molto cammino ed il numero di coloro che non avrebbero potuto più dormire placidi sonni senza la loro porzione di Promessi Sposi divenne considerevole; quella sera il teatro traboccava letteralmente di spettatori. Ci furono gli stessi applausi, po’ sù po’ giù le stesse chiamate, gli stessi pezzi ripetuti — più una corona d’alloro che Badre Cristoforo collocò colle sue mani sacerdotali sul capo del compositore. La cerimonia non poteva essere più solenne. La chiusura di questo teatro ne lascia incerti sulle sue sorti avvenire; oltre che nissuno osa lusingarsi che si voglia sagrifìcare il vecchio battesimo (il quale ha un’importantissima ragione di durare in eterno, ed è che non piace a nessuno.) non si sa nemmeno di sicuro quando e come si riaprirà. Certo è che saranno ripresi i lavori di costruzione. Il Carcano invece si addormenta sugli allori, promettendo di non fare che un pisolino di pochi giorni e di riaprirsi al 20 colY Ebreo. All’Ebreo terran dietro Gli Avventurieri del maestro Braga, e poi, secondo quel che dicono le cantonate a chi passa, il Caïd di Thomas, la Claudia ed il Michele Perrin di Cagnoni. Bùttero sarà il cardine della compagnia, la quale probabilmente farà il suo uffizio senza stridere. Questo interregno teatrale serve meravigliosamente per farci ricordare che abbiamo in prospettiva la stagione di carnevale. Tutti i teatri hanno messo fuori il loro programmuccio; non manca che la Scala, ma la veneranda ha tanto fatto dire di sè da otto o nove mesi, che il suo programma oramai si sa a memoria. Nuova invece o quasi nuova riuscirà la notizia dell’Uriella che è promessa al teatro della Canobbiana. Uriella non è un’opera, ma un ballo, un gran ballo, uno di quei gran balli che non vedono la luce... di bengala che alla Canobbiana. Oltre Y Uriella a quel teatro si avranno rappresentazioni drammatiche della compagnia Bietriboni. Al teatro Santa Redegonda, a cui ora dà vita insolita il classico meneghino Cappella, porrà le tende la compagnia Grégoire, la quale promette un diluvio di operette nuove, incominciando forse dalla Belle Hélène. Le promesse sono molte e varie e chi scamperà al panettone di Natale potrà fare una buona indigestione a Santo Stefano. Abbiamo anche avuto due concerti: uno di beneficenza alla Società del Giardino, l’altro sinfonico dato dalla Società del Quartetto. All’iniziativa ed alle cure del bravo signor Castoldi dobbiamo il primo, che riuscì assai bene, e splendido in special modo per il genere e numero dell’uditorio, che era molto femminino ed elegantissimo. Quel concerto deve aver dato a prò’ delle vittime dell’innondazione molte centinaja di lire. Noto brevemente, fra i pezzi che più piacquero, due belle composizioni del Castoldi; Ultimo Voto, cantata assai bene dalla signora Bonovelli, Sopra una tomba, cantata dalla signora Bogliaghi, la quale superò anche con fortuna il Valzer di Venzano e più le romanze dell’AAZa, del Don Sebastiano e della Marta dette con molta espressione dal tenore Mongmi famoso per i suoi do di petto. Il bravo tenore, non parendogli di aver messo abbastanza del suo a prò’ dei danneggiati dall’inondazione, regalò altre cento lire in moneta sonante. In questa occasione fu eseguita per la prima volta una fantasia strumentale del Quarenghi — L’Innondazione — e parve lavoro robusto di concetti e di forme, e molto caratteristico. Il Concerto sinfonico della Società del Quartetto aveva un programma ghiotto, in cinque portate, e fu divorato con infinito gusto fino alla fine. La Rapsodia Ungherese di Liszt, istrumentata da Mùllér-Bergmann fu fatta ripetere; — introdotta fra Beethoven e Schumann con infinito scandalo dei classici, era una specie di frutto proibito in un banchetto classico, ed era naturale che se ne volesse doppia porzione. È un pezzo biricchino, scapigliato, buono al più a dar l’immagine d’un veglione che finisce la vita chiassosa, raddoppiando il chiasso per far dispetto alla quaresima — ne convengo, ma ha un adagio delizioso, un crescendo così febbrile che sfida il chinino di tutti i classici, e se invece di far pensare cento cose profonde non lascia pensare a nulla, qualche volta, dico io, tanto meglio, anche in un concerto della Società del Quartetto. E poi, si ha un gran fare e un gran fingere, ma il pubblico d’un concerto classico non è mai abbastanza classico quanto il concerto. Del resto il trionfo di quel pezzo, se ne consolino i Quartettisti im [p. 413 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 415 macolati, è dovuto non tanto a Liszt quanto alla varia e ricca istrumentazione di Mailer, ed alla splendida esecuzione. L’orchestra diretta dal Faccio non ha mai mostrato tutta la sua grandezza come in quella biricchinata! A qualche cosa servono adunque anche le biricchinate. Degli altri pezzi del programma, innanzi a tutti per sentimento, per passione, per carattere mi piacquero i due frammenti del Sogno d’una notte d’estate di quel caro sognatore che era Mendelssohn. Il Notturno è una cosa commovente, soave, dilicatissima; l’intermezzo è uno dei pezzi di musica più caratteristici che abbia udito. Anche qui ottimamente l’orchestra, tranne alcune debolezze dei corni. L’Ouverture di Beethoven per II Re Stefano piacque molto aneli’essa, a dispetto dei suddetti corni; e della Gran Sinfonia di Schumann piacque infinitamente la grandiosità dell’ultimo tempo; meno i primi. L’ultimo pezzo era una novità, no.’Ouverture sul poema indiano Sakuntala, scritta dal sig. Gold mark, giovine autore tedesco che vive con buona riputazione a Vienna, come mi diceva l’amico Filippi, mezzo viennese per elezione. In questa Ouverture trovai dolcissima e molto originale la prima parte melanconica che è ripetuta infine; nel resto mi parve di vedere del convenzionale e del volgare - dico mi parve. Tutt’insieme l’esito di questo concerto fu splendido, tale da accontentare i dotti ed i profani, i quali sono tutti d’accordo nel dire che oramai l’orchestra della Società del Quartetto è una grande orchestra, e che il direttore è degno dell’orchestra. Due novità al Teatro della Commedia - Catilina di Parmenio Bettoli; Il Ridicolo di Paolo Ferrari. Il Catilina è uno studio in versi dei tempi della repubblica romana; mette in iscena Cicerone, Giulio Cesare, Catone ed altri nomi storici che oggi sbigottiscono, e poi le cortigiane, il popolo, lo schiavo, il comizio, la vita cittadina e la vita privata. Preso per quello che è, questo lavoro meritava assai miglior accoglienza che non abbia avuto, chè le difficoltà superate dall’autore a far un quadro di costumi il quale non apparisse indegno dell’argomento sono infinite, e tanto più in quanto la scena non è come il libro che permette la nota, o la citazione, e tutta l’immensa fatica che precedette la scrittura rimane nell’ombra. Forse però non ei rimane del tutto; i personaggi per parlare romanamente, come voleva l’autore, non solo riescono oscuri ai milanesi, ma hanno l’aria di far sapere a chi li ascolta che sono romani. Questa però è una menda quasi impercettibile; la più grave è l’assenza d’un vero nodo di dramma; sono scene unite insieme da un intento, sulle quali campeggia l’ambiziosa figura di Catilina, non altro. Di queste scene ve n’ha di robustissime; una che pone lo schiavo al cospetto del suo padrone è bella assai; stupenda un’altra che ei mostra in piazza le varie passioni del popolo e dei patrizi!; e così l’ultima fra Catilina e la sua amante. A queste almeno il pubblico doveva spianar le rughe; ma non le spianò ostinandosi a non vedere nel bel lavoro del Bettoli che una noiosa lezione di storia archeologica. Le sorti del Ridicolo di Paolo Ferrari furono diverse ad osmi o rappresentazione, tanto che, in gran parte ostili alla prima, ora sono quasi interamente mutate. Non è qui il luogo di diffonderci nell’analisi del nuovo dramma, però mi accontento di dire che le bellezze di prim’ordine vi sono forse maggiori che in ogni altro lavoro del Ferrari, ed i difetti anche; che in questo come negli altri drammi dello stesso autore anche l’occhio il quale non rimane abbagliato dall’arte e dell’ingegno e può ricercare le mende è costretto a confessare che la luce dell’ingegno è potentissima, somma l’arte, e infine che la severità d’una parte del pubblico in molti luoghi è proprio inesplicabile. Il quarto atto contiene una delle più belle scene di dramma che io abbia visto da gran tempo; nel terzo somme difficoltà sono superate felicemente nel complesso; nel quinto e nel primo vi hanno pure straordinarie bellezze. Ma se mi lascio tentare non la finisco più e addio propositi. Piglio il mio coraggio a due mani e faccio punto. S. F.

  • Carlo Soullier ha pubblicato testé in Parigi una buona traduzione lirica

della Straniera di Bellini! Quell’opera non era ancora stata tradotta, ed altre dello stesso autore sono in preparazione appena ora!

  • Al gran Teatro di Vienna fu rappresentata giorni sono con gran successo

la leggiadra operetta di Schubert La guerra domestica.

  • Il Teatro che è in costruzione a Magdeburgo costerà 300,000 talleri.

Una gran festa musicale avrà luogo a Cincinnati, che durerà sei giorni. Furono già raccolti ben 50,000 dollari. In questi giorni furono rappresentate le seguenti opere italiane: la Favorita all Aja, a Besançon e a Tolone; il Trovatore a Bajona, a Mons e a Rouen; la Traviata a Ginevra; la Lucia a Rennes; Don Pasquale a Liegi: il Barbiere a Verviers e la Gerusalemme (Lombardi} a Lille.

  • Nella Banda musicale del 9 0 Reggimento Fanteria sono vacanti tre posti: uno di primo quartino in mi bemolle, uno di primo clarino ed uno di

primo trombone di Concerto. — Gli aspiranti si rivolgano al Comando del suddetto Reggimento, a Milano Caserma di Santa Prassede. L’egregio maestro Mariotti di Torino è in trattative colla compagnia piemontese di T Milone per scrivere per quel Teatro Rossini un’operetta. 4 E dello stesso Mariotti (dice il Trovatore) si tratta di dare nel prossimo carnovale al Teatro Milanese (di Milano) l’operetta i Distratti (già rappresentata a Torino) tradotta in dialetto milanese. Pare che la nuova opera del maestro Roberto Amadei, il Bacchettone, si darà nel prossimo carnovale sulle scene del Teatro di Fermo. -V Un nuovo Teatro è stato inaugurato testò a Bisceglie (Puglie). II defunto cav. Vincenzo Bonetto faceva depositario il nostro Conservatorio di Musica di un premio annuo perpetuo di lire 500, onde incoraggiare quelli tra i giovani compositori che avessero scritto la migliore opera nel genere delle classiche tradizioni italiane. Il Consiglio Accademico dell’istituto suddetto aggiudicò testò per acclamazione il premio 1871-72 al maestro Amilcare Ponchielli, allievo del Conservatorio medesimo ed autore dei Promessi Sposi. N La Polizia di New-York pare determinata a sopprimere que’ convegni di ladri e di prostitute chiamati Concert Salons, ove molti giovani incauti sono trascinati alla ruina e non pochi forestieri derubati od uccisi. V Apprendiamo dalla Gazzetta del Pacifico che gl’italiani di S. Francisco facevano gran preparativi per una festa a benefizio dell’istituto Musicale del maestro Speranza e dell’ospitale italiano. Leggiamo nel Giornale di Modena: Se non siamo male informati, alcuni degli artisti di canto, animati dal favore che ha addimostrato di avere per essi il pubblico del Goldoni, starebbero studiando il progetto di assumere l’impresa di questo teatro per la stagione della prossima quaresima, e qualora riescissero a concretare le cose, darebbero La Statua di Carne del maestro Marchiò, ed il Trovatore. Ci auguriamo che riescano nell’intento, sapendo come la signora Flavis-Cencetti ed il baritono Giommi lo scorso estate colla Statua di Carne abbiano entusiasmato il pubblico di Rovigo e soddisfatto pienamente il maestro Marchiò che assistette parecchie sere alla rappresentazione della sua opera. JS. Il giornale II Trovatore ha pubblicato in questi giorni il solito Album Musicale che ogni anno regala ai suoi abbonati. È un elegante volume, ma più che all’eleganza deve il suo merito alla buona scelta dei pezzi che lo compongono. Nel prossimo numero parleremo diffusamente delle singole composizioni di questo Album. Intanto ei rallegriamo col Trovatore il quale si mostra così splendido cogli abbonati che pagano. A Chicago fu fondato un Conservatorio nel quale gli allievi sono gratuitamente istruiti in tutti i rami della musica. La società corale, Unione Musicale di Strasburgo, ha riportato un nuovo e splendido successo in un concerto dato il 26 novembre. Del programma facevano parte due opere teatrali; una nuova e preziosa operetta del signor Schwab — Le due consultazioni, che era stata eseguita con esito lieto due giorni innanzi, in occasione della festa di Santa Cecilia, e Tranb-Al-Cazar d’Offenbach. ¥ Durante il suo terzo soggiorno a Parigi, nel 1778, Mozart compose, oltre la sinfonia che fu eseguita con tanta fortuna ai concerti diretti da Legsos, gran parte della musica del ballo di Noverre, Les petits Riens. — Codesto spartito, il cui autore non fu nominato sull’affisso, ma che è accennato nella corrispondenza di Mozart e nelle sue biografie, si trova alla biblioteca delYOpéra di Parigi, e se ne deve la scoperta al signor Victor Wilder. A Parigi ebbe luogo un grazioso processo intentato al signor Avrillon da uno spettatore, il quale avendo preso le sedie d’orchestra allo sportello non aveva potuto trovar posto in teatro insieme colla sua signora. La questione fu trattata innanzi al Tribunale di commercio. L’avvocato dell’impresario espose, che il suo cliente non era tenuto a guarentire i posti presi allo sportello, e che l’offerta fatta di restituire il prezzo era più che sufficiente. L’avvocato della parte avversaria sostenne che l’amministrazione del teatro non può spacciare un numero di posti maggiore di quello che contiene la sala, e chiese che la direzione fosse costretta ad eseguire il con [p. 414 modifica]416 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO tratto fatto coll’acquisto del biglietto, vale a dire alla nuova esecuzione dello spettacolo di quella sera, coi danni ed interessi di cui lasciava l’apprezzamento al Tribunale. Il giornale da cui togliamo la notizia dice che la giurisprudenza del Tribunale della Senna è conforme a quest’ultima massima. Il Guide Musical di Bruxelles, avendo posto al concorso tre Melodie e tre Arie da ballo, ricevette la bagattella di 175 manoscritti per il primo concorso, e di 141 pel secondo. La Commissione esaminatrice suda sangue.

  • A Parigi nei passati giorni, in un concerto dato a Saint-Quintin si fè

udire con gran successo un violinista negro di molto talento. Si chiama Claudio Brindis. I nostri lettori furono informati d’un - Idolo Cinese - nuova opera che doveva essere messa al mondo da cinque maestri, coll’aiuto degli impresari Gherardi e Coccetti, sulle scene del teatro Goldoni. I due impresari ora non ne vogliono sapere, ed i cinque maestri che sono i signori Dechamps, Bacchini, Felici, Gialdini e Tacchinardi hanno in solido chiamato innanzi ai 1 ribunali i detti impresarii.

  • Troviamo nell’Espana Musical una sfida che non ei lascia dormire i

nostri sonni tranquilli. Quella Rédaction giustamente indignata (sic) per 1 accoglienza che ebbe a Bologna la prima rappresentazione del Tannhauser, sfida i disgraziati redattori dei periodici: Gazzetta Musicale di Milano, Gazzetta di Treviso, Y Opinione, Dietro le Scene, ecc., ecc., a citare un solo degli errori che essi trovano nello spartito di Wagner, proponendosi di ribattere ad uno ad uno i loro argomenti, figli certo di un amor proprio esagerato e così di seguito. Che rispondere? Il redattore di questa Gazzetta non ha udito una n.ta di Tannhauser a Bologna, e non ne ha scritto una sillaba di critica. Il nostro corrispondente, il quale del resto si è astenuto dagli apprezzamenti sul merito della musica, limitandosi a segnalare l’accoglienza, sarebbe imbarazzato a citare ad uno ad uno gli errori di quello spartito. Se vi sono errori nel Tannhauser, non può esservene che uno: il Tannhauser. Diciamo questo per non entrare in merito e per provare al nostro confratello spagnuolo che da noi chi accusa Wagner per il genere del suo melodramma non gli disconosce la scienza e l’ingegno. Del resto, ripetiamo, la sfida non tocca noi, nè probabi’mente nessuno dei giornali che la battagliera Espana Musical invita a scendere nel terreno. Perchè non se la piglia col pubblico di Bologna? Nell’articolo Giovanni Biffi, pubblicato nello scorso numero della Rivista Minima - sono incorsi quattro errori: Pag.377 - «con quella energia di valore - leggasi energia di volere. — Pag. 378, colonna 2.a - quel poeta ei parlava un satirico linguaggio - leggasi fatidico linguaggio. — Pag. 379, colonna 2.a - la più breve nota di codardia - leggasi: «la più lieve nota di codardia.» pag. 380, colonna 2, «di assestarsi in una esistenza poco agiata» leggasi * più agiata». Ghislanzoni ei scrive che gli si drizzano i capelli sulla fronte! CORRISPONDENZE TOItUSTO, 5 dicembre. La compagnia Grégoire al Carignano — H Boscaiuolo di Flotow allo Scribe Ruy-Blas al Vittorio — Astussie d’Margrittin del maestro Dalbesio al Rossini — Vatel del maestro Bercanovich al Circolo degli Artisti— Sinfonia del maestro Rossori al quarto Concerto popolare. Scrissi tempo fa che l’atmosfera musicale di questa nostra bella città era gravida d’avvenimenti; oggi ho il piacere di constatare che non ei furono aborti, che i neonati si portano quasi tutti bene e che la salute dell’augusta puerpera trovasi in condizioni eccellentissime. Non mai quindicina fu così fertile di novità come quella trascorsa dalla data dell’ultima mia corrispondenza, imperocché abbiamo avuto nientemeno che cinque melodrammi ed una sinfonia alla classica, eseguita al quarto gran concerto ed una fortunatissima riproduzione d’altre sinfonie e dell’opera Ruy-Blas. Al Carignano la compagnia francese Grégoire ha dato due delle ultime opere buffe di Offenbach, l’una intitolata La Princesse de Trébisonde, l’altra Boule de Neige, lavori in cui manca il senso comune, ma che e colla musica e colle parole e colle scene fanno ridere, e chi ride si diverte, e chi si diverte assai difficilmente si occupa del modo. Offenbach, che conosce i suoi polli, o meglio ancora i suoi galli, poiché generalmente le sue operette buffonesche sono scritte per Parigi, non bada tanto pel sottile nella scelta dei motivi e quel che viene, viene: ma ha l’arte di renderli originali colle sue trovate comiche, coi suoi scherzi di voce, coi gesti, colle grida, e con tutti quegli altri ingredienti di giochi di parole, di sorprese sceniche ed orchestrali e di parodie melodiche per cui tiene continuamente viva l’attenzione e provoca la più esilarante ilarità, aiutato s’intende da tutti gli artisti che sanno mascherarsi e non isdegnano di fare delle vere pagliacciate. Allo Scribe, Il Boscajuolo di Flotow, opera nuova per noi, sebbene vecchia per sè stessa, fruttò applausi e chiamate alla brava Pernini, nella sua cavatina, al Minetti ed al Cujas, nelle loro romanze, due gioielli melodici. Al Vittorio è tornato in scena il Ruy-Blas di Marchetti e vi ha ottenuto felice successo a merito anche della signora Caruzzi-Bedogni, che si è fatta molto applaudire e sola e col tenore Dalpasso nel duetto d’amore, la signorina Preda, quasi esordiente, sotto le spoglie di Casilda ha dovuto ripetere la sua ballata: del resto al Lalloni non conviene la parte di D. Cesare, come al Cesari quella di D. Giuntano, ma il pubblico si contenta, e chi si contenta gode e con questo spartito l’impresa Marchelli termina anche sta volta i suoi impegni colla generale soddisfazione. Le novità veramente nuove e nostre hanno cominciato al Rossini con l’operetta in dialetto Le astussie d’MargriUn, libretto del com.re avv. Luigi Rocca, musica appositamente scritta dal maestro cav. Dalbesio per la compagnia Milone e Ferrerò. lavoro in complesso riescito assai bene e perciò accolto con moltissimo favore e già per undici volte replicato. Tolto lo stile, che talvolta pecca di serietà, la musica del Dalbesio è abbastanza facile, scorrevole, melodica e vi hanno delle trovate comiche alla Offenbach, che non mancano di fare l’effetto desiderato: il coro d’introduzione ed una canzonetta detta assai bene dalla Renaud hanno avuto l’onore della replica, ma il pezzo migliore è il terzetto detto del zin zin, originale di concetto e di forme. L’operetta è in due atti, è diretta dall’autore stesso, ed è assai bene interpretata anche dalla Milone, dal Cherasco e dal Milone, che supplisce colla vis comica alla sua assoluta deficienza di voce. Poi abbiamo avuto l’operetta Valel per inaugurazione dei trattenimenti scenici presso il Circolo degli Artisti: il libretto è del compianto maestro Bercanovich, la musica è di suo figlio, il cav. Gualardo: interpreti ne sono la signorina Merlo, il signor Avigdor, protagonista, e i signori Rolando, Besia e Contone, con cori e orchestra diretta dall’autore e formata pure da filarmonici del Circolo stesso. Trattandosi di scene private naturalmente la critica è fuori di luogo, ma ei sarà lecito di affermare che alla seconda rappresentazione sono stati replicati due pezzi, e che quantunque il libretto sia troppo serio, il giovine maestro Bercanovich con una cura speciale alla forma, colla buona disposizione delle voci nei pezzi concertati e con qualche felice atto di melodie ha meritato le dimostrazioni di cui cogli interpreti è stato più volte T oggetto durante l’operetta e dopo calato il sipario. Viene per ultimo la sinfonia alla classica del maestro cav. Carlo Rossaro, dedicata alla Società dei Concerti Popolari ed eseguita appunto al quarto che ha avuto luogo domenica scorsa alle ore 4 pom.: come al solito nel vasto recinto del teatro Vittorio, gremito di spettatori. Questo primo lavoro istromentale del Rossaro lo rivela scrittore di polso, rotto ad ogni musicale disciplina, studioso degli autori più insigni e specialmente dei moderni germanici, profondo conoscitore dell’orchestra e de’ suoi effetti, quantunque fra noi manchi assolutamente il modo di poterla esperire: la prima parte è bellissima, sia per idee melodiche, sia per concetti fonetici, sia per condotta, sia per lo stile generale grandioso ed imponente; nella seconda c’è qualche lungheria, irrequietezza di tono e di movimenti, ma la chiusa è abbastanza buona e l’autore ha avuto tre chiamate al proscenio fra le più vive dimostrazioni. Per terminare il mio compito devo aggiungere che la sinfonia di Nicolai nelle Allegre comari di Windsor e quella del Reggente di Mercadante sono state ripetute: che quella di Beethoven per la tragedia Coriolano e quella di Meyerbeer nell’opera Stella del Nord, hanno fatto vivissima impressione; che finalmente L" invitation à la valse, fantasia per pianoforte di Weber, istrumentata da Berlioz ha piaciuto assaissimo e che il Pedrotti e la valentissima orchestra sono stati in ogni pezzo vivissimamente acclamati. £. ^4. TÇAPOLI, li dicembre Ancora del Don Carlo — Concerto di Costantino Palumbo — Uno sguardo innanzi. Il Don Carlo si è già rappresentato sei volte con sempre crescente buon successo. Si chiede ogni sera la replica della canzone del velo, e delle famose otto battute. Sabato scorso poi oltre questi due brani, si ridimandò pure l’esecuzione dello stupendo terzetto: trema per le. Per rendere accette al nostro pubblico le opere che per forma e per idee dipartonsi dalle vecchie abitudini, il miglior partito è la perseveranza. Per grande che sia l’opposizione sistematica fatta da lodatori di tempi che furono alle ultime opere dell’illustre maestro Verdi, mai non potrassi conseguire scopo alcuno. La Forza del Destino, il Don Carlo, TAz4a regneranno e in Italia e fuori, fin che saravvi un teatro indipendente. [p. 415 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 417 A misura che procedesi innanzi nelle rappresentazioni del Don Carlo, il nostro pubblico, che non manca di quella buona educazione musicale che può facilmente discernere l’ottimo dal non buono, il giusto dal falso, ne gusta maggiormente tutte le bellezze, fino le più riposte, e vorrebbe ancora testimoniare all’insigne maestro coi suoi plausi, e le molte chiamate, il pieno gradimento. Intanto il maestro Verdi dopo la terza rappresentazione, mai non recossi al teatro, ciò non ostante domenica scorsa, quinta recita della stagione, il pubblico chiamava ancora al proscenio il maestro, ma ebbe un bell’attendere, che l’illustre autore del Don Carlo, stava al teatro dei Fiorentini in un palchetto di second’ordine e udiva la recita del Rabagas. Vi discorsi già dell’ottima esecuzione, ma debbo ancora aggiungere a tutta lode de’valenti nostri professori e de’coristi, che forse mai una nuova opera ottenne sulle massime nostre scene tanta finitezza di colorito, tanta vivacità e coscienza di esecuzione. Ad ogni nuova recita i cori e l’orchestra sono parzialmente rimeritati di applauso. Convienmi dire ancor questa volta che tra le prime parti i maggiori onori toccano sempre alla Stolz, i cui eletti modi di canto onde governa la potente sua voce e il bellissimo sceneggiare le procacciano il pubblico favore in tutta la sua parte. Cosi pure ammirasi la grata e robusta voce del tenore Patierno. sempre ugualmente encomiato; il Collini fin dalla prima sera fu giudicato esperto cantante, ora, meglio rinfrancato, sa atteggiarsi a maggiore espressione e più forte sentire e per esso il pubblico gradimento è cresciuto a mille doppi. La Waldmann esegui tutta la sua parte sempre con anima, gusto, eleganza e precisione. Il Miller è stato ogni volta applaudito, la d’Aponte, il Cesarò e il d’Ottavi disimpegnaronsi pur bene. Costantino Palumbo dette un concerto il 30 dello scorso novembre alla presenza degli artisti più segnalati, e de’più eletti rappresentanti dell’alta aristocrazia. Il Palumbo rappresenta la vittoria delle massime difficoltà e la trasformazione di queste difficoltà stesse in elementi d’ineffabil piacere. Sotto le sue dita il pianoforte fa l’ufficio d’un’orchestra tanto più magica quanto più animata da uno spirito solo. Nel suo concerto esegui due suoi componimenti assai ben scritti e che meritano tutta la stima degl’intelligenti, più la Sonala appassionata del Beethoven, prese parte nel quintetto di Spohr, e riportò in tutti uno splendido trionfo. Il numeroso uditorio ammirò ancora una volta questo splendido ingegno, pieno di vigoria e d’una singolare proprietà di accento, e applaudillo entusiasticamente. Mentre a lui prodigavano elogi incliti personaggi, un detto giovanile mi. ferisce l’orecchio: se fossi arbitro di tutti i pianoforti io ne farei un falò al genio del Palumbo. Tali parole rimembrandomi quelle di Saint Preux ad Eloisa, poi che ebbe udita musica italiana mi fecero udire la vera perorazione del miglior elogio che mai scriver si potesse di questo giovine portentoso. Al Rossini provano la nuova opera del d’Arienzo: Il Cuoco; intanto quell’impresario credette ben fatto il riprodurre Cicco e Rienzo o un’eredità in Iscozia che è la più rancida cosa che sia mai uscita dalla testa di musicista. Al San Carlo per seconda opera si darà la Maria di Rohan, in quest’opera dovrebbe esordire la Maio, il Celada e Achille De Bassini! Trattasi pure di ridare il Ruy-Blas con la Stolz, il Patierno e il Collini; non si sa a quale prima donna sia affidata la parte di Casilda; dicesi che la Waldmann non intenda disimpegnarla. La Messa postuma del Mercadante non fu più eseguita, perchè ei volevano molte prove ed il tempo mancava essendo tutta l’orchestra di San Carlo impegnata. x c^CUTO. GDÉTN’OV’Ak, 12 dicembre. Romeo e Giulietta di Marchetti — Tiberini al Nazionale — Teatri minori. A quest’ora conoscete l’esito dell’Opera del Marchetti, Romeo e Giulietta, ed il pubblico l’ebbe nelle cinque date rappresentazioni in favore crescente. Martedì che fu l’ultima rappresentazione dello spartito e la chiusura della stagione autunnale, l’impresa volle dedicarla alla prima donna (Spaak) ed al tenore (Karl), ed il numeroso uditorio salutò gli artisti con manifestazioni tali da renderne qualunque invidioso. Il giovane baritono Balsamo lasciò si vive impressioni da farsi desiderare per altra stagione. Applausi, chiamate, fiori, ghirlande, nastri e oggetti di valore furono tributati a tutti indistintamente. Nella stessa sera altrettante ovazioni si facevano al Tiberini al teatro Nazionale, dove i Genovesi speravano udire ancora l’eminente Artista, che nella precedente sera regalò il pubblico della romanza nella Forza del Destino, eseguita come sa fare il Tiberini. Anche Carion e T Adami furono degnamente festeggiati. La signora Galimberti scritturata come primo contralto in questo teatro dove non fu utilizzata, cantò il Non tornò, di Tito Mattei — un’aria della Favorita ed una romanza di Campana in modo eletto, spiegando voce, agilità e bravura non comune. Ora il Nazionale tace e si riaprirà, per la stagione invernale con altra compagnia e coll’opera di Flotow Alessandro Stradella. Il Doria pel carnevale avrà la compagnia Aliprandi. Il Paganini quella di Alessandro Salvini. Sono pubblicati i cartelloni anche dei minori teatri, ma pel Carlo Felice ancora non è comparso niente. Il vostro corrispondente prende le vacanze, v’augura molti panettoni, e arrivederci al Santo Stefano. F P P PAVIA, 2 dicembre. L’organo di Santa Maria del Carmine, il cav. Lingiardi e Vincenzo Petra,li. Sebbene un po’ tardi, riparo ad una colpa di non avervi cioè ancora fatto cenno d’un avvenimento musicale di cui va superba la città nostra; vo’ dire del collaudo dell’organo di Santa Maria del Carmine, fabbricato nel 1836 dal cav. Luigi Lingiardi ed ora da lui stesso stupendamente riformato. Voi conoscete già la rinomanza alla quale è salito quest’uomo, artista in’sommo grado, che è riportato il più ingegnoso e valente fabbricatore d’organi in Italia; anche ultimamente la R. Accademia Raffaello d’Urbino lo onorava, acclamandolo suo socio corrispondente; ma ciò che forse non conoscete è la sua rara modestia e il suo ben inteso disinteresse. Dopo d’aver dotato la sua città natale, senza esigere compenso adeguato, dell’amirabile organo della Chiesa di S. Francesco, dóve tutte le domeniche una scelta folla d’intelligenti accorre a gustare i portentosi effetti che sa trarne il giovine e valenteMaestro Depauli, volle riformare anche quello del Carmine in guisa da introdurvi tutte le modificazioni portate dalle importanti scoperte da esso fatte con intelligente pazienza, con serii studi e con meditazioni profonde, e in modo da adattarlo aifi Architettura della Chiesa. Ad esso si deve il nuovo sistema pneumatico distributore del vento a seconda della volontà dell’organista; ad esso fi aggiunta d’un terzo iiratutio ai due già in uso ed una registratura ai pedali; ad esso la mirabile imitazione dei varii strumenti per la quale resta talvolta illuso l’uditore; ad esso le graduate tinte di forza che pongono l’esecutore in facolta di smorzare e rinforzare i suoni, e dal più lieve soffio di poche canne portare la sonorità al massimo grado d’intensità; ad esso il meraviglioso quanto simpatico meccanismo che simula il coro delle voci umane. — Che dirvi poi di quel fenomeno musicale, chiamato Vincenso Petrali cremasco. che fu qui chiamato a collaudare l’Organo? La domenica del 24 novembre il numeroso e scelto pubblico, che stipava l’ampia Chiesa, era beato, imparadisato da quest’uomo prodigioso. — Il poeta pavese Giuseppe Bignami, già favorevolmente noto per altro graziose sue composizioni, dettava in quest’occasione una bellissima poesia in dialetto patrio. JAvl. 4 dicembre. Don César de Bazan, opera comica in 4 atti del sig. Massenet — Dans la Forêt opera comica in un atto del sig. Constantin. — Hamlet all’Opéra. Due opere nuove, l’una all’Opéra-Comique, l’altra all’Ateneo; la prima in quattro atti, o in tre atti e quattro quadri, il che vale lo stesso. ha per titolo Don César de Bazan, tratta dal noto dramma di Desmery e Dumanoir; la seconda in un sol atto, porta per titolo Dans la Forêt, ed è scritta su d’un libretto originale di Giulio Ruelle, attualmente direttore dell’Ateneo. Cominciamo dalla più importante di queste due produzioni. Il sig. Massenet che ha scritto la musica del Don César de Bazan è un giovine maestro, alievo di Ambrogio Tomas, ed eccellente armonista. Pochi tra i giovani compositori conoscono l’arte istrumentale al paro di lui; è laborioso, infaticabile, fecondo, e amato da tutti i suoi confratelli; onde la sera della prima rappresentazione le simpatie del pubblico erano molto vive per questo novello compositore che esordiva nientemeno che con un’opera in quattro atti. Qui un caso simile è assai raro, perchè gli esordienti non possono sperar di dar da bel principio che un sol atto, due al più. Pel Massenet si è fatto un’eccezione. Gli si è dato un libreto d’un autore ben conosciuto, gli si è aperto il teatro che dopo fi Opéra è il più importante della capitale; è stata lasciata a lui la scelta dei cantanti; scene, ve [p. 416 modifica]418 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO stiario, accessorii, tutto gli è stato profuso, con lusso. Insomma si sperava moltissimo da questo lavoro, tanto più che il Massenet si era già fatto conoscere con un bel lavoro sinfonico, eseguito nei concerti popolari del Pasdeloup, ed intitolato Suite ei’orchestre. Non dico però che le speranze sieno state deluse, no; ma neppure che si sieno completamente avverate. Certo i plausi non sono stati risparmiati, ma per quanto il pubblico si sia mostrato benevolo ed. indulgente, l’opera del Massenet non è stata giudicata troppo favorevolmente dai conoscitori. E perchè? perchè il giovine maestro senz’essere precisamente della scuola dellVwcenire, sembra volersi preoccupare ancora più dell’orchestra che delle voci, ancora più dell’accompagnamento che del canto. Prima di colorire bisogna disegnar le figure del quadro; il Massenet trascura il disegno. Quel che egli possiede ad un grado superiore è ciò che si ottiene con lungo studio, quel che gli manca è ciò che si ha dalla natura. Egli ha più erudizione che immaginazione: sarà nn ottimo contrappuntista ed un mediocre compositore. La sua musica otterrà il suffragio dei sapienti e non alletterà il semplice uditorio d’un teatro. Esaminato dai primi professori del Conservatorio, il suo spartito non offrirà la menoma pecca; ma fatelo eseguire in un teatro, e salvo qua e là qualche pezzo veramente riuscito, il resto vi lascerà freddo, come alla lettura d’un bel discorso accademico; potete ammirarlo, studiarlo anche, ma non lo sceglierete quando volete dilettarvi. Certamente in quattro atti di che si compone il Don Cesare di Bazan, troverete qua una romanza, là una berceuse, più appresso un duetto, un preludio d’intermezzo tra i due atti, un’aria < he vi piaceranno appunto perchè questi pezzi sono, per eccezione, melodici. Ma nell’insieme, nel complesso, l’opera non vi farà quella grata impressione che avreste desiderata. Insomma il Massenet deve ancora più distaccarsi dalla scuola dei compositori dell’avvenire per ottenere il successo che agogna. Se ne è allontanato il più che ha potuto; ma non è ancora abbastanza. Egli vuol fare ancora troppo sfoggio della sua scienza, e questo è il suo torto principale. La scienza è un po’ come la generosità, bisogna che s’indovini, non già che sia decantata da chi l’esercita. Se il Massenet conoscesse l’idioma del Tasso come conosce tutti i segreti dell’orchestra, gli segnalerei il verso dell’autore della Gerusalemme. L’arte che tutto fa nulla si scopre, Nell’opera di cui vi parlo, l’arte che molto fa tutta si scopre. Oh! quanto volentieri darei in cambio di tutta quella cesellatura istrumentale qualche bella e buona frase melodica! Non vogliono capire questi neo-germani che l’idea, il concetto, il pensiero debbono primeggiare la forma, vale a dire la frase, il periodo. Siamo sempre là: un bel periodo sonoro, ma che dice? Nulla. Mi troverete un po’ severo pel giovine compositore; ma lo sono a causa della sua perniciosa tendenza. Se continua così non arriverà a farsi quel nome al quale avrebbe potuto aspirare se non avesse voluto dipartirsi dalla vera scuola di musica teatrale. Se persiste, peggio per lui; se cangia sentiero, riuscirà perchè ha fatto utili e profondi studi. A coloro che affettano di non voler scrivere pei semplici mortali, dirò sempre; scrivete musica da camera, sinfonie, quartetti, ecc.; sarete certi di trovar buoni giudici; ma se volete scrivere pel teatro non vi fidate alla sola scienza. Essa non basta. V’abbisogna anche l’immaginazione, senza la quale avrete una magnifica lanterna, ma senza il moccolo acceso. All’Ateneo il sig. Constantin, che è il direttore d’orchestra di questo teatro, ha dato anch’esso una nuova opera, un semplice atto, come vi ho detto al principio di questa lettera. Ma benché anch’egli conosca perfettamente l’arte dello strumentale, si è ben guardato di evitar la melodia. Al contrario, ne ha messo il più che ha potuto. E l’operetta ha avuto un felice successo. Nè era facile ottenerlo a fronte della Madama Turlupin, del Guiraud che si dà la stessa sera e sulla stessa scena. Ma quando il lavoro è bello, la vicinanza d’un altro lavoro anche bello non gli nuoce. Quasi tutti i pezzi di questa piccola opera sono stati applauditi. Un altro direttore d’orchestra aveva preso il bastone del comando. Ma quando il Constantin è ritornato al suo posto dopo l’esecuzione della sua opera, affine di dirigere la sua falange di professori per Madama Turlupin, il publico T ha acclamato, e gli ha fatto una vera ovazione. Ed era meritata, non già per T importanza del lavoro, ma pei suoi pregi. Boileau ha detto: Un sonnet sans defats vaut seul un long poème. Abbiamo avuto una bella riproduzione i.eV Hamlet all’Opéra. Faure è sempre inimitabile nella parte del protagonista, la signora Décriés che cantava per la prima volta quella d’Ofelia l’ha fatto con molt’arte e molto successo. fi. H dicembre. Gran Sinfonia-Cantata del Visconte d" Arneiro, a quattro voci, cori ed orchestra — Giovanna d’Arco, poema sinfonica dì Giorgio Pfeiffer — Il teatro Lirico a la sovvenzione.... degli altri teatri. L’avvenimento capitale della scorsa settimana in fatto di musica fu T esecuzione d’una grande Sin fonia-Cantata nelle splendidissime sale del Grand-Hotel, a benefizio degli emigrati dell’Alsazia e della Lorena. L’opera è del Visconte d’Arneiro, portoghese, e che credo vedrete fra non molto costà, essendo egli uno dei diplomatici che rappresentano il Re del Portogallo alla Corte di Vittorio Emanuele. Eccellente filarmonico e compositore distinto, il Visconte d’Arneiro mette a profitto le ore che altri passerebbe nell’ozio o nei piaceri per coltivar T arte musicale. Egli ha già fatto eseguire lavori di genere diverso, musica da camera, musica teatrale e musica religiosa. Ha scritto una Messa a 4 voci con organo od orchestra, che vuoisi molto bella: un ballo che è stato dato a Lisbona, ed ha pubblicato varie opere sia di canto, sia istrumentali. Insomma non è mica un semplice dilettante: è un compositore, e come tale è venuto a domandare il giudizio al pubblico francese, salvo a domandarlo fra non guari al pubblico italiano, come ad una suprema Corte d’Appello. Non credo per altro che questa suprema Corte casserà il giudizio di qui, e che è stato molto favorevole al musicista lusitano. Un’eletta schiera di amatori di musica, tutt’i critici del giornalismo, ed un uditorio composto di patrizii e d’artisti assai noti, erano riuniti sabato sera nella sala del Grand-Hotel. la più bella che abbia Parigi, e la più spaziosa. Una metà della sala era composta di centoventi coristi, sessanta di ciascun sesso, le donne tutte vestite di bianco, gli uomini in abito di sera, e dall’orchestra. Nel mezzo i quattro cantanti che dovevano dire i soli, i duetti, i pezzi a più voci; — due direttori: uno pei professori d’orchestra, l’altro pei cori, battevano il tempo. La Cantata-Sin fonica del signor d’Arneiro si svolge sul testo latino del Te-Deum, i cui versetti, contenendo ciascuno una idea diversa, offrivano al compositore altrettanti argomenti di pezzi musicali d’un’indole varia, ma propria a formare un tutto concorde. Per esempio del Te Deum laudamus egli ha fatto una larga e grandiosa introduzione con cori; il Tibi omnes è un solo di soprano; il Tibi chérubin un pezzo d’insieme con orchestra e coro, il le c/loriosus con recitativo e duetto tra tenore e baritono. e cosi via via; al modo stesso impiegato dal Rossini pel suo imperituro Stabat Mater. Tutt’i pezzi sono stati applauditi; ma quelli che hanno più entusiasmato l’uditorio sono il quatuor Tu ad liberandum d’un eccellente fattura, il Judex crederis, gran coro e preghiera, abilissimamente istrumentato, il Salvum fac, il Miserere che è anch’esso un quartetto, ed il gran coro finale sulle parole In le, Domine, speraci. Gli estetici hanno potuto osservare che, ad onta del gran merito dell’opera, della conoscenza perfetta che il compositore ha dello strumentale, e delle belle melodie di cui è piena la sua Sinfonia-Cantata, essa non serba costantemente il sentimento religioso, e cade talvolta negli effetti drammatici delle opere teatrali. Ma quale delle opere moderne di musica sacra è esente da questo rimprovero? Come ottenere l’intento voluto nel Judex crederis, per esempio, se non facendo per dir così un quadro dell’imponenza del Giudizio universale? Non v’è forse un sentimento drammatico anche nell’epopea religiosa, e chi può dire esattamente dov’è la linea di separazione che divide la grande musica religiosa dalla musica drammatica. Anche nello Stabat fu trovato dai critici francesi una tendenza agli effetti teatrali, come in quasi tutti gli oratorii. La Preghiera del Mosè è musica religiosa, ed è pur in un’opera scenica. Checché ne sia, e senza che io voglia aver la pretensione di risolvere una quistione assai grave, dirò che il successo della Sinfonia-Cantal a del signor d’Arneiro è stato ben lusinghiero pel compositore. Del resto, siccome egli si recherà in Italia, lo giudicherete voi stessi, ed il vostro giudizio farà legge. Qui tutti l’han consigliato di scrivere per la scena, e non sarò sorpreso se un giorno o l’altro leggerò in qualche giornale ch’egli abbia musicato un libretto, che sia risoluto a tentar le sorti d’una rappresentazione teatrale, sia al Teatro Italiano di Parigi, ohe gli aprirebbe facilmente le sue porte, sia in uno dei teatri d’Italia. Vuoisi anche che abbia bello a pronto un libro italiano. Un altro lavoro musicale che ha attirato l’attenzione del pubblico filarmonico e che è stato eseguito il giorno dopo (Domenica) al teatro della Châtelet è il poema sinfonico di Giorgio Pfeiffer intitolato Giovanna d’Arco. La parola sinfonico vi dice che non v’è parte vocale. Nullameno il compositore ha trattato con tanta maestria il quartetto delle corde ed alcuni degli strumenti da fiato che veramente si crederebbe che la melodia è espressa dalla voce umana. V’è sopratutto il primo pezzo, quello [p. 417 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 419 nel quale la vergine d’Orleans essendo ancora a Domrémy ode o crede udire le voci celesti che la spingono a correre alla difesa della patria, e l’altro pezzo, quando Giovanna d’Arco è prigioniera e le pare di nuovo udire quelle voci misteriose; tutti e due sono scritti con tal arte che non sapreste se assistete alla scena d’un dramma lirico o alla semplice esecuzione d’un lavoro sinfonico. Il Pfeiffer è già stato premiato all’istituto di Francia per la sua musica da camera, ed attualmente scrive un’opera-comica intitolata la Grolla azzurra, che sarà data probabilmente nel corso dell’anno teatrale. Ecco tutto quello che posso dirvi oggi in fatto di musica, giacché i quattro teatri lirici, VOpéra, l’Opéra-Comique, g’Italiani e X Ateneo non hanno fatto rappresentare nulla di nuovo negli scorsi giorni. Ciò non toglie che godono un po’ abusivamente d’una assai generosa sovvenzione. Notate che sono i teatri che chiamano usualmente la calca, e che sono sempre pieni. Ed è caso raro sopratutto i due primi, che diano qualche novità. Intanto ieri all’assemblea nazionale, all’occasione del budget del Ministero dell’istruzione pubblica dal quale dipendono i teatri, si è avuto il crudele coraggio di togliere al povero Teatro Lirico (ora rappresentato dall’Ateneo) la meschina sovvenzione di 60,000 franchi che gli era stata concessa! E quelle éeW Opéra e dell’Opéra- Comique che sono: la prima di 800.000, la seconda di 240.000 sono state mantenute. Ai due teatri che non ne hanno bisogno, si: ed a quello che non può vivere senza dote, no. Ecco la giustizia umana. Ma quale di questi tre teatri, dei due grandi o del piccolo, fa più rappresentare opere nuove ed offre l’ospitalità a tanti compositori che non saprebbero dove produrre le loro opere? Non sono certamente i due primi; è l’Ateneo ossia il teatro Lirico. Ebbene, invece di servire in suo aiuto gli si toglie la misera somma di 60.000 franchi, che è quasi la quattordicesima parte della dote dell’Opéra! E sempre bene! A. A. luOÎÇDiR A. 9 3 dicembre. Paganini Redivivus — Club musicale in gestazione — Il tenore americano Castle — Giudizii del New Jork Herald — Cose della Winter Season Italian Opera Company — Chiesa- Teatro! Il gran violinista irlandese: «Paganini Redivivus» avendo avuto la felicissima idea di cercare scene più modeste per teatro de’suoi talenti, io mi permetto di sospendere la riproduzione nelle vostre colonne della lettera da esso indirizzata al Daily Telegraph, e che io prometteva ai vostri lettori coll’ultimo carteggio. Non potrei dirvi se la sua risoluzione sia stata presa per vendicarsi contro i suoi critici, i quali ha battezzato col buon nome di bestie; ma vista T originalità del carattere del celebre violinista, ciò è anche possibile. Il nome del signor Paganini Redivivus brilla da alcuni giorni nei cartelli del Metropolitan Music-Hall in Edgward Road. Ora la stampa non fìcea mai il naso nei music-halls, e a meno che questi non vengano a lei sotto forma di disordini repressi dalla polizia, o in aspetti simili, è cosa rara che i giornali si occupino dei fatti dei music-halls. Io auguro sinceramente al bravo artista irlandese che il nuovo pubblico nell’inebbriarsi al fumo dei tabacchi e alle bevande di birre e di sostanze spiritose, s’inebbrino pure alle melodie del suo violino, e lo applaudano, com’egli desidera e sa di meritare. Il maestro Willert Beale sta formando un club musicale per le forze navali, militari e ausiliare. Ho sott’occhio il programma e non dubito punto che incontrerà generale approvazione. I meetings musicali del club avranno luogo in St. James’s Hall, e i soldati, i marinari e i volontari in uniforme vi saranno ammessi gratuitamente. Ogni quarto meeting sarà aperto al pubblico, e le spese verranno coperte interamente dagl’introiti in dette occasioni. Nelle città di guarnigione, ed all’interno, e nelle colonie, verranno stabiliti club succursali. Jeri sera fece la prima comparsa in Inghilterra a St. James’s Hall il tenore americano signor Castle, considerato il cantante più popolare negli Stati Uniti. Il nuovo tenore attrasse un numero considerevole di persone, e la sala era stipata in ogni parte. Egli è certo un eccellente acquisto per l’impresa dei Concerti Popolari del Lunedi. Il signor Castle viene ora d’Italia, dove erasi recato sino dall’estate scorsa allo scopo di perfezionasi nell’arte che lo ha reso popolare e ricco nella grande repubblica. Il New York Herald riferisce un gran successo di Paolina Lucca nel Don Giovanni; un semifiasco della Kellogg. e un fiasco completo di miss Clara Doria e di Vizzani. Della Kellogg (Donna Anna) dice ch’essa non sembra realizzare quella grande creazione di Mozart: di miss Clara Doria (Elvira) dice che per tutto quello ch’essa fece avrebbe potuto benissimo essere esclusa dalla rappresentazione: e del Vizzani dice che non ha qualità che lo raccomandino sia come attore, sia come cantante. Il New York Herald è, come sapete, uno dei più autorevoli giornali non solo d’America, ma del mondo. Il Winter Season Italian Opera Company sembra progredire felicemente. Le prove del Conte Ory si fanno già da lunga pezza: e nuovi artisti stanno per essere scritturati. L’apertura della stagione è fissata pel giorno 10 corrente: e a meno che la sala non sia pronta, v’ha motivo di credere che il programma, quanto alla data dell’apertura, verrà debitamente osservato. Bisogna notare che la sala è stata adattata pei servizj religiosi del Reverendo Carlo Woysey, ed è usata tutte le domeniche da varj anni — uso che non può essere discontinuato durante la stagione, per quanto breve, del Winter Season Italian Opera Company! yLONDRA., 10 dicembre. Mapleson ed il tenore Aramburo — La Patti in Russia e la réclame — Un Duca violinista — Concerto della Britich Orchestrai Society — Festival di Birmingham — Scioperi del gaz nei Teatri. I giornali pubblicano T avviso che la prima rappresentazione del Winter Season Italian Opera Company (Limited) avrà lungo questa sera in St. Georges’Hall. Come vi ho detto altra volta, T opera scelta pel grande avvenimento è il Conte Ory. Alla prossima lettera i particolari. Il Mapleson sta compiendo rapidamente il suo giro delle provincie. Questa settimana è consacrata ai teatri di Birmingham e di Bristol, e la settimana entrante alla fashionable Brighton, alla quale città è rilasciato l’onore degli ultimi trionfi maplesoniani. I giornali, gentilmente ammaestrati, hanno già cominciato a invaghire i rispettivi lettori col solo prospetto dell’avvenimento musicale dell’anno prossimo, ch’è la scrittura dell’Aramburo. Se quel tenore non riporterà fra noi strepitosi successi, la colpa non sarà davvero del Mapleson! Grandi notizie vengono comunicate al Daily Telegrapìi rispetto i trionfi della Patti in Russia. Quell’amabile cantatrice, abituata ai trionfi, non sembra ancora abituata alle lodi della stampa, e particolarmente della stampa inglese; e ne fa un conto che mal s’addice a un’artista di merito. Io son persuaso che se qualche critico inglese in un momento di testa serena s’arrestasse a scrivere una linea sola contro il canto pur troppo sovente dispettoso della guastata Diva, e quindi tutt’altro che degno d’encomio, l’ira della Patti si rivelerebbe bene più manifesta e severa, che allorquando il buon pubblico osa applaudire alla sua presenza alcuna rivale. Io non so davvero comprendere quanto possano giovarle notizie esagerate come quelle di Russia, e che il Daily Telegraph ha pubblicato per spirito di cavalleria, e per favore all’amicizia più che per onore al merito. Più di cento chiamate al proscenio — un introito che può appena realizzarsi con due, se non tre, teatri pieni! Ecco le notizie! Il Duca d’Edimburgo, ch’è presidente del Royal Alberi Hall Amateur Orchestrai Society, prese il suo seggio per la prima volta fra i primi violini, agli esercizj ch’ebbero luogo nel Royal Albert Hall la sera del giorno 5 corrente. Il primo dei sei concerti della nuova British Orchestrai Society ha avuto luogo ed è stato un bel successo. Non poteva essere altrimenti, essendo la società patronizzata da quanto v’ha di più elevato nella società. Stannosi facendo di già i preparativi pel festival triennale di Birmingham, ch’è fissato pel 26 agosto prossimo. Cercasi il patrocinio della Regina, e v’ha luogo a credere che sarà ottenuto. 11 Costa sarà nuovamente invitato a dirigerlo, e nuovi lavori vi saranno eseguiti di varj maestri, fra i quali Sullivan, Macfarren e Schira. La settimana non è stata favorevole per le illuminazioni delle sale teatrali in seguito allo sciopero degli operai del gaz. I nostri signori operai par che mirino a tiranneggiare i capitalisti, ma giuncano una partita ben pericolosa, se non sbaglio! Ora la crisi dell’illuminazione è passata, le compagnie del gaz avendo provveduto le loro fabbriche di nuovi operai, ma gli operaj, che hanno fatto sciopero, bisogna che rimangano in sciopero. Nei primi giorni della settimana vari! teatri sono stati chiusi o illuminati a olio per mancanza di gaz. E in corso di formazione in Nuova-York una compagnia inglese di canto, e ricche offerte sono state fatte a eminenti artisti in Londra. Bisogna che grandi siano le speranze di guadagno, che hanno concepito i promotori dell’impresa per fare offerte maggiori di quelle che sogliono farsi ai più valenti artisti del teatro italiano. La nuova compagnia inglese farà un giro di sei mesi nelle grandi città dell’Unione. Rimandiamo al prossimo numero la pubblicazione della corrispondenza di Berlino. "iunta troppo tardi. [p. 418 modifica]420 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO FIRENZE. Gran folla ogni sera al teatro Pagliano per assistere alle rappresentazioni del Trovatore, interpretato delle signore Potentini e VercoliniTay, dal tenore Vanzan, e dal baritono Quintili-Leoni. Ottimi tutti specialniente la Vercolini, ed il Quintili-Leoni. BOLOGNA. La Norma, venuta dopo il Tannhauser, riuscì a ripopolare il teatro per molte sere. Emerse la signora Spezia, protagonista, la quale non ostante i confronti, pericolosi in quest’opera, fu molto applaudita. REGGIO (Emilia). Al teatro filodrammatico Ariosto piacque il Don Checco eseguito dalla signora Pasi, dal tenore Vanzetti, dal baritono Albieri; Buona l’orchestra. BARCELLONA. Ci scrivono: - La sera del 4 corrente al Gran Teatro del Liceo, si è dato Y Araldo col più felice successo. Fu applauditissima la bellissima Sinfonia e i pezzi più importanti dell’opera, eseguita inappuntabilmente dalla Ponti, Vincentelli, Toledo e Rodas. Però il successo culminante si deve alla magnifica aria dell’atto secondo che la Ponti cantò con grande maestria riscuotendo generale ovazione. Si ripetè F Araldo anche la sera del 5, con non minore successo a lode anche del bravo maestro Bassi. AVANA. Ci scrivono in data del 13 novembre: Qui poco di buono in teatro: una compagnia immensa, e pochissimi che hanno incontrato il favore del pubblico. Il Ballo in maschera per apertura esito bazzotto: solo Bartolini baritono si distinse. Rigolelto, second’opera per debutto della De-Baillou e Palermi, ebbe un magnifico successo per questi due artisti; il resto ahimè!... Lucrezia Borgia fiascone, tranne Rossi-Galli. Il Trovatore esito freddo salvo la ricomparsa di Tamberlik. Abbiamo, è vero, quattro prime donne, ma visti i successi ottenuti, furono così distribuiti, finn ad oggi, gli spettacoli venturi: Sonnambula, Barbiere, Lucia, Marta e Dinorah per la De-Baillou, Macbeth e Luisa Miller, per le altre tre!!! È quasi come se ne avessimo una! GINEVRA. Trionfo la Lucia, protagonista la sig. Naddi Vallee, che fu trovata poetica ed appassionata. Abbiamo sott’occhio un giornale che la chiama usignuolo Bene gli altri. NOTIZIE. ITALIANE — Milano. Domenica 22 corrente, la giovinetta pianista signora Emma Fumagalli, figlia del celebre Adolfo, darà un concerto nelle sale del Conservatorio, in cui prenderanno parte distinti artisti. La signora Fumagalli suonerà in parte i pezzi di suo padre, fra cui la Serenata Napolitano, La Buona ventura, A une fleure. Nocturne, Le Papillon; Il Valzer di T. Maffei, La Chasse di Mendelssohn e un Capriccio dello stesso, con accompagnamento d’orchestra. — Perugia. Nel Corriere dell’Umbria del 9 corrente leggiamo: Al teatro del Pavone, fu eseguita, sabato e domenica, la Sinfonia dell’opera Francesca da Rimini dell’insigne maestro perugino cav. Francesco Morlacchi. — E sieno grazie al chiarissimo conte Gio. Battista Rossi Scotti, delle patrie glorie solerte investigatore, di aver salvato da sicuro deperimento sì prezioso lavoro: che codesta opera del Morlacchi, rimasta incompiuta, giaceva negletta ed esposta alle ingiurie del tempo. — Musica stupenda! — scritta da circa quarant’anni, è tuttavia si fresca da crederla di recentissima fattura. — L’uditore pende incerto se meglio vi si riveli l’arte od il genio. È una gara in cui torna difficile il decidere chi di loro prevalga. — Siamo lieti di affermare come la nostra orchestra si mostrasse pari al grave còmpito. — La fina intelligenza del direttore, cav. Mercuri, spiccò di viva luce nei più minuti dettagli di tempo, di colorito, di accento. — Udine. I filarmonici del teatro Sociale si sono costituiti in consorzio onde provvedere uniti al maggior loro interesse e al decoro della città. Lo scopo di questa società permanente è principalmente quello di giovare ai cultori dell’arte musicale, promovendo F amore e lo studio dell’arte stessa fra la gioventù, e di assicurare al teatro Sociale un numero certo di professori d’orchestra. La società ha già approvato il proprio Statuto e Regolamento, compilati sulle traccie di que’li di società analoghe esistenti in altre città, con quelle modificazioni che si sono credute opportune per le cirstanze speciali del consorzio udinese. (Giornale d’Udine) NOTIZIE ESTERE — Anversa. Scrivono al Guide Musical, in data del 26 novembre: «A memoria d’uomo non si vide in Anversa una manifestazione musicale come quella di cui la sala della Società Reale d’Armonia fu teatro ieri sera in occasione del concerto dato alla memoria del cantore filantropo Francesco Tillez.» La corrispondenza prosegue analizzando il programma enorme, e giunta a parlare del quartetto del Rigoletto, dice:» quest’ultimo pezzo formava in certa guisa il meglio del programma, perciò gl’interpreti vi raccolsero ampia messe di applausi, di chiamate, ed infine dovettero replicare il pezzo. «Il trattenimento finì coll’esecuzione dei cori Antigone di Mendelssohn, e Inno del mattino di Soubre, fatta da sei società corali riunite. — Parigi. La società dei concerti del Conservatorio ha provato nei passati giorni tutta la musica composta da Schumann per il Manfredo di Byron, e l’eseguirà nel corso della stagione. E inoltre allo studio la sinfonia con cori di Beethoven, che non fu eseguita da molti anni. Ora la sala dei concerti è provvista d’un grand’organo. — L’esposizione universale di economia domestica si chiuse il 2 dicembre. Due giorni prima aveva avuto luogo un gran concerto, in cui furono eseguiti pezzi di Boccherini, di Bach, lo Stabat di Rossini, il terzetto del Guglielmo Teli, e infine la Marche au Flambeaux di Meyerbeer, eseguita su 12 pianoforti da 24 pianisti. — Un nuovo regolamento dev’essere introdotto nei caffè-concerti, e sarà informato ad una severità oramai divenuta necessaria. Quind’innanzi i programmi dovranno essere esattamente redatti, perchè il visto dei pezzi possa essere accordato o rifiutato con cognizione di causa, e ciò per rendere impossibili le frodi a danno dei teatri. E anzi espressamente stabilito che nessun pezzo appartenente al repertorio dei teatri possa essere eseguito in un caffèconcerto se non sia accompagnato dall’autorizzazione scritta dall’autore. Il repertorio poi sarà rigorosamente sindacato rispetto alla morale, alla politica, alla religione (!) e all’armata. — Bruxelles, Gustavo Poncelet fu nominato professore di clarinetto al Conservatorio in vece dei signori Lambelée e Blaes. — Vienna. La Società Filarmonica diede il 18 novembre il suo primo concerto sotto la direzione del signor Desoff. L’uditorio applaudì vivamente l’orchestra. Il signor Singer eseguì il concerto di Beethoven magnificamente. — Bùlow, non è appena partito, che ecco venire la signora Schumann. La rinomata pianista diede il 20 novembre il suo primo concerto col concorso della signora Joachim. — Monaco. Il quartetto fiorentiilo di Giovanni Becher diede due concerti il 16 ed il 18 novembre. I valenti artisti eseguirono splendidamente al solito, quartetti di Beethoven, Schubert, Schumann, Mendelssohn ed altri. — Lipsia. Nell’ottavo concerto del Gewandhaus fu eseguita la fantasia drammatica, composta da Killer per l’inaugurazione del nuovo teatro di Colonia. Killer dirigeva F orchestra. — Bordeaux. La società di Santa Cecilia ha fatto eseguire due volte, con esito splendido, la Messa di Rossini. La prima volta alla chiesa Notre-Dame per la festa patronale della società, la seconda, il l.° dicembre, nella gran sala Franchlin. Non un dilettante di musica mancò al ritrovo, L’orchestra ed i cori (250 esecutori in tutto) erano diretti dal signor Warney. La fuga del Gloria, il Crucifixus, il coro finale del Credo ed il Sanctus destarono entusiasmo ambe le volte. I giornali locali dicono che quind’innanzi la Messa di Rossini sarà chiamata a far parte di molte solennità religiose. — Varsavia. Ladislao Zelinski fu nominato professore d’armonia al Conservatorio invece di Moniuszho. POSTA DELLA GAZZETTA Signor Ang... Z — Cesenatico. — N. 320. 50 per cento sul lordo, e 10 sul netto. Signora Ern... B... — Venezia — N. 693. Si commetterà a Vienna il pezzo che desiderate. Al Direttore d’un giornale di questo mondo — Chi rimpasta le faccende della redazione non vi conosce, non ha ragioni di malignarvi nè di disprezzarvi ed è lieto di farvi servigio in una seconda infornata. Sa del resto quale sentimento vi spinge a risentirvi e, pieno di misericordia per ogni umana debolezza, non vi fa carico delle cortesie che gli mandate a dire. SCIARADA È perfetto il primier l’uom che perfetto Non è nè vuol che tu lo. colga in fallo, Tutto nel dir, e a quello che gli hai detto Risponde l’altro o chiede un intervallo. Quattro degli abbonati che spiegheranno la Sciarada, estratti a sorte, avranno in dono uno dei pezzi enumerati nella copertina della Rivista Minima, a loro scelta. SPIEGAZIONE DEL REBUS DEL NUMERO 48: Chi sta sotto coglie quel che cade. Fu spiegato dai signori: Francesco Mazzotti, dott. Camillo Ciccaglia, professore Angelo Vecchio. maestro Giuseppe Falavigna, Ernestina Benda, conte Tarsia Francesco, avv. B. Bottigella, Capitano Cesare Cavallotti, Domenico Quercetti, Società del Casino d’Acqui, Laura Albasini Salvioni, Letizia Rercanati Aghib, P. F. Beliavite, Cesare A. Picasso, Roberto Gill, Giuseppe Onofri. Riuscirono premiati i signori: Tarsis conte Francesco, Francesco Mazzotti, Giuseppe Falavigna, Camillo Ciccaglia. Editore-Proprietario TITO DI GIO. RICORDI. Oggioni Giuseppe, gerente. Tipi Ricordi — Carta Jacob.