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414 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO parte l’essere più adatta all’indole del paese e già vecchia per loro la musica drammatica — riescono meglio nella nuova maniera. La potenza di quelle anime di foco che sono la Stoltz e la Waldmann, ne sono la prova più eloquente. E poiché abbiamo toccato delle due grandi artiste che sono tanta parte della perfettissima esecuzione del Don Carlo, dovremmo ora scendere ai particolari di questa. Ma sarebbe ricominciare dove dobbiamo finire: ei contenteremo dunque di accennare che l’esecuzione è ammirabile da parte di tutti i valenti cantanti che entrano nel Don Carlo, ottima da parte dei cori. Quanto all’orchestra poi, è quel miracolo della più corretta precisione, della più squisita finitezza, della più elegante leggiadria che sa diventare l’orchestra del S. Carlo quando vuole rilevarsi all’altezza della fama che la disse in altri tempi la migliore di Europa. f- fiIl venerando Omnibus cosi parla delle posteriori rappresentazioni: La terza recita non riuscì meno lieta della prima e della seconda, sia per continue appellazioni all’illustre Verdi, sia per gli applausi ancor più vivi e sentiti del pubblico verso i cantanti. È indubitato che più si sente più si gusta questa elaboratissima musica, ed ogni sera più si rivelano in essa canti sublimi e soavi melodie come si chiamano con le voci antiche, ma che veramente sono stupendi trovati inerenti alle diverse posizioni ed ai differenti affetti

Il Don Carlo la quinta sera, cioè domenica, con teatro pieno ebbe maggior successo delle precedenti Vero è che ora i cantanti, l’orchestra, le masse, rassicurati dalla inevitabile titubanza delle prime sere, procedono non solo con grande sicurezza, ma vanno ogni sera più raffinando quella difficile esecuzione. Difatti i cantanti principali, la Stoltz, la Waldmann, Collini e il Miller, la quarta e la quinta sera stavano così bene di voce da deliziare i 4 o 5 mila dell’uditorio, e gli applausi e le chiamate ai soliti pezzi furono sempre più calorosi. E tutto il pubblico troverebbe esser questo il capolavoro di Verdi se non fossero circa cinque ore di musica. L’illustre maestro, che per le sue profonde convinzioni dal Nabucco all’Àida modificò, ma non mutò mai il suo sistema, pel quale giunse a tanto lustro, non vorrà mutarlo oggi, e si dee gradire uno spettacolo così complesso come egli ce l’offre. Dal nostro egregio corrispondente di Berlino riceviamo in risposta alla rettifica del signor Mendel una controrettifìca di cui per debito d’imparzialità riportiamo i punti principali, esprimendo il desiderio che così abbia termine per lo innanzi ogni polemica. «Mi preme di correggere due errori importanti in cui è caduto il signor Mendel. 1. Egli non è mai stato presidente del Tonkuenflewerein (come dimostrano gli statuti stampati), ma semplice segretario (schriftfuhrer). 2. I signori Taubert, Kiel, Biilow, Killer non sono che sodi onorarti della detta Società di cui non frequentano mai le riunioni, e molti artisti celebri, fra cui Carlo Tausig, pianista, hanno rifiutato quest’onore.» Continuerò a dire schiettamente le mie opinioni ed a svelare le molte miserie del nostro mondo musicale, poiché ho per bandiera la schiettezza. E a ciò m’incoraggia vie più il vedere che sebbene la vostra Gazzetta non sia in Germania molto diffusa, le sue parole pesano tanto da impensierire i nostri cultori della musica; l’ira con cui mi si assalisce dopo le parole scritte nella mia corrispondenza mi inorgoglisce. I lettori oramai mi conoscono - e mi basta». Rivista Milanese Sabato, 14 dicembre. Tendete l’orecchio: non s’ode più una stonatura. Milano melodrammatico è in vacanza. Il teatro Dal Verme ha chiuso le sue porte l’altro di colla quarta rappresentazione dei Promessi Sposi del maestro Boncinelli, il Carcano ha fatto altrettanto. Pel maestro Boncinelli la rappresentazione di chiusura del teatro del Verme fu una specie d’apoteosi; la fama del trionfo della sua opera in ventiquattr’ore aveva fatto molto cammino ed il numero di coloro che non avrebbero potuto più dormire placidi sonni senza la loro porzione di Promessi Sposi divenne considerevole; quella sera il teatro traboccava letteralmente di spettatori. Ci furono gli stessi applausi, po’ sù po’ giù le stesse chiamate, gli stessi pezzi ripetuti — più una corona d’alloro che Badre Cristoforo collocò colle sue mani sacerdotali sul capo del compositore. La cerimonia non poteva essere più solenne. La chiusura di questo teatro ne lascia incerti sulle sue sorti avvenire; oltre che nissuno osa lusingarsi che si voglia sagrifìcare il vecchio battesimo (il quale ha un’importantissima ragione di durare in eterno, ed è che non piace a nessuno.) non si sa nemmeno di sicuro quando e come si riaprirà. Certo è che saranno ripresi i lavori di costruzione. Il Carcano invece si addormenta sugli allori, promettendo di non fare che un pisolino di pochi giorni e di riaprirsi al 20 colY Ebreo. All’Ebreo terran dietro Gli Avventurieri del maestro Braga, e poi, secondo quel che dicono le cantonate a chi passa, il Caïd di Thomas, la Claudia ed il Michele Perrin di Cagnoni. Bùttero sarà il cardine della compagnia, la quale probabilmente farà il suo uffizio senza stridere. Questo interregno teatrale serve meravigliosamente per farci ricordare che abbiamo in prospettiva la stagione di carnevale. Tutti i teatri hanno messo fuori il loro programmuccio; non manca che la Scala, ma la veneranda ha tanto fatto dire di sè da otto o nove mesi, che il suo programma oramai si sa a memoria. Nuova invece o quasi nuova riuscirà la notizia dell’Uriella che è promessa al teatro della Canobbiana. Uriella non è un’opera, ma un ballo, un gran ballo, uno di quei gran balli che non vedono la luce... di bengala che alla Canobbiana. Oltre Y Uriella a quel teatro si avranno rappresentazioni drammatiche della compagnia Bietriboni. Al teatro Santa Redegonda, a cui ora dà vita insolita il classico meneghino Cappella, porrà le tende la compagnia Grégoire, la quale promette un diluvio di operette nuove, incominciando forse dalla Belle Hélène. Le promesse sono molte e varie e chi scamperà al panettone di Natale potrà fare una buona indigestione a Santo Stefano. Abbiamo anche avuto due concerti: uno di beneficenza alla Società del Giardino, l’altro sinfonico dato dalla Società del Quartetto. All’iniziativa ed alle cure del bravo signor Castoldi dobbiamo il primo, che riuscì assai bene, e splendido in special modo per il genere e numero dell’uditorio, che era molto femminino ed elegantissimo. Quel concerto deve aver dato a prò’ delle vittime dell’innondazione molte centinaja di lire. Noto brevemente, fra i pezzi che più piacquero, due belle composizioni del Castoldi; Ultimo Voto, cantata assai bene dalla signora Bonovelli, Sopra una tomba, cantata dalla signora Bogliaghi, la quale superò anche con fortuna il Valzer di Venzano e più le romanze dell’AAZa, del Don Sebastiano e della Marta dette con molta espressione dal tenore Mongmi famoso per i suoi do di petto. Il bravo tenore, non parendogli di aver messo abbastanza del suo a prò’ dei danneggiati dall’inondazione, regalò altre cento lire in moneta sonante. In questa occasione fu eseguita per la prima volta una fantasia strumentale del Quarenghi — L’Innondazione — e parve lavoro robusto di concetti e di forme, e molto caratteristico. Il Concerto sinfonico della Società del Quartetto aveva un programma ghiotto, in cinque portate, e fu divorato con infinito gusto fino alla fine. La Rapsodia Ungherese di Liszt, istrumentata da Mùllér-Bergmann fu fatta ripetere; — introdotta fra Beethoven e Schumann con infinito scandalo dei classici, era una specie di frutto proibito in un banchetto classico, ed era naturale che se ne volesse doppia porzione. È un pezzo biricchino, scapigliato, buono al più a dar l’immagine d’un veglione che finisce la vita chiassosa, raddoppiando il chiasso per far dispetto alla quaresima — ne convengo, ma ha un adagio delizioso, un crescendo così febbrile che sfida il chinino di tutti i classici, e se invece di far pensare cento cose profonde non lascia pensare a nulla, qualche volta, dico io, tanto meglio, anche in un concerto della Società del Quartetto. E poi, si ha un gran fare e un gran fingere, ma il pubblico d’un concerto classico non è mai abbastanza classico quanto il concerto. Del resto il trionfo di quel pezzo, se ne consolino i Quartettisti im